Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 253 del 09/01/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 253 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: CARRATO ALDO

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al N.R.G. 21590/2012 proposto da:
CALLARI LIBORIA (C.F.: CLL LBR 22E49 F899N), rappresentata e difesa, in virtù di
procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Orazio Papale ed elettivamente
domiciliata presso lo studio dell’Avv. Luciano Caruso, in Roma, viale delle Milizie, n. 34;
– ricorrente —

contro
LIARDO FRANCESCO;

– intimato –

per la cassazione della sentenza n. 665 del 2012 della Corte di appello di Catania,
depositata il 17 aprile 2012 (e non notificata).
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 novembre

2013 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

Lucio Capasso, che nulla ha osservato in ordine alla relazione ex art. 380 bis c.p. c. in atti.

Data pubblicazione: 09/01/2014

Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 22 maggio 2013, la
seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: << Con atto di citazione,
notificato il 16 febbraio 2005, la sig.ra Callari Liboria conveniva in giudizio, dinanzi al
Tribunale di Caltagirone, Francesco Liardo, perché fossero accertati la violazione, da parte
di quest’ultimo, della normativa antisismica per la sopraelevazione del fabbricato che

la realizzazione di opere configuranti la costituzione di servitù a carico di essa attrice e
perché fosse ordinato al convenuto la demolizione di tutte quelle opere necessarie a
rendere l’edificio conforme alla normativa antisismica.
Nella costituzione del convenuto, il Tribunale adito, con sentenza n. 317/07, rigettava la
domanda proposta, condannando l’attrice alla rifusione delle spese giudiziali.
Interposto appello dalla sig.ra Callari, la Corte d’Appello di Catania, nella regolare
costituzione dell’appellato, con sentenza n. 665/2012, depositata i117 aprile 2012, rigettava
l’appello, confermando la sentenza impugnata, e condannando la sig.ra Callari a rifondere,
in favore del sig. Liardo, le spese del secondo grado di giudizio.
Avverso la citata decisione la sig.ra Callari proponeva ricorso per cassazione, notificato il
17 settembre 2012 e depositato il 4 ottobre 2012, articolato in tre motivi.
L’intimato non si costituiva in questa fase di giudizio.
Ritiene il relatore, che avuto riguardo all’ad. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 n. 5,
c.p.c., sussistono le condizioni per pervenire al rigetto del ricorso per sua manifesta
infondatezza e, quindi, per la sua conseguente definizione nelle forme del procedimento
camerale.
Con il primo motivo la ricorrente ha prospettato la violazione dell’art. 132 c.p.c., in
relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360 n. 5 c.p.c..
Tale doglianza appare, all’evidenza, manifestamente infondata.
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aveva realizzato, nonché il passaggio sul muro comune di cavi o tubazioni, o, comunque,

Come puntualmente rilevato dalla Corte territoriale, l’attrice nulla aveva “dedotto o provato
circa l’attitudine del serbatoio a causare in concreto il danno”.

Infatti, l’appellante ha denunciato un vizio motivazionale nella parte in cui il giudice ha
ritenuto non provata l’attitudine del serbatoio a determinare un danno (siccome
assimilabile a quello che ha indotto il legislatore a dettare la norma di tutela di cui all’art.

allegazione di tale pericolosità.
Conseguentemente — come illustrato dalla Corte d’Appello di Catania, con motivazione
logica ed adeguata – dal comportamento processuale della sig.ra Callari, la quale aveva
solamente rilevato il mancato rispetto della distanza legale dell’opera dal confine, deriva
che “la mancata deduzione di tale potenzialità al pericolo rappresenta motivazione affatto
idonea a sorreggere una pronuncia di rigetto della domanda volta all’eliminazione del
manufatto, a prescindere dalla mancata prova, dovendosi aggiungere che, attesa la
mancata allegazione del fatto posto a fondamento della pretesa, nessun accertamento
tecnico ufficioso avrebbe potuto espletare il giudice”.

D’altronde, rappresenta un principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte
quello in base al quale, laddove una sentenza si basi su molteplici ragioni, è necessario
che ciascuna venga censurata autonomamente, cosicché è sufficiente che anche una sola
delle dette ragioni non formi oggetto di censura, perché il ricorso avverso la sentenza,
oppure il motivo d’impugnazione avverso il singolo capo di essa, debbano essere respinti
nella loro interezza (cfr. Cass. n. 13956/2005; Cass. n. 23090/2005; Cass. n. 18240/2004;
Cass. n. 5902/2002; Cass. n. 4199/2002).
Con il secondo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione degli artt. 874 e 875 c.c., in
relazione all’art. 360 n. 3, c.p.c., in quanto i suddetti articoli non sarebbero stati valutati né
dal giudice di primo grado, né da quello di secondo grado.

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889 c.c.), senza, tuttavia, censurare la motivazione con riferimento alla ritenuta mancata

Con il terzo ed ultimo motivo la ricorrente ha denunciato l’omessa motivazione, ai sensi
dell’ad. 360 n. 5 c.p.c., sostenendo che le conclusioni a cui era pervenuta la Corte
d’Appello di Catania, si basavano su evidenti contraddizioni della relazione di
accertamento tecnico preventivo che inficiavano la motivazione della sentenza di secondo
grado.

questioni.
Esse appaiono, ad avviso del relatore, manifestamente destituite di pregio.
Infatti, come è reso evidente anche dal riscontro testuale con l’atto d’appello, l’appellante
si è limitata a dedurre genericamente il mancato richiamo delle risultanze del consulente
tecnico d’ufficio, senza approfondire nello specifico le ragioni in base alle quali la
motivazione, con quale il giudice ha rigettato la domanda di demolizione delle opere,
sarebbe erronea.
Dunque, la Corte territoriale non è incorsa in alcuna violazione, essendosi piuttosto
attenuta al petitum della domanda avanzata.
In definitiva, quindi, si riconferma che sembrano emergere le condizioni per procedere
nelle forme di cui all’ad. 380-bis c.p.c., ravvisandosi la manifesta infondatezza di tutti i
motivi formulati, in relazione all’ipotesi enucleata dall’ad. 375 n. 5 c.p.c., ravvisandosi,
altresì, l’adeguatezza e la logicità della motivazione della sentenza impugnata nella
presente sede di legittimità (donde la sua incensurabilità ai sensi dell’ad. 360, comma 1, n.
5, c.p.c.)».
Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti
nella relazione di cui sopra, avverso la quale, peraltro, non risulta depositata alcuna
memoria difensiva ai sensi dell’ad. 380 bis c.p.c.;

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Tali doglianze possono essere trattate congiuntamente, attenendo alle medesime

ritenuto che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato e che non occorre
adottare alcuna statuizione in proposito nei riguardi dell’intimato, che non ha svolto attività
difensiva in questa sede.
P.Q.M.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI Sezione civile della Corte Suprema
di Cassazione, in data 12 novembre 2013.

La Corte rigetta il ricorso.

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