Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25293 del 11/11/2020

Cassazione civile sez. III, 11/11/2020, (ud. 24/07/2020, dep. 11/11/2020), n.25293

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20893-2018 proposto da:

P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. G. BELLI

96, presso lo studio dell’avvocato PAOLO MEREU, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIOVANNI PAPALEO;

– ricorrente –

contro

FEDERAZIONE MOTOCICLISTICA ITALIANA, UNIPOLSAI ASSICURAZIONI S.P.A.,

MOTO CLUB RS 77, T.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1013/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 14/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/07/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. P.M. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Brescia, la Federazione motociclistica italiana (FMI) e il Moto club RS77, in persona del suo Presidente T.R., chiedendo che fossero condannati in solido al risarcimento dei danni da lui subiti nel corso di una prova speciale di accelerazione svoltasi nell’ambito del campionato regionale lombardo di enduro.

Espose, a sostegno della domanda, che, dopo aver gareggiato per primo nella prova di velocità ed aver oltrepassato la fine del tratto cronometrato, non era riuscito ad evitare la propria caduta, conseguente al fatto che il tracciato della corsa non prevedeva, dopo la conclusione del percorso, una congrua e adeguata via di fuga ovvero uno spazio finale di arresto, tanto più che il rettilineo conclusivo terminava con una pericolosa curva a gomito destrorsa.

Si costituirono in giudizio entrambi i convenuti, chiedendo il rigetto della domanda e chiedendo di poter chiamare in manleva la società UGF di assicurazioni.

All’esito dell’istruttoria, nella quale furono svolte una c.t.u. cinematica ed una medico-legale e vennero sentiti alcuni testimoni, il Tribunale accolse la domanda, riconobbe che l’incidente era da ricondurre a responsabilità dei convenuti nella misura del 90 per cento e a responsabilità dell’attore per il residuo 10 per cento, condannò i convenuti in solido al pagamento della somma di Euro 26.449,32, più interessi, dichiarò sussistente la giurisdizione del collegio arbitrale quanto alla domanda di manleva e regolò le spese di lite.

2. La pronuncia è stata impugnata in via principale dalla FMI e in via incidentale dal P. e la Corte d’appello di Brescia, con sentenza del 14 giugno 2018, in totale riforma della decisione del Tribunale, ha accolto l’appello principale ed ha respinto quello incidentale, rigettando integralmente la domanda risarcitoria del P., che è stato anche condannato al pagamento della metà delle spese dei due gradi di giudizio, compensate quanto all’altra metà.

Ha premesso la Corte territoriale che la competizione alla quale aveva partecipato il P. era una prova di accelerazione cronometrata nella quale ogni pilota doveva raggiungere il risultato migliore nel minor tempo possibile. Si trattava, quindi, di un’attività agonistica che implicava, da parte dei partecipanti, l’accettazione del relativo rischio, con la conseguenza che gli organizzatori sono tenuti, al fine di liberarsi da ogni responsabilità, a predisporre “le normali cautele idonee a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva”. La Corte di merito ha poi aggiunto che, in presenza di una causa efficiente idonea ad assumere i connotati del caso fortuito, gli organizzatori sono liberati da responsabilità anche se non hanno adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.

Nella specie doveva affermarsi, alla luce della deposizione resa dal P. nell’interrogatorio formale e delle conclusioni della c.t.u. cinematica, che la caduta del danneggiato fosse dipendente esclusivamente dalla sua responsabilità; egli, infatti, dopo aver superato il traguardo in velocità, era caduto, circa trenta metri dopo, avendo azionato soltanto il freno anteriore e non quello posteriore, per cui la ruota anteriore si era bloccata determinando la perdita di equilibrio del motociclista. Oltre all’uso improprio dei freni, la Corte bresciana ha individuato un’ulteriore responsabilità a carico del P., consistita nel fatto che egli, una volta tagliato il traguardo, si era girato all’indietro verso il tabellone; non sussisteva, quindi, “un nesso causale tra la caduta del pilota e lo spazio predisposto dagli organizzatori della gara”. La caduta, infatti, essendosi verificata circa trenta metri dopo il traguardo, era avvenuta “ben prima della curva posta alla fine del rettilineo”, per cui anche il limitato spazio di arresto lamentato dalla vittima non aveva avuto un’efficacia causale rilevante.

La condotta del pilota, dunque, era da ritenere causa di per se sola idonea a produrre l’evento dannoso; nè poteva imputarsi agli organizzatori di non aver predisposto un adeguato spazio di frenata, dal momento che il P. aveva avuto pienamente la possibilità di rallentare e di giungere alla curva finale con una velocità idonea.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Brescia propone ricorso P.M. con atto affidato a sette motivi.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione agli artt. 2043 e 2050 c.c., per aver attribuito alla c.t.u., travisandola, un’affermazione decisiva ai fini della responsabilità esclusiva del pilota.

Il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata avrebbe travisato il contenuto della relazione del c.t.u. in ordine all’uso esclusivo del freno anteriore. La relazione, infatti, si limitava a dire che la caduta del P. era da ricondurre “al bloccaggio della ruota anteriore, conseguente alla frenata posta in essere dopo l’oltrepassamento della linea di arrivo”. Il c.t.u. quindi, non avrebbe affermato che il pilota aveva azionato il solo freno anteriore; cosa che era realmente avvenuta, ma soltanto dopo che il pilota aveva scalato le marce e frenato col freno posteriore ed aveva verificato l’insufficienza di tali manovre. Non sarebbe esatta, poi, l’ulteriore affermazione della sentenza secondo cui l’arresto della moto richiedeva circa 100 metri, perchè il c.t.u. aveva fatto riferimento ad uno spazio tra 100 e 120 metri.

2. Con il secondo motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., in relazione alla presunzione di responsabilità di cui all’art. 2050 c.c..

Osserva il ricorrente che, qualificata anche dalla sentenza impugnata come pericolosa l’attività svolta nella gara in questione, la Corte d’appello non avrebbe fatto corretta applicazione delle regole sull’onere della prova. La presunzione di cui all’art. 2050 cit., infatti, può essere superata solo con una prova particolarmente rigorosa, dovendo l’esercente dimostrare di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno; solo la prova positiva dell’adozione di tali misure può liberare l’organizzatore dalla sua responsabilità, come più volte insegnato dalla giurisprudenza di legittimità. Per cui sarebbe evidente la violazione delle norme sull’onere della prova, posto che la sentenza ha collegato la responsabilità del ricorrente ad una lettura travisata della c.t.u. (primo motivo).

3. Con il terzo motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione agli artt. 2043,2050 e 2712 c.c., per aver attribuito valore decisivo ed univoco a deposizioni testimoniali contraddittorie, in contrasto con i documenti fotografici e cinematografici acquisiti in atti.

Sostiene il ricorrente che la sentenza in esame avrebbe dato valore univoco alle deposizioni dei testi D.P. e C., le quali non erano fra loro concordi circa il comportamento tenuto dal P. nel momento dell’arrivo al traguardo. I due testi non sarebbero d’accordo nello stabilire in quale momento il danneggiato si era voltato e dalle fotografie emergerebbe che non c’era alcun tabellone sulla pista di gara. Le foto, non disconosciute, formerebbero piena prova contro gli organizzatori

4. Con il quarto motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli artt. 2050 e 2727 c.c., avendo la Corte d’appello applicato in modo errato la regola del più probabile che non.

Il ricorrente rileva che la Corte d’appello avrebbe fatto applicazione non corretta di tale regola probatoria, “ponendo quali evidenze preponderanti fatti privi di riscontro probatorio, addirittura palesemente smentiti da prove documentali e cinematografiche e pure da dichiarazioni testimoniali, prove, entrambe, non solo non valutate, ma del tutto ignorate”. La censura richiama i rilievi già presenti nei motivi precedenti in ordine alle testimonianze, alle foto ed allo spazio necessario per la frenata della moto.

5. Con il quinto motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2050 c.c., nonchè dell’art. 40 c.p., comma 2, in riferimento al nesso di causalità nelle condotte omissive e nel dovere di garanzia e prevenzione.

Richiamati i principi in tema di nesso di causalità negli illeciti omissivi, il ricorrente osserva che la sentenza non avrebbe adeguatamente considerato se il comportamento omesso dagli organizzatori potesse o meno evitare l’evento di danno. Poichè i gestori ed organizzatori di eventi sportivi hanno l’onere di adottare tutte le misure idonee ad evitare il danno, la Corte d’appello non avrebbe tenuto in adeguato conto l’affermazione, risultante anche dalla c.t.u., secondo la quale l’esiguità della via di fuga era effettivamente esistente e non costituiva una “sensazione personale del pilota”.

6. Con il sesto motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.

Secondo il ricorrente la sentenza impugnata non avrebbe tenuto in alcuna considerazione la circostanza, del tutto pacifica alla luce delle deposizioni testimoniali e della c.t.u., per cui il tracciato della prova speciale di accelerazione era stato modificato dopo la caduta per cui è causa, “arretrando la partenza ed il traguardo di numerose decine di metri e allungando così, la via di fuga utile”. Tale circostanza, pur non potendo costituire una confessione, sarebbe “comunque un chiarissimo e univoco indizio di responsabilità” che deporrebbe a carico degli organizzatori.

7. I primi sei motivi, nonostante le loro diversità, possono essere esaminati insieme perchè ruotano tutti intorno al medesimo problema, cioè l’attribuzione di responsabilità esclusiva a carico della vittima.

Essi sono, quando non inammissibili, comunque privi di fondamento.

7.1. Osserva il Collegio, innanzitutto, che costituisce affermazione ormai consolidata nella giurisprudenza di questa Corte il principio, correttamente richiamato dalla Corte d’appello, secondo cui con riguardo all’esercizio di attività pericolosa, anche nell’ipotesi in cui l’esercente non abbia adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, in tal modo realizzando una situazione astrattamente idonea a fondare una sua responsabilità, la causa efficiente sopravvenuta, che abbia i requisiti del caso fortuito e sia idonea – secondo l’apprezzamento del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità in presenza di congrua motivazione – a causare da sola l’evento, recide il nesso eziologico tra quest’ultimo e l’attività pericolosa, producendo effetti liberatori; ciò anche quando sia attribuibile al fatto di un terzo o del danneggiato stesso (in tal senso v. le sentenze 10 marzo 2006, n. 5254, 5 gennaio 2010, n. 25 del 2010 e 22 luglio 2016, n. 15113). Il che equivale a dire che, pure in presenza di un’attività sportiva quale quella in esame (gara di regolarità da svolgere su percorsi prevalentemente sterrati, con medie velocistiche e tempi d’impiego prefissati e partenza dei concorrenti a distanza di un certo numero di secondi l’uno dall’altro), da ritenere pericolosa proprio in relazione al terreno di percorrenza, se si ravvisa nel comportamento del concorrente la causa efficiente sopravvenuta idonea a determinare il danno dallo stesso subito, ciò interrompe il nesso di causalità anche in presenza di un’eventuale responsabilità degli organizzatori, producendo un effetto liberatorio in favore di questi ultimi.

7.2. Tanto premesso, la Corte rileva che la sentenza impugnata ha ricostruito la dinamica dell’incidente ed ha affermato che esso era da ascrivere a responsabilità esclusiva dello stesso P., il cui comportamento integrava gli estremi di un evento sopravvenuto dotato di efficacia causale esclusiva. La Corte bresciana è arrivata a tale conclusione sulla base di una serie di elementi, in precedenza già ricordati: la frenata repentina del motociclista, subito dopo il superamento del traguardo, con il solo freno anteriore; il comportamento improvvido del medesimo, consistente nell’essersi voltato verso il tabellone, una volta finito il percorso, per verificare il punteggio; e infine la circostanza per cui la caduta si era verificata circa trenta metri dopo la linea del traguardo, con conseguente irrilevanza dello spazio di arresto esistente sul percorso, dal momento che la curva alla fine del rettilineo era ancora lontana nel momento in cui si verificò la caduta.

I motivi di ricorso in esame hanno tutti posto in dubbio, con diversità di argomenti ma con sostanziale unicità di impostazione, la ricostruzione dei fatti compiuta dalla Corte di merito.

In particolare, nel primo motivo il ricorrente ha contestato un presunto errore di lettura delle conclusioni del c.t.u., rilevando che quest’ultimo non avrebbe affermato che il motociclista aveva frenato col freno anteriore, bensì solo che la sua caduta era stata determinata dal bloccaggio della ruota anteriore. Il Collegio evidenzia, però, come costituisca una nozione di comune esperienza il fatto che normalmente nei mezzi a due ruote la frenata deve prudenzialmente essere compiuta col freno posteriore. Ne consegue che, anche ritenendo ammissibile la discussione su questo punto – il che è dubbio, perchè si tratta di un accertamento di merito incensurabile in sede di legittimità – se davvero il pilota avesse scalato le marce e frenato prima col freno di dietro, non si sarebbe verificato il blocco della ruota anteriore e lo scivolamento con conseguente caduta; a meno che non voglia sostenersi che la ruota si sia bloccata non per la frenata improvvida, ma per altri motivi (cosa che il ricorrente non risulta avere neppure ipotizzato e che comunque non ricadrebbe nella responsabilità dell’organizzatore).

In riferimento, poi, all’esatto punto di caduta, che la sentenza ha collocato, come detto, a circa 30 metri dopo il traguardo (accertamento che non è contestato), tale conclusione rende praticamente non influente ogni discussione sul tratto residuo del rettilineo e sullo spazio prima della curva, perchè la caduta si è verificata molto prima (vengono meno, quindi, le censure specifiche del quinto e sesto motivo).

Tutto il resto si risolve in una valutazione di merito non discutibile in sede di legittimità (credibilità delle singole testimonianze, applicazione della regola del c.d. più probabile che non, discutibilità delle fotografie, presunzioni etc.); per cui cadono anche le censure dei motivi dal secondo al quinto.

8. Con il settimo motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli artt. 1227 e 2050 c.c., in relazione al concetto di concorso di colpa.

Il ricorrente ricorda di aver proposto appello incidentale nei confronti della sentenza del Tribunale sul rilievo che essa avrebbe erroneamente attribuito al P. una percentuale di colpa del 10 per cento; alla luce di tutto il quadro probatorio evidenziato, il ricorrente chiede che la sentenza d’appello venga cassata, con riconoscimento della fondatezza dell’appello incidentale da lui proposto.

8.1. Il motivo rimane assorbito.

Essendo stati rigettati i motivi precedenti, rimane confermata l’attribuzione esclusiva di responsabilità a carico del ricorrente, il che esime la Corte dall’obbligo di esaminare il motivo in questione.

9. Il ricorso, in conclusione, è rigettato.

Non occorre provvedere sulle spese, atteso il mancato svolgimento di

attività difensiva da parte degli intimati.

Sussistono peraltro le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQ

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 24 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2020

 

 

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