Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25292 del 11/11/2020

Cassazione civile sez. III, 11/11/2020, (ud. 24/07/2020, dep. 11/11/2020), n.25292

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 03683/2019 R.G. proposto da:

D.R., per legge domiciliato, in difetto di elezione di

domicilio in ROMA, ivi presso la CANCELLERIA della CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GABRIELE D’UGO;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ REALE MUTUA DI ASSICURAZIONI, in persona del procuratore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ASOLONE 8,

presso lo studio dell’avvocato MILENA LIUZZI, rappresentata e difesa

dall’avvocato EMIDIO GUASTADISEGNI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2106/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 14/11/2018;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio non partecipata

del 24/07/2020 dal relatore Dott. Franco DE STEFANO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

D.R. ricorre – con atto notificato il 16/01/2019 almeno ad una delle controparti – per la cassazione della sentenza di reiezione della sua domanda di revocazione di sentenza di rigetto dell’appello contro il solo parziale accoglimento della domanda di risarcimento dei danni, proposta da lui anche per i figli, per la morte della moglie in dipendenza di un infortunio occorso per la cattiva esecuzione di lavori di sostituzione di un cancello dell’azienda di cui egli era titolare;

in particolare, la Corte d’appello dell’Aquila aveva, con sentenza n. 187 in data 01/02/2018, confermato la limitazione della condanna al risarcimento dei danni in suo favore e nei confronti di Eurometal srl e D’.Do., con diritto a rivalersi nei confronti dell’assicuratrice Società Reale Mutua Ass.ni spa, in ragione del grado di concorso di colpa riconosciutogli nella causazione dell’evento; ed aveva disatteso l’eccezione – anche in comparsa conclusionale sollevata dall’appellante – di giudicato esterno sulla conseguita assoluzione con formula piena, in riforma del riconoscimento del suo concorso di colpa appunto in ragione del 20% operato in primo grado, nei suoi confronti pronunciata dal giudice penale;

il D. aveva allora impugnato per revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., nn. 4 e 5, detta sentenza di appello, sostenendo: da un lato, l’errore revocatorio nell’individuazione del tempo di proposizione della detta eccezione e nell’esclusione della chiara evincibilità del contenuto della sentenza penale; dall’altro lato, la contrarietà della sentenza revocanda appunto a quella penale, avente autorità di giudicato;

la Corte d’appello dell’Aquila, con la qui gravata sentenza, resa il 14/11/2018 col n. 2106 e notificata il 15/11/2018 (alla stregua dei documenti prodotti dalla controricorrente), respinse la revocazione:

– argomentando nel senso che la sentenza revocanda aveva escluso la vincolatività del giudicato penale di assoluzione piena perchè invocato “nei confronti dell’imputato medesimo” anzichè “nei confronti del danneggiato” e contro parti, quali gli appellati, non messe in grado di partecipare al processo penale;

– rilevando che il prospettato errore andava allora qualificato come di diritto e non di fatto;

– escludendo la configurabilità di un giudicato contrario per la non identità – se non dell’oggetto, comunque – dei soggetti e la non estensibilità della previsione dell’art. 395 c.p.c., n. 5, alla fattispecie, nella quale al procedimento penale aveva preso parte il solo danneggiante e la parte cui il provvedimento finale si voleva opporre non era stata messa in condizione di partecipare;

l’unica controparte cui si prova essere stato notificato il ricorso, Società Reale Mutua Assicurazioni, notifica controricorso, eccependo in via preliminare l’inammissibilità del gravame per tardività in relazione alla notifica della sentenza, avutasi il 14/11/2018; ed il ricorrente notifica successivamente (il 06/05/2019) una “istanza di rilevabilità d’ufficio in sede di legittimità di giudicato esterno”;

infine, per l’adunanza camerale del 13/07/2020, il ricorrente deposita memoria ai sensi del penultimo periodo dell’art. 380-bis.1 c.p.c., come inserito dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. f), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il ricorso va qualificato tardivo;

infatti, la controricorrente ha addotto e provato che la sentenza era stata notificata a mezzo p.e.c. il 15/11/2018 (alle ore 16.03 ed all’indirizzo di posta elettronica certificata dell’avv. Gabriele D’Ugo) ed il ricorso per cassazione risulta notificato solo il 16/01/2019;

a quest’ultimo fine ovviamente non giova al ricorrente che la relata di notifica sia stata datata il 14/11/2019, trattandosi di notifica eseguita direttamente dall’avvocato e per la quale vale il momento in cui ha avuto effettivo inizio l’attività in cui essa si sostanzia: cioè, nella specie, la spedizione del messaggio di posta elettronica, univocamente avvenuta il 16/01/2019, in base alle attestazioni ritualmente asseverate dalla controricorrente;

risulta allora che la notifica si è avuta in un tempo in cui era irredimibilmente elasso, lunedì 14/01/2019, il termine breve di sessanta giorni dalla notifica della sentenza: non rilevando, dinanzi alla documentazione versata in atti, il tempo in cui materialmente ha potuto prendere conoscenza il destinatario della notifica, per perfezionarsi questa all’atto della consegna alla casella di posta elettronica cui era diretta, nè risultando – e tanto meno neppure essendo state ritualmente dedotte, non integrandole certamente una richiesta di chiarimenti al gestore della posta elettronica cause non imputabili, rilevanti ai fini di una rimessione in termini;

tanto rende irrilevante ogni questione sull’integrità o meno del contraddittorio nei confronti di tutte le altre parti del giudizio concluso con la qui gravata sentenza, in applicazione dei principi applicati fin da Cass. Sez. U. ord. 22/03/2010, n. 6826;

nè risponde ad alcuna previsione normativa, rimanendo così inammissibile ed irrilevante in questa sede, la successiva “istanza di rilevabilità d’ufficio in sede di legittimità di giudicato esterno”, in quanto il vizio originario da cui è affetto l’atto con cui questa Corte è stata adita la priva di qualunque potestà giurisdizionale nella controversia irritualmente portata alla sua cognizione: infatti, la rilevabilità ufficiosa – anche in sede di legittimità – del giudicato esterno è pur sempre soggetta all’istituzionale precondizione della corretta devoluzione a questo giudice della controversia stessa e della rituale instaurazione del giusto mezzo di impugnazione, sicchè quella è chiaramente impedita dall’impossibilità di esaminare il merito di quest’ultimo;

la stessa preliminare valutazione di inammissibilità per tardività, benchè dirimente, potrebbe rendere superflua la disamina dei quattro motivi di doglianza, che il D. così riassume in esordio della parte del ricorso ad essi dedicata (v. pag. 14):

– il primo, di “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per aver omesso di considerare il seguente fatto decisivo: mancata rilevabilità di un giudicato esterno resa tra le parti, sentenza penale assolutoria n. 3091/2013”;

– il secondo, di “violazione o falsa applicazione di norma di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in particolare degli artt. 652,654 e 75 c.p.p. e art. 395 c.p.c., giacchè non è stato rilevato l’errore fattuale consistente nella omessa applicazione delle preclusioni derivante da un giudicato esterno ritenendo che lo stesso non fosse vincolabile tra le parti in quanto è stato emesso nei confronti dell’imputato e non del danneggiato”;

– il terzo, di “violazione o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., 395 c.p.c., n. 5, art. 669 c.p.p., per non aver riconosciuto il contrasto tra giudicati maturato nel secondo grado di giudizio e sollevato nella fase revocatoria relativamente alla mancata responsabilità, seppur del 20%, nella causazione dell’evento danno accertata con sentenza penale passata in giudicato depositata in secondo grado, nella fase revocatoria ed anche nel presente ricorso per Cassazione”;

– il quarto, di “violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 116 c.p.c., art. 2043 c.c. e art. 14 preleggi, per aver omesso di valutare la prova del passaggio in giudicato della sentenza nonchè la c.d. vis del giudicato inter partes che esclude il danno ingiusto atto a giustificare la pretesa risarcitoria e la conseguente condanna del ricorrente”;

esclusivamente in ragione della peculiarità della fattispecie è opportuno rilevare che, oltre che ad essere preclusi dalla rilevata tardività del ricorso nel suo complesso, i motivi sono inammissibili anche per concorrenti od ulteriori ragioni:

– quanto al primo ed al secondo, congiuntamente considerati, è evidente che l’esame dell’eccezione di giudicato esterno c’è stato, avendo la corte territoriale, nella qui gravata sentenza, qualificato come valutativo o giuridico ed in ogni caso non “di fatto” l’eventuale errore della sentenza di cui si chiedeva la revocazione e poi argomentato sulla non configurabilità di un giudicato contrario per la diversità dei soggetti; d’altro lato, non è colta ed in ogni caso non è adeguatamente qui censurata la ratio decidendi della non configurabilità di un errore revocatorio: il quale, nella consolidata elaborazione della giurisprudenza di legittimità (per tutte: Cass. Sez. U. 27/12/2017, n. 30994), non si configura certo in caso di prospettato errore di argomentazione o giudizio o valutazione giuridica, quale quello che, beninteso nella prospettazione del ricorrente, dovrebbe riscontrarsi nella fattispecie;

– quanto al terzo motivo, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, non si deduce in ricorso in quale passaggio degli atti del giudizio concluso con la gravata sentenza le ampie e complesse argomentazioni sull’estensione del giudicato inter alios – questione peraltro di non piana configurabilità, per i limiti dei principi in tema di cosiddetta efficacia riflessa del giudicato – sarebbero state sottoposte al contraddittorio e somministrate alle parti, sicchè non si è grado di escludere la non novità della questione, come proposta in tali specifici termini (e così incorrendo il motivo nella causa di inammissibilità affermata, tra molte altre, da Cass. Sez. U. 06/05/2016, n. 9138, a mente della quale il ricorrente che proponga in sede di legittimità una determinata questione giuridica, la quale implichi accertamenti di fatto, ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (per l’ipotesi di questione non esaminata dal giudice del merito);

– il medesimo terzo motivo non censura adeguatamente la ratio decidendi della corte territoriale sulla non estensibilità dell’istituto della revocazione per contrasto con precedente giudicato rispetto alla sola ipotesi tassativamente prevista, individuata – per il tenore testuale della norma – in quella della sentenza tra le parti e quindi tra le stesse parti;

– il quarto motivo attiene poi al merito ed in definitiva alla fase rescissoria della revocazione, non pregiudicato – ma correttamente assorbito – dall’esclusione dei presupposti di quella rescindente, resa evidente dalla ratio decidendi di non configurabilità delle ipotesi di cui dell’art. 395 c.p.c., nn. 4 e 5;

ad ogni buon conto, in merito alla questione del preteso giudicato esterno, bene sarebbe stata da rilevare di ufficio anche in questa sede la sua radicale preclusione: invero, l’eccezione di giudicato esterno era stata sollevata davanti al giudice che aveva reso la sentenza di cui si chiedeva la revocazione; e, sul punto, in piana esegesi del testo della norma (che esclude la revocazione quando la sentenza abbia pronunciato sulla relativa eccezione), si è da tempo statuito (Cass. 21/02/1983, n. 1308) che la proponibilità della revocazione, a norma dell’art. 395 c.p.c., n. 5, avverso la sentenza d’appello che si denunci in contrasto con altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, è preclusa quando detta sentenza abbia statuito sull’eccezione di giudicato sollevata dalla parte interessata, pure se per disattenderla in relazione alla mancata prova dell’eccezione medesima, restando in tale ipotesi esperibile solo il rimedio del ricorso per cassazione (analogamente, v. Cass. 28/07/2006, n. 17247; ed ove, beninteso, ne ricorrano i presupposti);

la giurisprudenza in contrario addotta dal ricorrente (tra cui Cass. 27/01/2012, n. 1189 e Cass. Sez. U. 20 ottobre 2010, n. 21493) si riferisce appunto ai casi in cui il giudicato esterno non sia stato introdotto nel thema decidendum e solo per questo sia stato – pertanto incolpevolmente – ignorato dal giudice del merito, ma non pure alla diversa ipotesi in cui quello gli sia stato sottoposto: nella quale ogni conclusione da questi raggiunta sulla sua irrilevanza o sulla sua insussistenza, quand’anche dipendente da prospettati errori di valutazione o di giudizio, andrebbe impugnata con i mezzi ordinari, se ancora esperibili;

alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del soccombente ricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità;

infine, poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per dare atto ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate in Euro 4.200,00 (quattromiladuecento/00) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 24 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2020

 

 

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