Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2529 del 03/02/2010

Cassazione civile sez. I, 03/02/2010, (ud. 10/11/2009, dep. 03/02/2010), n.2529

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – rel. Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6762/2008 proposto da:

C.V. (c.f. (OMISSIS)), domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARRA Alfonso Luigi,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

28/03/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

10/11/2009 dal Presidente Dott. PAOLO VITTORIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – C.V., con ricorso alla corte d’appello di Napoli depositato il 28.7.2006, ha proposto una domanda di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo.

L’attore ha dedotto che un giudizio da lui iniziato davanti al T.A.R. della Campania con ricorso depositato il 10.12.1997, era stato definito con sentenza dell’1.3.2005.

La corte d’appello, con decreto 28.3.2007, ha accolto in parte la domanda.

Ha ritenuto che, rispetto ad una durata ragionevole di tre anni, il giudizio presupposto si fosse ulteriormente protratto per 4 anni e qualche mese; ha perciò ritenuto che l’attore avesse subito un danno non patrimoniale e lo ha giudicato suscettibile di riparazione nella misura complessiva di Euro 4.218,00, sulla base di Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo.

Ha dichiarato integralmente compensate le spese processuali e ne ha indicato le ragioni in motivi di equità e nella circostanza che la Presidenza del Consiglio non si fosse opposta alla domanda.

2. – C.V. ha chiesto la cassazione del decreto, con ricorso notificato il 29.2.2008.

La Presidenza del consiglio vi ha resistito.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorso contiene otto motivi.

2. – Il primo è inammissibile.

La parte vi si limita a svolgere considerazioni d’ordine generale sui rapporti tra la disciplina dettata dalla CEDU e la normativa statale.

3. – La cassazione del decreto – con i motivi dal secondo al sesto – è chiesta, sotto due aspetti, per il vizio di violazione di norme di diritto e di difetto di motivazione (art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, in relazione all’art. 6, par. 1 CEDU e L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2).

Questi motivi non sono fondati.

A proposito dei motivi secondo e terzo, va osservato che la giurisprudenza della Corte è costante nell’affermare che non è assunta in violazione dell’art. 6 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo nè della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, la decisione pronunciata sulla domanda di equa riparazione, con la quale il danno non patrimoniale è considerato essere stato prodotto dalla sola protrazione del giudizio presupposto, oltre il tempo della sua dovuta ragionevole durata; la ragionevole durata del processo in primo grado è stabilita nel triennio; il danno è liquidato nella somma di Euro 1.000,00 ad anno di protrazione del processo oltre il ragionevole.

La stessa Corte EDU, se pure preferisce seguire un diverso criterio quanto alla durata del giudizio che può essere considerata causa di danno, nella sua più recente giurisprudenza accorda indennizzi inferiori a quelli che risulterebbero dalla applicazione del parametro di mille euro per ogni anno di intera durata del processo, se nel suo complesso non ragionevole, sicchè sono poi da considerare legittimi indennizzi risultanti dalla combinazione di diversi parametri, sempre che mediante la loro applicazione si pervenga ad un ristoro del danno non patrimoniale non irrisorio e motivatamente adeguato al caso concreto.

Quanto poi al mancato riconoscimento del c.d. bonus – su cui il ricorrente si è soffermato nei motivi dal quarto al sesto – la Corte osserva che, nella determinazione del risarcimento dovuto, mentre la durata della ingiustificata protrazione del processo è un elemento obiettivo che si presta a misurare e riparare un pregiudizio non patrimoniale tendenzialmente sempre presente ed eguale, l’attribuzione di una somma ulteriore postula che nel caso concreto quel pregiudizio, a causa di particolari circostanze specifiche, sia stato maggiore.

Sicchè, quando il giudice non attribuisce il c.d. bonus e perciò nega che quello specifico pregiudizio ulteriore sia stato sopportato, la critica del punto della decisione non può essere affidata alla sola contraria postulazione che il bonus spetta ratione materiae, era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata, ma deve avere specifico riguardo alle concrete allegazioni e se del caso alle prove delle allegazioni addotte nel giudizio di merito.

Del che nei quesiti che concludono i motivi non v’è traccia.

4. – Sono invece nel loro complesso fondati i successivi motivi, che investono la liquidazione delle spese del giudizio.

I motivi propongono la questione se costituisca motivazione logica e sufficiente quella proposta dalla corte d’appello – più su riportata – per addivenire alla integrale compensazione delle spese del giudizio.

La Corte osserva che il presente giudizio è iniziato il 28.7.2006 e ad esso si applica la norma dettata dall’art. 92 cod. proc. civ., nel testo sostituito dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2.

Essa richiede che, fuori del caso di soccombenza reciproca, i motivi, che il giudice ritiene giusti e tali da poter comportare la compensazione delle spese del giudizio, debbono essere specificamente indicati.

Non costituisce una indicazione specifica la affermazione che la compensazione è imposta da motivi di equità, se gli stessi non sono specificamente indicati.

Quanto all’altra ragione – non avere l’amministrazione opposto resistenza all’accoglimento della domanda – si tratta di argomento che potrebbe in ipotesi costituire motivo di compensazione delle spese del giudizio, se sia preceduto nel caso concreto dalla pronta messa a disposizione di una riparazione, che poi il giudice riconosca essere quella conforme a diritto.

E questo, in particolare, se da parte di chi ha sostenuto in giudizio la pretesa ad un’equa riparazione, non ci si sia fatti in precedenza a sollecitare dall’amministrazione il soddisfacimento della pretesa in termini tali da consentirle di soddisfarli perchè congrui.

Di ciò non v’è però traccia nella motivazione della decisione che va perciò sul punto cassata.

5. – Il ricorso è in parte accolto e per la stessa parte il decreto impugnato è cassato.

La Corte ha il potere di pronunciare nel merito.

Considera che nel caso non sussistono ragioni per pronunciare la compensazione delle spese del giudizio di primo grado e questo in conformità dell’orientamento generalmente seguito in sede di pronuncia di merito, quando la decisione di primo grado è anche solo in parte cassata.

Del solo parziale accoglimento del ricorso – come nel caso – la Corte tiene invece conto nella liquidazione delle spese del giudizio seguito davanti a sè.

6. – Le spese del giudizio di equa riparazione avrebbero dovuto essere liquidate facendo applicazione della tariffa approvata dal D.M. 2 aprile 2004, n. 127 e, in relazione alla somma riconosciuta dovuta (Euro 4.218,00), per gli onorari di avvocato, in base allo scaglione fino a Euro 5.200,00 e per i diritti in base allo scaglione da Euro 2.600,01 a Euro 5.200,00 della tabella A, quadro 4^, e della tabella B, quadro 1.

L’importo previsto per le sole prestazioni necessariamente inerenti al tipo di procedimento, applicando i minimi, avrebbe dovuto essere liquidato quindi, in cifra tonda, per gli onorari in Euro 450,00 e per diritti in Euro 380,00, mentre le spese avrebbero dovuto essere liquidate in Euro 25,00 e quindi complessivamente in Euro 855,00, maggiorati del rimborso forfetario delle spese generali e degli accessori di legge.

Ed in questa misura è pronunciata condanna della Presidenza del Consiglio.

7. – Le spese del giudizio di cassazione si possono liquidare in complessivi Euro 550,00, di cui Euro 450,00 per onorari di avvocato, avuto riguardo alla maggior somma, che si è riconosciuta dovuta, e ad essi vanno aggiunti il rimborso forfetario delle spese generali e gli accessori di legge.

In ragione del solo parziale e limitato accoglimento del ricorso, vanno dichiarate compensate nella misura di 2/3.

8. – Di tutte le spese è ordinata la distrazione in favore dell’avvocato Luigi Alfonso Marra, che ha dichiarato d’aver anticipato le spese e non percepito gli onorari.

P.Q.M.

La Corte accoglie in parte il ricorso, cassa in relazione il decreto impugnato e pronunciando nel merito condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri a pagare a C.V. la somma di Euro 855,00 a titolo di spese del giudizio di primo grado; la condanna inoltre al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate per l’intero in Euro 550,00, di cui Euro 450,00 per onorari, e dichiarate compensate per due terzi; tutte le spese del giudizio sono maggiorate del rimborso forfetario delle spese generali e degli accessori di legge e ne è ordinata la distrazione a favore dell’avvocato Alfonso Luigi Marra.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2010

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