Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25295 del 09/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 09/10/2019, (ud. 17/04/2019, dep. 09/10/2019), n.25295

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11752-2018 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

FUMAGALLI ARVENO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1702/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 10/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa DE

FELICE ALFONSINA.

Fatto

RILEVATO

Che:

la Corte d’appello di Milano, in riforma della pronuncia del Tribunale di Lecco, ha accolto il ricorso del Ministero della Salute rivolto all’accertamento della mancanza dei requisiti, in capo a M.G., che aveva chiesto di beneficiare dell’indennizzo ai sensi della L. n. 210 del 1992 per aver contratto la “polio paralitica” in seguito alla somministrazione per via orale del cd. vaccino Sebin;

la Corte territoriale ha affermato, in particolare, che il M. non aveva provato nè allegato nel corso del giudizio di merito l’avvenuta vaccinazione per somministrazione orale del suddetto vaccino;

ha inoltre rilevato che il richiedente all’epoca della domanda amministrativa di attribuzione dei benefici di legge, presentata una prima volta nel 2005 e una seconda volta, dopo il primo rigetto nel 2010, era già decaduto dal previsto termine di quattro anni;

la cassazione della sentenza è domandata da M.G. sulla base di quattro motivi; il Ministero della Salute, difeso in atti dall’Avvocatura Generale dello Stato, ha resistito con tempestivo controricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

col primo motivo il ricorrente riporta “Epigrafe: atti e documenti riportati in versione integrale o in estratto ovvero richiamati solo per numeri di pagina e capoverso nel primo e nel secondo motivo”;

col secondo motivo riporta “Svolgimento”;

il terzo motivo riporta “Epigrafe: atti e documenti riportati in versione integrale o in estratto ovvero richiamati solo per numeri di pagina e capoverso nel terzo motivo”;

il quarto motivo riporta “Epigrafe: atti e documenti riportati in versione integrale o in estratto ovvero richiamati solo per numeri di pagina e capoverso nel quarto motivo”;

le censure, così come sopra riportate, esaminate congiuntamente per connessione, sono inammissibili;

una siffatta proposizione dei motivi di ricorso collide con il costante orientamento di questa Corte secondo cui “… il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c.” (ex multis cfr. Cass. n. 11603 del 2018);

nel caso in esame il ricorrente pretende di formulare critiche nei confronti della sentenza impugnata attraverso la mera trascrizione “alluvionale” di alcuni tra gli atti e documenti di causa;

le doglianze, così rappresentate, si palesano generiche in assenza di un collegamento ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleate dal codice di rito; i profili dedotti – inammissibilmente tra loro confusi e inestricabilmente combinati – non consentono pertanto a questa Corte di formulare il giudizio, anche perchè, in ogni caso, essi postulano un riesame del merito, inibito in sede di legittimità (Cass. n. 18721 del 2018; Cass. n. 8758 del 2017);

in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

in considerazione del rigetto del ricorso, si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità nei confronti del controricorrente, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 2000 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 17 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2019

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