Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25291 del 11/11/2020

Cassazione civile sez. III, 11/11/2020, (ud. 24/07/2020, dep. 11/11/2020), n.25291

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28425/2018 R.G. proposto da:

CURATELA DEL FALLIMENTO D.R.A., in persona del curatore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DI SPAGNA 15,

presso lo studio dell’avvocato FLAVIA FERRARA, (STUDIO LEGALE

ZOPPINI), rappresentata e difesa dall’avvocato PASQUALINO CATENA;

– ricorrente –

contro

INTESA SANPAOLO SPA, in persona del procuratore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BARLETTA 29, presso lo studio

dell’avvocato DOMENICO NOLE’, rappresentata e difesa dall’avvocato

AUGUSTO TEDESCHI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1150/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 28/08/2017;

udita la relazione svolta nella Camera di consiglio non partecipata

del 24/07/2020 dal relatore Dott. Franco DE STEFANO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

la Curatela del fallimento D.R.A. ricorre per la cassazione della sentenza – n. 1150 del 28/08/2017 – con cui la Corte d’appello di Bari ha respinto il suo appello avverso il rigetto delle domande proposte nei confronti del Banco di Napoli spa (con citazione del 19/04/2000) per il risarcimento dei danni ascritti alla stipula della fideiussione che il fallito, quando ancora in bonis, aveva rilasciato alla convenuta in favore del germano P. il 04/12/1992 e fino a Lire 360.000.000, dietro promessa di concessione di ulteriore credito al debitore principale e di apertura di nuova linea di credito in favore di esso fideiussore;

non adempiute tali promesse ed anzi disposta la revoca di tutte le linee di fido, cui, dopo l’iscrizione di ipoteca giudiziale su decreto ingiuntivo nelle more richiesto per la conseguente esposizione, era seguita la decozione dell’impresa del garante, la curatela di questi aveva quindi agito prospettando l’illiceità di quella fideiussione, configurandola quale acquisizione da parte del terzo a detrimento del patrimonio del fallito e così quale condotta, alternativamente, di bancarotta fraudolenta e/o preferenziale (ai sensi della L. Fall., art. 216, comma 1) o di ricettazione fallimentare (ai sensi della L. Fall., art. 232), se non pure di estorsione, usura o ricettazione; con conseguente domanda di condanna di controparte ai danni tutti, individuati nella differenza tra attivo e passivo fallimentare, nella mancata produzione di reddito di impresa ed in quelli non patrimoniali, per l’importo complessivo di oltre quattro miliardi e mezzo di Lire;

l’adito tribunale di Bari rilevò un giudicato esterno di rigetto della domanda già proposta dal fallito in bonis per l’annullamento della fideiussione per vizio del consenso e qualificò non provato il dolo specifico ritenuto necessario per i reati ipotizzati dall’attrice, così da respingere la domanda con sentenza 26/05/2010, n. 1884;

il gravame della curatela avverso quest’ultima è stato poi respinto dalla qui gravata sentenza, all’esito della correzione della motivazione della sentenza di primo grado sulla natura del dolo richiesto, ma soprattutto di un’analitica disamina, sia del giudicato esterno che di ogni altro elemento in ordine ai prospettati reati, anche tenuto correttamente conto dell’elemento soggettivo nella più circoscritta e corretta accezione;

al ricorso resiste con controricorso la Intesa Sanpaolo spa, già nel giudizio di appello subentrata all’originaria convenuta; e, per l’adunanza camerale del 24/07/2020, le parti depositano memoria ai sensi del penultimo periodo dell’art. 380-bis.1 c.p.c., come inserito dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. f), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

col primo dei tre motivi (rubricato: “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al combinato disposto di cui all’art. 110 c.p. e L. Fall., art. 216, comma 1, n. 1, con riferimento alla parte motiva in cui si afferma che non vi è prova del dolo sia dell’intraneus D.R.A. che dell’extraneus Banco di Napoli S.p.A.”), la ricorrente censura la gravata sentenza nella parte in cui afferma che non vi è prova del dolo sia dell’intraneus D.R.A. che dell’extraneus Banco di Napoli S.p.A., valorizzando un preteso giudicato esterno al fine di escludere il dolo di entrambi, in assenza di raggiro da parte della banca; nel mentre, una volta intervenuto il fallimento, ai fini della sussistenza dell’elemento psicologico, per integrare il reato di bancarotta è necessario e sufficiente il dolo generico, da intendersi come consapevolezza e volontà di sottrarre il patrimonio dell’impresa alla garanzia generica dei creditori, posto che tale lesione si verifica anche attraverso la stipula di contratti apparentemente e formalmente leciti ed onerosi, quando non vi sia una effettiva contropartita;

tale motivo è infondato;

infatti, l’argomentazione della corte territoriale (si vedano le pagine 22 e seguenti) è chiaramente nel senso della positiva esclusione non solo del dolo anche soltanto generico, ma pure di ogni altro elemento dei reati prospettati, tra cui proprio l’assenza di effettiva corrispettività della controprestazione: pacifico il giudicato esterno sull’inesistenza di fatti inficianti geneticamente la rilasciata fideiussione (si veda a pag. 16, dove il giudicato viene ricostruito, senza valida censura in questa sede, come relativo all’assenza di dolo o raggiri da parte della Banca e sul carattere oneroso del contratto, con condivisione della valutazione del giudice di primo grado sul non ottemperato onere di dolersi dell’inadempimento della promessa con azione di risoluzione e non con quella di annullamento), la corte si diffonde, sia pure corretta la motivazione di primo grado sulle caratteristiche del dolo necessario per i reati esclusi in quella sede, nella disamina di tutti gli elementi di fatto, analiticamente ricostruiti;

in particolare, conclude la corte barese (v. pag. 19) nel senso della grave scorrettezza proprio del garante e del garantito all’atto stesso della stipula della fideiussione, avendo essi taciuto di avere solo il giorno prima conseguito mutuo da altro istituto con garanzia ipotecaria sull’unico immobile di cui erano proprietari con le proprie coniugi: con conseguente valutazione, qui non solo incensurabile ma anche evidentemente scevra da vizi logici e giuridici, della piena legittimità delle reazioni del Banco di Napoli, per di più in un contesto di sopravvenienze di inadempimenti anche cambiari, tali da giustificare già di per sè il rifiuto dell’adempimento delle controprestazioni pattuite per la fideiussione, di cui è stato confermato il carattere effettivo;

in tal modo la qui gravata sentenza ha correttamente escluso sia il delitto di ricettazione fallimentare, sia quello di bancarotta fraudolenta patrimoniale (di questo ricostruito l’elemento soggettivo a pag. 21 ed escluso anche solo nei termini di volontarietà della propria condotta di concorso nella determinazione dell’intraneus e consapevolezza del depauperamento);

ancora, la corte territoriale ha rimarcato che l’iniziativa era stata presa dal garantito e corrispondeva, vista la consuetudine tra i germani di scambiarsi in tal modo assistenza per la comunanza del settore di operatività delle rispettive imprese, ad un ampliamento di garanzie “come da prassi” (v. pag. 22), all’esito di una trattativa lineare, non inficiata da raggiri da parte della banca, con conseguente piena validità ed efficacia della pattuizione contrattuale, ma pure in carenza di prova della volontà anche del D.R. di una distrazione delle somme in favore del Banco di Napoli ed in positiva esclusione, vista la consecuzione dei fatti, della consapevolezza di quest’ultimo di concorrere in una distrazione di fondi (v. soprattutto piè di pag. 23 e inizio pag. 24);

inoltre, la qui gravata sentenza si è poi fatta carico anche delle ulteriori impostazioni ricostruttive dei prospettati reati, per ricondurre comunque la condotta della banca ad una corretta dinamica creditoria e rimarcare l’ascrivibilità delle conseguenze negative lamentate in citazione alla condotta gravemente scorretta dei debitori e relativi coniugi e non ad una consapevole e volontaria attività del Banco di Napoli tesa alla diminuzione del patrimonio del debitore a danno degli altri creditori;

all’esito di tale ricostruzione della fattispecie, istituzionalmente preclusa in questa sede di legittimità la rivalutazione di tali apprezzamenti di fatto, va escluso anche solo in tesi il prospettato errore di applicazione delle norme invocate: ed il relativo motivo va quindi definitivamente disatteso;

col secondo mezzo di censura la ricorrente Curatela si duole di “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 2043,2059 c.c. e art. 185 c.p.; art. 2049 c.c. e art. 538 c.p.p.; artt. 2056,1123,1226 e 1227 c.c.”; e lamenta che la corte territoriale, avendo erroneamente escluso l’astratta responsabilità penale del funzionario, malamente avrebbe negato la responsabilità civile della banca per il fatto illecito commesso dal dipendente ai sensi dell’art. 2049 c.c.: mentre, risultando invece per tabulas detta responsabilità, l’Istituto di Credito avrebbe dovuto essere chiamato a rispondere civilmente per il fatto commesso dal dipendente e ciò, indipendentemente dalla proposizione o meno dell’azione penale, in virtù del combinato disposto degli artt. 2043 c.c. e segg., art. 2059 c.c. e art. 185 c.p.;

tale mezzo di censura è inammissibile, prima che infondato: in violazione del n. 3 e del n. 6 dell’art. 366 c.p.c., la ricorrente non indica idoneamente in ricorso in quali passaggi degli atti di merito – neppure riportati – la tesi, chiaramente implicante accertamenti di fatto, sia stata sottoposta ai giudici del merito, non apparendo in tali termini del resto neppure dalla sentenza gravata;

eppure, il ricorrente che proponga in sede di legittimità una determinata questione giuridica, la quale implichi accertamenti di fatto, ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (per l’ipotesi di questione non esaminata dal giudice del merito, per tutte: Cass. Sez. U. 06/05/2016, n. 9138; Cass. ord. 21/11/2017, n. 27568, ove ulteriori riferimenti);

del resto, una volta ricostruita in punto di fatto la condotta della Banca come ricordato in occasione della disamina del primo motivo di ricorso, non è configurabile alcun fatto illecito e quindi nessun dipendente, nemmeno identificato, potrebbe averlo compiuto ed avere esposto il datore di lavoro a responsabilità;

va infine esaminato il terzo motivo, di “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 61 e 116 c.p.c.”: quanto al quale la ricorrente Curatela del Fallimento D.R.A. espone che, a fronte della responsabilità civile della banca e della fondatezza delle domande formulate dalla Curatela in punto di an debeatur, tenuto conto della difficoltà di stima dei relativi pregiudizi economici e del danno non patrimoniale, eventi tutti riconducibili all’operazione dolosa, – laddove non si ritenga di poter procedere alla liquidazione in via equitativa sulla scorta delle risultanze già in atti – in sede di rinvio si dovrà ammettere l’invocata c.t.u. di tipo percipiente, onde quantificare i danni subiti dalla deducente;

il motivo è inammissibile, perchè non è una critica in sè e per sè alla conclusione della corte territoriale di ritenere assorbito evidentemente dalla rilevata insussistenza di prova sull’an debeatur ogni ulteriore prosieguo istruttorio, quindi pure in punto di quantum (come si ricava dalla, benchè effettivamente concisa, ma esaustiva, annotazione alle righe sesta e settima di pag. 25): conclusione, per la verità, del resto ineccepibile anche soltanto in tesi;

il ricorso, infondato il primo motivo ed inammissibili gli altri, non può che essere rigettato, con condanna della soccombente ricorrente Curatela alle spese del giudizio di legittimità, in relazione all’ingentissima entità del petitum;

infine, poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono i presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.

PQM

rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate in Euro 18.000,00 (diciottomila/00) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 24 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2020

 

 

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