Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25286 del 11/11/2020

Cassazione civile sez. III, 11/11/2020, (ud. 22/07/2020, dep. 11/11/2020), n.25286

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33452/2018 proposto da:

MARINA DI PORTOROSA SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CRESCENZIO 62, presso lo studio dell’avvocato FLAVIO NICOLOSI,

rappresentata e difesa dagli avvocati CARMELO BRIGUGLIO, EMANUELE

RUGGERI;

– ricorrente –

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO DELLA SOCIETA’ (OMISSIS) SRL, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 35, presso lo studio

dell’avvocato MARIA GRAZIA SIRNA, rappresentata e difesa

dall’avvocato MARCELLO PARRINELLO;

– controricorrenti –

e contro

ASSESSORATO PER IL TERRITORIO E L’AMBIENTE DELLA REGIONE SICILIA,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1089/2017 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 03/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/07/2020 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

la Curatela del Fallimento della (OMISSIS), s.p.a., conveniva in giudizio Marina di Portorosa, s.r.l., esponendo che:

a) (OMISSIS), s.p.a., “in bonis”, aveva chiesto la concessione di uno specchio acqueo, arenile demaniale marittimo, canali navigabili interni, da ricavarsi mediante escavazione, per realizzare un porto turistico;

b) la competente Capitaneria di Porto autorizzava (OMISSIS) a occupare anticipatamente le aree, con un atto di sottomissione;

c) (OMISSIS) aveva pattuito, mediante scrittura privata del marzo 1992, con Marina di Portorosa la “cessione di contratti di ormeggio e fornitura dei servizi portuali connessi”, con subentro nei singoli accordi con gli utenti del porto, e correlativo corrispettivo per la cessione;

d) era stata consegnata la struttura portuale, e successivamente era stato specificato, con ulteriore scrittura del dicembre 1992, che Marina di Portorosa non avrebbe dovuto rispondere di pagamenti per l’abilitazione demaniale ulteriori rispetto a quelli riferiti all’originaria concessione;

e) nel luglio 1992 il Capo del Circondario marittimo aveva contestato a (OMISSIS) violazioni dell’atto di sottomissione e del decreto del locale Assessorato Territorio e Ambiente, e la Capitaneria di Porto aveva ingiunto, pertanto, lo sgombero, impugnato davanti al giudice amministrativo;

f) nelle more il Tribunale aveva dichiarato fallita la (OMISSIS) s.p.a.;

la Curatela chiedeva quindi dichiararsi la risoluzione per inadempimento contrattuale a carico di Marina di Portorosa, rimasta debitrice quanto alle obbligazioni di pagamento dei compensi previsti dalla scrittura privata del 1992, con correlativa condanna alla corresponsione del dovuto e al risarcimento dei conseguenti danni;

il Tribunale dichiarava risolto il contratto, condannando la convenuta al pagamento dei ratei stabiliti e anche al rilascio dei beni, con sentenza appellata nel 2001 sia da Marina di Portorosa che, in via incidentale, dalla Curatela;

nelle more del giudizio di secondo grado:

g) la Capitaneria di Porto aveva dichiarato caducato l’atto di sottomissione sottoscritto con la società poi fallita, e aveva rigettato l’istanza di concessione, ingiungendo il rilascio delle aree, con provvedimento parimenti impugnato davanti al giudice amministrativo;

h) il giudice amministrativo di prime cure aveva rigettato l’impugnazione, con sentenza censurata davanti al Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione siciliana;

i) in conseguenza della caducazione dell’atto di sottomissione, il Demanio Marittimo aveva stipulato con Marina di Portorosa, nel gennaio 2001, ulteriore atto di sottomissione, per il contestuale affidamento sia pure provvisorio della struttura portuale, con autorizzazione all’occupazione delle aree;

j) nel 2003 era stata adottata la concessione demaniale marittima in favore di Marina di Portorosa, fino al 2031, con lo scopo di permettere il completamento e la gestione delle strutture portuali; la Corte di appello, nel 2010, sospendeva il proprio giudizio rispetto a due giudizi ritenuti pregiudiziali, un altro civile e quello amministrativo pendente davanti al Consiglio di Giustizia Amministrativa;

il giudice collegiale di seconde cure, con sentenza del 2017, confermava parzialmente la decisione appellata, rideterminando le somme dovute da Marina di Portorosa, e dichiarando cessata la materia del contendere quanto alla pretesa di rilascio;

osservava in particolare la Corte territoriale che:

k) nel giudizio civile ritenuto pregiudiziale il Collegio di appello, nel 2013, con arresto passato in cosa giudicata per mancata impugnazione, aveva rilevato la sussistenza di un giudicato esterno derivante dalla decisione del Consiglio di Giustizia Amministrativa, censurata davanti a questa Corte con ricorso dichiarato inammissibile, sulla natura privata di una porzione dei beni della struttura portuale oggetto del contratto tra (OMISSIS) e Marina di Portorosa;

l) da ciò derivava la legittimazione della Curatela a far valere il contratto di “concessione in gestione di attività”, che aveva come presupposto la disponibilità, in capo a (OMISSIS), della struttura portuale e dei posti barca oggetto di contratti di ormeggio, delineando un accordo che si atteggiava “come una sorta di affitto di azienda”;

m) le pretese di restituzione dei canoni versati per le zone demaniali erano fondate su fatti sopravvenuti in corso di causa, ma erano state prospettate prima della sospensione pregiudiziale in mere comparse conclusionali, e poi non formulate nella prima difesa utile successiva ai fatti che le avrebbero potute legittimare, ossia in sede di riassunzione: si trattava di domande, pertanto, nuove e inammissibili;

n) le medesime domande erano comunque infondate perchè i canoni concessori fungevano da parametro per la determinazione di quella porzione di canone che, nel contratto tra le due società, atteneva alla componente locativa degli immobili, sicchè erano comunque tutti dovuti, per la parte demaniale a reintegrare l’esborso sostenuto da (OMISSIS) per averne la disponibilità, per quelle private a copertura del godimento;

avverso questa decisione ricorre per cassazione Marina di Portorosa, s.r.l., articolando tre motivi, corredati da memoria;

resiste con controricorso la Curatela del Fallimento (OMISSIS), s.p.a..

rilevato che:

con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 81,artt. 1655,1362 c.c. e segg., art. 100, c.p.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che l’originario contratto avrebbe dovuto qualificarsi come appalto di servizi, essendo funzionale alla corrispondente utenza dei diportisti, e posto che, per la parte assimilabile alla locazione, questi ultimi avevano già pagato, in unica soluzione, la (OMISSIS), con la conseguenza che la Curatela, non avendo fatto la prevista dichiarazione di subentro, non era legittimata attivamente alle domande svolte;

con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 324, c.p.c., art. 2909, c.c., art. 30 reg. c.n., artt. 45 bis e 46 c.n., poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che il giudice amministrativo aveva accertato, con valenza di giudicato esterno, sempre rilevabile d’ufficio, la natura in parte privata e in parte demaniale dei beni coinvolti, così come la legittimità della caducazione, a seguito di fallimento, dell’atto di sottomissione iniziale e del successivo diniego di conclusiva concessione riferibile alla porzione di demanio, sicchè la quota derivante dai canoni concessori, del corrispettivo in questione, non avrebbe potuto ritenersi dovuta, vuoi in ragione della suddetta porzione privata, vuoi, per il resto, dovendosi constatare la carenza di titolo abilitativo e di assenso dell’autorità marittima, e dovendosi far conseguire, a tutto ciò, anche l’invalidità o inefficacia della cessione dei contratti di ormeggio privi d’idonei presupposti, secondo quanto statuito dal Tribunale Amministrativo Regionale, senza successive impugnazioni specifiche, con conseguente possibilità di opporre e chiedere la restituzione dell’indebito, ovvero la compensazione a fronte di ogni altra eventuale debenza della Marina di Portorosa nei confronti della (OMISSIS);

con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. e art. 1362 c.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che le deduzioni d’indebito e ripetizione per i canoni concessori e, in altra parte, per carenza di titolo abilitativo demaniale, erano state utilmente formulate sin dalle comparse conclusionali, quando era stata sollecitata la sospensione del giudizio per pregiudizialità ed eccepita la carenza di legittimazione attiva dell’amministrazione fallimentare;

Rilevato che:

il primo motivo è inammissibile;

in primo luogo, come eccepito in controricorso, a fronte del silenzio sul punto della sentenza oggetto di ricorso, non risulta idoneamente dimostrato da parte ricorrente afferendo all’ammissibilità del suo gravame – che la questione della mancanza di dichiarazione di subentro della Curatela fosse stata coltivata e discussa nelle fasi di merito, e non sia quindi nuova in questa sede, e come tale inammissibile;

in secondo luogo, l’interpretazione contrattuale proposta alternativamente a quella fatta propria dalla Corte territoriale, si risolve in una richiesta di rilettura istruttoria, estranea al perimetro del giudizio di legittimità;

al riguardo va comunque disattesa l’eccezione d’inammissibilità per novità preclusa sin dall’appello di tale specifica questione qualificatoria, quale proposta in controricorso (a pag. 9), poichè la sentenza della Corte territoriale affronta il tema, e non vi è ricorso incidentale, in tesi condizionato, sull’errore pretesamente commesso, sul punto, dal giudice di seconde cure;

quanto a questo merito cassatorio, questa Corte ha ripetutamente chiarito che la censura di legittimità relativa all’ermeneutica contrattuale non può risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poichè quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (cfr., tra i moltissimi precedenti, Cass., 28/11/2017, n. 28319, Cass., 27/06/2018, n. 16987);

la Corte territoriale non ha qualificato il negozio in parola come “tipico” contratto di affitto di azienda, ma come contratto atipico di cessione in gestione delle attività costituite dai servizi portuali, in uno a quella dell’utilizzo delle strutture che ne costituivano il presupposto (cfr. a pag. 6 della sentenza gravata che, proprio perciò, afferma, all’esito di tale descrizione, che l’accordo si “atteggiava come una sorta di affitto di azienda”, esplicitandone, pertanto, il contenuto complessivamente atipico);

secondo il Collegio di merito, quindi, si era trattato di una cessione di contratti, dell’utilizzo dei beni per quegli stessi fini e latamente gestoria, atipica: tale più complessiva lettura non oblitera, dunque, come ipotizzato dalla difesa ricorrente, il profilo funzionale del sinallagma, ma lo iscrive in una differente e più che plausibile lettura soppesata in modo fattualmente diverso rispetto a quella dell’appalto di servizi, riguardo al quale non è neppure chiara nè la portata dell’appalto in luogo o in connessione con i singoli contratti di ormeggio ceduti, nè la declinazione in termini “appalto in favore di terzi” o “subappalto” (v. pag. 20 del ricorso);

il secondo e terzo motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati;

sulla natura in parte privata, in parte demaniale dei beni oggetto di contratto, vi è statuizione in sè non posta in discussione;

ora, quanto alle domande restitutorie e all’eccezione di compensazione, la Corte territoriale, come visto, ne ha rilevata “in primis” la tardività;

la difesa ricorrente ne sostiene la tempestività in ragione delle deduzioni presenti nelle comparse conclusionali antecedenti la riassunzione;

deve osservarsi in contrario che il fatto sopravvenuto, costituito dal susseguente giudicato esterno che la Corte di appello effettivamente rileva, fu anteriore alla riassunzione;

dunque, prima di quel giudicato la domanda era propriamente un’ipotesi, formulata, infatti e soprattutto, in atti meramente illustrativi e privi di valenza assertiva, quali le comparse conclusionali;

la funzione e correlativa natura di tali atti incide, come logico, sul contraddittorio, poichè la controparte sa che non può trattarsi dell’introduzione di ulteriori domande scrutinabili su cui confrontarsi;

successivamente, nella prima difesa utile, ossia con l’atto di riassunzione, le domande ed eccezioni, di ripetizione e compensazione, non risulta che furono esplicitamente, ed appropriatamente, formulate senza generici richiami di stile (e anzi si ammette il contrario), e neppure, infatti, che furono idoneamente conformate e specificate, circostanziando quale fosse e come si determinasse la misura dell’indebito;

va rimarcato che le suddette domande di ripetizione ed eccezioni di compensazione sono estranee a ogni perimetro officioso giudiziale, ipotizzabile solo quanto alla mera difesa diretta a paralizzare la pretesa di pagamento della parte attrice;

quanto al primo profilo, quello della domanda ed eccezione in senso stretto, si è appena visto che non è stato superato il diniego di ammissibilità per novità e rispetto a ciò la motivazione sul merito dell’infondatezza pure espressa dalla Corte territoriale (sopra riportata alla lettera n) della parte narrativa e riferita alle pagg. 22-23 della sentenza qui impugnata) è “tamquam non esset” per essersi la stessa Corte spogliata della potestà di giudizio dopo quella spesa in rito (cfr. Cass., Sez. U., 20/02/2007, n. 3840, Cass., 19/12/2017, n. 30393);

quanto al secondo profilo, quella della infondatezza mera della domanda della Curatela (per indebito canone concessorio, vuoi per la natura privata del bene, vuoi per la mancanza di titolo), la Corte di appello, in ogni caso, ha complessivamente osservato (a pag. 6 della sentenza), richiamando l’ordinanza ingiunzionale post istruttoria ex art. 186 ter c.p.c., emessa in corso di causa: sia che la natura demaniale del bene non era di ostacolo all’efficacia contrattuale tra privati; sia che nel periodo di efficacia dell’atto di sottomissione l’atto dispositivo non era stato ostacolato dal mancato rilascio successivo della concessione; sia che l’atto dispositivo non era viziato dalla mancanza di assenso dell’autorità marittima;

inoltre, il Collegio di merito ha aggiunto, come visto, che dalle scritture contrattuali era evincibile come i canoni concessori in parola fungessero da parametro per la determinazione di quella quota di rateo che, nel contratto tra le due società private, atteneva alla componente locativa degli immobili, sicchè erano comunque tutti dovuti, per la parte demaniale a reintegrare l’esborso sostenuto da (OMISSIS) per averne la disponibilità, per quelle private a copertura del godimento;

quanto al profilo afferente all’insussistenza di impedimenti, rispetto alle debenze, per la natura demaniale del bene ovvero per l’assenza di titolo autorizzativo, nel ricorso non si riportano idoneamente le “rationes decidendi” dell’ordinanza post istruttoria (in tesi, ad esempio, riferite all’avvenuta esecuzione del contratto su cui aveva lucrato la stessa Marina di Portorosa), sicchè risultano violati gli artt. 366 c.p.c., nn. 3 e 6;

l’ordinanza ex art. 186 ter c.p.c., come osservato, è richiamata dalla sentenza per relazione con modalità non censurata;

quanto al profilo della giustificazione causale dell’obbligazione di pagamento nei rapporti tra privati, peraltro inscindibilmente legata al profilo precedente, la plausibile lettura del contratto è censurata ancora una volta (alle pagg. 41-42 del ricorso) evocando la già esaminata qualificazione in termini di appalto, e al contempo, sotto il peculiare profilo ora in scrutinio, senza misurarsi specificatamente con la descritta ragione decisoria ricostruttiva delle circostanze costitutive e conformative del diritto di credito, quale regolato dal negozio;

il ricorso, come la memoria, sul punto, addebita alla sentenza impugnata di aver obliterato un giudicato esterno sull’invalidità o inefficacia contrattuale per carenza di titolo amministrativo abilitativo (per la parte demaniale – v. pag. 35, penultimo rigo, del ricorso – indistinta dalla ricorrente quanto alla correlativa quantificazione dell’indebito): giudicato invocato adducendo le riportate affermazioni del Tribunale Amministrativo Regionale;

al riguardo, però, vi è aspecificità, per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, perchè non è dato comprendere, dalla formulazione del gravame qui in scrutinio, se si sia trattato di affermazioni rilevanti per riter” logico e giuridico ma incidentali sul piano dispositivo, rispetto a quali precise domande, e soprattutto a fronte di quale tenore dell’atto di appello successivo, e a quale tenore complessivo della successiva decisione del Consiglio di Giustizia Amministrativa;

questa Corte ha infatti chiarito che il requisito di contenuto forma esplicitato normativamente dall’art. 366 c.p.c., n. 6 è infatti applicabile anche al documento rappresentato dalla sentenza posta a base dell’invocazione di giudicato esterno (Cass., 18/10/2011, n. 21560, Cass., 05/06/2014, n. 12658, Cass., 23/06/2017, n. 15737, Cass., 31/05/2018, n. 13988);

in conclusione, il ricorso dev’essere rigettato;

spese secondo soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali di parte controricorrente liquidate in Euro 7.200,00 oltre a Euro 200,00 per esborsi, 15% di spese forfettarie, e accessori legali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 22 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2020

 

 

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