Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25288 del 09/12/2016


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Cassazione civile sez. VI, 09/12/2016, (ud. 14/06/2016, dep. 09/12/2016), n.25288

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24173-2013 proposto da:

C.M., ((OMISSIS)) elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

PIETRO ANTONIO MICHELI 78, presso lo studio dell’avvocato MARIA

CHIARA CASTRIOTA SCANDERBEG, rappresentato e difeso da sè medesimo

e dall’avvocato BIAGIO GRASSO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ANSALDOBREDA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 96, presso lo

studio dell’avvocato LUCA DI PAOLO, rappresentata e difesa

dall’avvocato FRANCESCO CASTIGLIONE, giusta mandato a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2597/2012 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

19/06/2012, depositata il 12/07/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI;

udito l’Avvocato LUCA DI PAOLO, per delega verbale L. n. 247 del

2012, ex art. 14 dell’Avvocato CASTIGLIONE, difensore del

controricorrente, che si riporta ai motivi e dichiara di essere

cassazionista.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

Il Tribunale di Napoli era chiamato a pronunciarsi sul ricorso proposto da C.M. nei confronti della Ansaldo Breda S.p.A. (già Breda Costruzioni S.p.A.) per la liquidazione del compenso ai sensi del R.D. n. 1578 del 1933, art. 68 (legge professionale forense), per l’attività di patrocinio espletata a favore di 135 dipendenti della suddetta società, in un precedente giudizio civile, concluso in grado di appello con un accordo sindacale di carattere transattivo che legittimava l’applicazione dell’art. 68 legge professionale.

La Breda si costituiva resistendo ed eccependo l’inapplicabilità dell’art. 68 L.p..

Con sentenza n. 12240 del 2005, il giudice adito rigettava la domanda, con condanna dell’attore al rimborso delle spese di giudizio.

In virtù di rituale appello interposto dal C., la Corte di Appello di Napoli, nella resistenza della controparte, con sentenza n. 2597 del 2012, depositata in data 12 luglio 2012, in riforma della decisione di primo grado, statuiva esclusivamente sulle spese, compensandole tra le parti per entrambi i gradi.

Avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli ha presentato ricorso per cassazione il medesimo C., prospettando tre motivi.

Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto la violazione ed erronea applicazione dell’art. 68 Legge Professionale e dell’art. 12 preleggi.

Con il secondo mezzo ha lamentato la violazione ed erronea applicazione dell’art. 68 Legge Professionale, denunciando il grave errore in cui sarebbe incorsa la Corte di Appello non cogliendo la ratio sulla solidarietà passiva. Con l’ultima doglianza ha dedotto l’omesso esame del merito circa il quantum dell’ importo dovuto.

Ansaldobreda S.p.A. ha resistito con controricorso.

Il consigliere relatore, nominato a norma dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c. proponendo il rigetto del ricorso.

In prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

Va preliminarmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività ex art. 327 c.p.c., dedotta nel controricorso, per essere stata la sentenza impugnata depositata il 12.07.2012, mentre il ricorso è stato notificato solo in data 11.10.2013. Essa è infondata.

Ai fini del riscontro della tempestività dell’impugnazione, al termine di un anno previsto dall’art. 327 c.p.c., nel testo applicabile “ratione temporis” (non essendo applicabile al giudizio, iniziato nell’anno 2000 la nuova disciplina dettata dalla L. n. 69 del 2009, art. 46), devono aggiungersi quarantasei giorni, ai sensi del combinato disposto dell’art. 155 c.p.c., comma 1, e della L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1, comma 1, non dovendosi tenere conto dei giorni tra il primo agosto ed il quindici settembre di ogni anno, per effetto della sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale (Cass. n. 4310 del 2015). Nella specie, peraltro, la data di pubblicazione della sentenza è tale che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità (cfr., fra le molte, Cass. n. 20817 del 2009; Cass. n. 7278 del 2002; Cass. n. 14219 del 1999; Cass. n. 2978 del 1998), la sospensione feriale dei termini trova applicazione due volte, in quanto, dopo una prima sospensione, il termine annuale non era decorso interamente al sopraggiungere del successivo periodo di sospensione. Conseguentemente il termine scadeva appunto il 31 ottobre 2013.

Venendo al merito del ricorso, vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex art. 380 bis c.p.c. che di seguito si riporta: “Il ricorrente con il primo ed il secondo motivo lamenta che la Corte di Appello non abbia applicato nella specie l’art. 68 L.p. ricorrendone la ratio, ma abbia seguito un “restrittivo orientamento della Corte”. In particolare il ricorrente offre una interpretazione dell’art. 68 L.p. alla luce dell’art. 12 preleggi.

I due motivi, stante la loro connessione argomentativa, possono essere trattati congiuntamente. Essi sono infondati.

La giurisprudenza della Corte a riguardo è univoca.

La sentenza impugnata è del tutto corretta e si sottrae alle critiche di cui è stata oggetto in quanto è conforme ai principi più volte affermati nella giurisprudenza di legittimità con riferimento ai requisiti necessari per l’applicabilità dell’art. 68 Legge Professionale forense 27 novembre 1933, n. 1578 a norma del quale “quando un giudizio è definito con transazione, tutte le parti che hanno transatto sono solidalmente obbligate al pagamento degli onorari ed al rimborso delle spese, di cui gli avvocati e i procuratori che hanno partecipato al giudizio negli ultimi tre anni fossero tuttora creditori per il giudizio stesso. Perchè possa sussistere l’obbligazione solidale prevista dalla citata norma sono necessari: a) il giudizio; b) la definizione di detto giudizio con la transazione che sottragga al giudice la pronuncia in ordine alle spese.

Nel caso in esame i giudici del merito non hanno posto in discussione il prevalente orientamento di questa Corte secondo cui, ai fini dell’applicazione dell’art. 68 L. professionale forense 27 novembre 1933, n. 1578, la nozione di transazione della lite deve essere intesa nella più ampia accessione di ogni accordo che abbia l’effetto di estinguere la controversia senza l’intervento del giudice, anche se privo dei requisiti di sostanza e di forma del contratto disciplinato dagli art. 1965 c.c. e segg. Del pari nella sentenza impugnata non è stato contestato che in tale ampia nozione di transazione rientra anche la conciliazione ex art. 411 c.pl.c. (Cass. 18343 del 2004).

Alla luce di ciò la Corte ha ritenuto che la norma citata non è applicabile allorchè la causa sia stata definita direttamente dal giudice con una sentenza che, oltre a disporre sulla giurisdizione ha pronunciato sulle spese (Cass. 21209 del 2015).

Del resto è irrilevante la questione relativa all’interpretazione restrittiva di detto articolo in quanto nella specie si tratta di stabilire se vi è stata una definizione del giudizio con transazione (e tale natura riveste il verbale di conciliazione ex art. 411 c.p.c.) e non se la norma debba essere applicata ad un caso diverso dalla transazione. Non esiste poi una nozione più o meno restrittiva del concetto di transazione (Cass. 18343 del 2004).

Il terzo motivo attiene al quantum preteso, che in considerazione del rigetto di primi due motivi appare destituito di fondamento in difetto dei presupposti per la liquidazione.

In definitiva, si conferma che sembrano emergere le condizioni per procedere nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., ravvisando la manifesta infondatezza del ricorso.”

Gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra sono condivisi dal Collegio, dal momento che la ratio della disposizione invocata va ravvisata nell’intento di evitare che il cliente possa eludere le legittime aspettative di compenso del suo difensore, mediante accordi con la controparte che pongano fine alla controversia (Cass. n. 16856 del 2015; Cass. n. 9325 del 1997; cfr. anche Cass. SS.UU. n. 12203 del 1992, per il principio secondo cui l’obbligo di pagamento degli onorari e del rimborso delle spese dovuti agli avvocati e procuratori, ai sensi del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 68 grava in via solidale solo sulle parti che hanno transatto).

Del resto il ricorso è carente nel riportare l’esatto svolgimento della vicenda e ne costituisce riprova la circostanza che parte ricorrente solo con la memoria ex art. 378 c.p.c. riporta gli atti da cui dovrebbe, a suo avviso, desumensi l’operatività della solidarietà ex art. 68 L.P..

Conclusivamente il ricorso va respinto e il C. va condannato alla rifusione delle spese del presente giudizio, che vengono liquidate in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sestga Civile – 2, il 14 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2016

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