Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25289 del 11/11/2020

Cassazione civile sez. III, 11/11/2020, (ud. 22/07/2020, dep. 11/11/2020), n.25289

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3611/2019 proposto da:

B.C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI VILLA

SACCHETTI 9, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARINI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LORIS TOSI;

– ricorrente –

e contro

T.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3082/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 12/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/07/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. B.C.F. ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 3082/18, del 12 novembre 2018, della Corte di Appello di Venezia, che – accogliendo il gravame esperito da T.G., avverso la sentenza n. 1282/16, del 19 maggio 2016, del Tribunale di Venezia – ha rigettato la domanda dell’odierno ricorrente volta a far valere la responsabilità professionale del T. e a conseguire il risarcimento dei danni.

2. Riferisce, in punto di fatto, il ricorrente di aver incaricato il T., quale ragioniere commercialista, della tenuta di tutte le incombenze contabili e fiscali relative alla propria attività di tabaccheria, a partire dall’anno (OMISSIS).

Avendo, tuttavia, esso B.C. ricevuto contestazioni, da parte dell’amministrazione finanziaria (subendo, in particolare, la notificazione di atto di iscrizione di ipoteca, su di un immobile di sua proprietà, da parte del concessionario del servizio per la riscossione dei tributi della Provincia veneziana, per non aver versato le imposte relative agli anni (OMISSIS), oltre alla notifica di tre cartelle di pagamento, per il diritto annuale della Camera di Commercio per il periodo d’imposta (OMISSIS), nonchè, infine, la notificazione di tre avvisi di accertamento da parte dell’Agenzia delle entrate), si rivolgeva al giudice di prime cure per far valere la responsabilità professionale del T., in ragione dell’omesso adempimento del suo mandato professionale, formulando nei suoi confronti domanda risarcitoria, per l’importo di Euro 10.069,88.

Accolta dall’adito Tribunale la domanda, il convenuto – inizialmente contumace, ma poi costituitosi in giudizio – veniva condannato al pagamento del minor importo Euro 5.617,93.

Esperito gravame, in via principale, dal T. (nonchè, incidentalmente, dallo stesso B.C., per dolersi dell’insufficiente quantificazione del risarcimento), il giudice di seconde cure – dopo aver rimesso in termini l’appellante principale, costituitosi il (OMISSIS), e dunque ben oltre dieci giorni dalla notifica dell’atto di appello, risalente al (OMISSIS) – accoglieva l’impugnazione principale, sul presupposto che il B.C. non avesse provato il conferimento dell’incarico professionale al ragioniere commercialista.

3. Avverso la sentenza della Corte lagunare ricorre per cassazione il B., sulla base – come detto – di tre motivi.

3.1. Con il primo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4) – “nullità della sentenza/del procedimento” per violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4), per difetto di motivazione sulla rimessione in termini, nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 153 c.p.c., comma 2, per avere la Corte territoriale erroneamente rimesso in termini l’appellante.

Deduce l’odierno ricorrente che il T. ebbe a notificargli a mezzo PEC l’atto di citazione in appello, provvedendo, però, a costituirsi in giudizio solo in data (OMISSIS), depositando contestualmente istanza di rimessione in termini, nella quale allegava di aver provveduto a spedire, in data (OMISSIS), la busta telematica per la costituzione in giudizio, ricevendo, il successivo (OMISSIS), una comunicazione di cancelleria con cui era informato del rifiuto del deposito.

Sebbene esso B.C. avesse tempestivamente eccepito l’improcedibilità del gravame per tardiva costituzione, avvenuta oltre il termine di dieci giorni – ex artt. 347 e 165 c.p.c. – dalla notificazione dell’atto di appello, la Corte territoriale accoglieva l’istanza di rimessione in termini, sul presupposto che la mancata “tempestiva costituzione” non potesse ritenersi avvenuta “per causa imputabile all’appellante”.

Ciò premesso, il ricorrente censura tale decisione, “innanzitutto sotto l’aspetto della motivazione”, non avendo il giudice di appello chiarito perchè esso – sebbene il rifiuto dell’iscrizione, evento istantaneo, fosse stato comunicato dalla cancelleria prima dello spirare del termine di dieci giorni previsto per la costituzione dell’appellante non ha ritenuto di dare rilievo, soprattutto sotto il profilo dell’imputabilità all’appellante stesso, alla circostanza che il T., che pure era ancora in condizione di farlo, non ebbe a costituirsi nel rispetto di tale termine, attendendo invece il (OMISSIS), data alla quale ebbe a depositare anche l’istanza di rimessione in termini.

E’ dedotta, inoltre, la violazione dell’art. 153 c.p.c., comma 2, nuovamente sugli stessi presupposti, nonchè sul rilievo che l’evento impeditivo la tempestiva costituzione – il rifiuto opposto dalla cancelleria in ragione del mancato pagamento del contributo unificato – non integrerebbe causa non imputabile al T., essendo sua facoltà pagare il contributo unificato e solo successivamente ricorrere all’assistenza a spese dello Stato (è citata Cass. Sez. 3, sent. 27 ottobre 2015, n. 21794, Rv. 637539-01).

3.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – “nullità della sentenza/del procedimento” per violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4), per difetto di motivazione in punto di prova circa il conferimento dell’incarico.

Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui, diversamente da quella resa dal giudice di prime cure, ha ritenuto provato il conferimento del solo incarico costituto dalla tenuta delle scritture contabili, e non pure di quello avente ad oggetto la presentazione della dichiarazione dei redditi.

Anche in questo caso la doglianza investe la motivazione, innanzitutto, perchè contiene una precisazione che il ricorrente reputa incomprensibile, distinguendo tra documentazione fiscale e tributaria. Inoltre, essa ometterebbe di chiarire su quali prove la Corte territoriale abbia fondato il proprio convincimento, evenienza alla quale la giurisprudenza di legittimità ha dato rilievo proprio sotto il profilo del vizio motivazionale. Infine, di illogicità è tacciata l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il ritrovamento delle dichiarazioni dei redditi presso lo studio del T. sarebbe “elemento di per sè eccessivamente equivoco” per desumere che il professionista fosse incaricato della loro redazione; per contro, sottolinea il ricorrente, le scritture contabili, della cui tenuta il ragioniere era incaricato, costituiscono la “premessa” sulla quale provvedere alla stesura delle dichiarazioni.

3.3. Con il terzo motivo è denunciata – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) – nullità della sentenza/del procedimento” per violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4), per avere la Corte di Appello omesso di pronunciarsi sui motivi di appello incidentale, con i quali l’odierno ricorrente aveva richiesto il pagamento dell’intera somma di Euro 10.069,88, oggetto della sua domanda risarcitoria, non integralmente soddisfatta dal primo giudice.

4. Il T. è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Il ricorso va rigettato.

5.1. Il primo motivo non è fondato.

5.1.1. La decisione della Corte lagunare si sottrae, innanzitutto, alla censura formulata con riferimento al dedotto vizio motivazionale.

La sentenza impugnata, invero, nel ribadire che la rimessione in termini, ex art. 153 c.p.c., comma 2, presuppone una nozione di “non imputabilità”, della causa di inosservanza del termine, che si identifica nell’esistenza di un fattore estraneo alla volontà dell’interessato, ha chiarito come la mancata tempestiva costituzione dell’appellante dipese, nella specie, dal fatto che la cancelleria rifiutò l’iscrizione a ruolo ed il deposito dell’atto di appello notificato “per mancata indicazione del valore della causa e mancato versamento del contributo unificato, senza avvedersi che il T. era stato ammesso con riserva al gratuito patrocinio a spese dello Stato, con conseguente esonero dal pagamento del contributo”.

Si tratta di motivazione immune da censure, anche alla luce dell’avvenuta riduzione “al minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla parte motiva della sentenza.

5.1.2. Quanto, invece, alla censura di violazione dell’art. 153 c.p.c., comma 2, l’esito è, nuovamente, quello della non fondatezza.

Sul punto va escluso, in primo luogo, che possa ritenersi conferente, rispetto alla fattispecie qui in esame, il precedente invocato dal ricorrente, secondo cui, posto che l’istituto della rimessione in termini presuppone che la decadenza sia derivata da una causa non imputabile alla parte perchè estranea alla sua volontà, siffatta evenienza “non può essere invocata quando la parte stessa, dovendo integrare una Delibera di ammissione al gratuito patrocinio erroneamente emessa da un consiglio dell’ordine degli avvocati incompetente, non abbia per tale ragione provveduto alla iscrizione al ruolo di una causa di appello nel termine di legge, trattandosi di una scelta della parte medesima, che avrebbe potuto pagare il contributo unificato e ricorrere solo successivamente all’assistenza tramite il patrocinio a spese dello Stato” (è citata Cass. Sez. 3, sent. 27 ottobre 2015, n. 21794, Rv. 637539-01). Nel caso di cui all’arresto appena citato, la procedura di ammissione al gratuito patrocinio non si era perfezionata, e ciò per un errore della stessa parte rivoltasi ad un organo incompetente, sicchè proprio su tali basi questa Corte ha ritenuto di escludere la sussistenza della causa “non imputabile” ex art. 153 c.p.c., comma 2, disattendendo la tesi – per vero singolare – dell’allora ricorrente, secondo cui costituirebbe “implicita remissione in termini l’autorizzazione della Corte d’Appello ad integrare l’errata Delibera del Consiglio dell’Ordine degli avvocati” adito, “con altra Delibera, corretta, di ammissione al gratuito patrocinio da parte del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di (…) effettivamente competente”.

Nel caso che occupa, invece, il rifiuto dell’iscrizione e del deposito dell’atto, da parte della cancelleria della Corte lagunare, era sicuramente illegittimo, anche in ragione dell’utilizzazione delle modalità telematiche da parte del legale del T., visto che ai sensi del D.L. 18 ottobre 2012, n. 170, art. 16-bis, comma 7, convertito con modificazioni nella L. 17 dicembre 2012, n. 221, “il deposito con modalità telematiche si ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia”, sicchè “da quel momento, essendosi perfezionato il deposito, non residua pertanto alcuno spazio per un rifiuto di ricezione degli atti per irregolarità fiscale degli stessi, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 285” (cfr. Cass. Sez. 3, ord. 26 maggio 2020, n. 9664).

Di conseguenza, la sola questione rilevante consiste nello stabilire se l’istanza di rimessione dovesse intervenire – come assume il ricorrente – prima dello spirare del termine di dieci giorni ex artt. 347 e 165 c.p.c..

Al riguardo, deve muoversi dalla constatazione che – secondo quanto affermato da questa Corte – l’istituto della “rimessione in termini, tanto nella versione prevista dall’art. 184-bis c.p.c., quanto in quella di più ampia portata prefigurata nel novellato art. 153 c.p.c., comma 2, presuppone la tempestività dell’iniziativa della parte che assuma di essere incorsa nella decadenza per causa ad essa non imputabile, tempestività da intendere come immediatezza della reazione della parte stessa al palesarsi della necessità di svolgere un’attività processuale ormai preclusa” (Cass. Sez. 3, sent. 11 novembre 2011, n. 23561, Rv. 620407-01; in senso conforme Cass. Sez. 2, sent. 26 marzo 2012, n. 4841, Rv. 621802-01), evenienza esclusa, dalle sentenze testè citate, con riferimento ad un’istanza formulata, in un caso, in sede di precisazione delle conclusioni, ovvero, nell’altro, oltre un anno e mezzo dopo dalla scadenza del termine.

Il concetto di “immediatezza della reazione” (ribadito, da ultimo, anche da Cass. Sez. 5, ord. 1 marzo 2019, n. 6102, Rv. 652790-01) non implica, dunque, come “corollario” che l’istanza di rimessione debba intervenire, comunque, entro il termine del quale si alleghi essere stata impossibile l’osservanza per causa non imputabile alla parte, dovendo, viceversa, interpretarsi solo come necessità che la parte istante “si attivi in un termine ragionevolmente contenuto e rispettoso del principio “della durata ragionevole del processo” (così, in motivazione, Cass. Sez. 5, sent. 6 giugno 2012, n. 9114, Rv. 622946-01).

Nella specie – anche in considerazione della scadenza del termine di costituzione nel periodo delle festività natalizie – deve certamente ravvisarsi la ricorrenza della reazione entro “un termine ragionevolmente contenuto”.

5.2. Il secondo motivo non è fondato.

5.2.1. La motivazione relativa al difetto di prova, in ordine al conferimento dell’incarico professionale, non è affatto “illogica”.

La circostanza che le scritture contabili siano il presupposto per la predisposizione della dichiarazione dei redditi non implica affatto che l’incarico della tenuta delle prime, conferito ad un professionista, unitamente alla, presenza delle seconde presso lo studio del medesimo, possa far presumere – secondo un rapporto di consequenzialità necessaria – che l’incarico comprenda pure la predisposizione di tali dichiarazioni.

D’altra parte, giova rammentare che, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – nel testo “novellato” dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile “ratione temporis” al presente giudizio) – il sindacato di questa Corte è destinato ad investire la parte motiva della sentenza solo entro il “minimo costituzionale” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053, Rv. 629830-01, nonchè, “ex multis”, Cass. Sez. 3, ord. 20 novembre 2015, n. 23828, Rv. 637781-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 luglio 2017, n. 16502, Rv. 637781-01).

Lo scrutinio di questa Corte è, dunque, ipotizzabile solo in caso di motivazione “meramente apparente”, configurabile, oltre che nell’ipotesi di “carenza grafica” della stessa, quando essa, “benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass. Sez. Un., sent. 3 novembre 2016, n. 22232, Rv. 641526-01, nonchè, più di recente, Cass. Sez. 6-5, ord. 23 maggio 2019, n. 13977, Rv. 654145-01), o perchè affetta da “irriducibile contraddittorietà” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 12 ottobre 2017, n. 23940, Rv. 645828-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 25 settembre 2018, n. 22598, Rv. 650880-01), ovvero connotata da “affermazioni inconciliabili” (da ultimo, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 25 giugno 2018, n. 16111, Rv. 649628-01), mentre “resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. 2, ord. 13 agosto 2018, n. 20721, Rv. 650018-01).

Nella specie, non sussistono, nella motivazione della sentenza, nè affermazioni “inconciliabili”, nè “irriducibilmente contraddittorie”.

Più in generale, poi, va ribadito – quanto alla censura secondo cui la Corte territoriale avrebbe omesso di chiarire su quali prove abbia fondato il proprio convincimento circa il fatto che l’oggetto dell’incarico professionale fosse limitato alla tenuta della contabilità – che nei giudizi di responsabilità, a carico di professionisti, grava sull’attore l’onere di provare l’avvenuto conferimento dell’incarico del quale è lamentato l’inadempimento (cfr., in tema di responsabilità degli esercenti la professione legale, ma con affermazione dotata di valenza generale, Cass. Sez. 2, sent. 7 agosto 2002, n. 11901, Rv. 556778-01; Cass. Sez. 3, sent. 5 febbraio 2013, n. 2638, Rv. 625017-01), in conformità,

del resto, con il principio secondo cui, in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca anche solo per il risarcimento del danno “deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto” (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 20 gennaio 2015, n. 826, Rv. 634361-01).

Sul cliente, dunque, ricadono le conseguenze del mancato assolvimento di tale onere.

5.3. Il terzo motivo è, del pari, non fondato.

5.3.1. Trova applicazione, nella specie, il principio secondo cui il “vizio d’omessa pronuncia, configurabile allorchè manchi completamente il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto, deve essere escluso, pur in assenza di una specifica argomentazione, in relazione ad una questione implicitamente o esplicitamente assorbita in altre statuizioni della sentenza” (cfr., Cass. Sez. Lav., sent. 26 gennaio 2016, n. 1360, Rv. 638317-01; in senso conforme, più di recente, Cass. Sez. 2, ord. 25 giugno 2020, n. 12652, Rv. 658279-01).

E’ evidente che, esclusa dalla Corte territoriale la – prova dell’esistenza di incarico professionale conferito dal B.C. al T. in ordine alla predisposizione delle dichiarazioni dei redditi, essa non aveva ragione di pronunciarsi sui motivi di appello incidentale che concernevano l’entità del danno risarcibile in relazione alla non diligente esecuzione di un incarico che essa ha ritenuto, invece, mai conferito al professionista.

6. Nulla va disposto quanto alle spese del presente giudizio, essendo il T. rimasto intimato.

7. A carico del ricorrente sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’esito di Adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 22 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2020

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