Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25285 del 09/12/2016


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Cassazione civile sez. VI, 09/12/2016, (ud. 14/06/2016, dep. 09/12/2016), n.25285

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14996-2013 proposto da:

COMUNE CANOSA DI PUGLIA (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEGLI SCIPIONI 132, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO

MORICONI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE LIMONGILLI,

giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

e contro

D.N.F.M., D.N.G., entrambe nella qualità di

uniche coeredi legittime del D.N.G., elettivamente

domiciliata presso la CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA,

rappresentati e difesi dall’Avvocato PASQUALE ROMANO INGUSCIO,

giusta procura speciale conferita con scrittura privata autenticata

dal Notaio D.B.M., in data (OMISSIS), n. rep. (OMISSIS),

BARLETTA.

– resistenti –

avverso la sentenza n. 1319/2012 della CORTE D’APPELLO di BARI del

18/07/2012, depositata il 12/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI;

udito l’Avvocato VINCENZO MORICONI, giusta delega allegata al verbale

dell’Avvocato LIMONGELLI, difensore del ricorrente, che si riporta

ai motivi;

udito l’Avvocato PASQUALE ROMANO INGUSCIO, difensore del

controricorrente che si riporta ai motivi.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

D.N.G., proprietario di un appartamento di uno stabile situato in (OMISSIS), evocava, dinanzi al Tribunale di Trani, il Comune di Canosa chiedendone la condanna a demolire o arretrare una costruzione realizzata a distanza irregolare dal confine con l’area di pertinenza del suo immobile.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del Comune, il giudice adito, accoglieva la domanda attrice constatando la violazione della distanza minima, prevista dal regolamento comunale vigente, di 10 mt. tra il manufatto realizzato dal Comune e il fronte del fabbricato condominiale latistante e, inoltre, escludeva che detto spazio avesse natura di “spazio pubblico” così da rendere inapplicabili le prescrizioni ordinarie riguardanti le distanze tra gli edifici, e per l’effetto il Comune veniva condannato a demolire la costruzione realizzata a distanza irregolare.

In virtù di rituale appello interposto dal Comune di Canosa di Puglia, con il quale insisteva nel sostenere la natura di “spazio pubblico” dell’area interposta tra le due strutture, la Corte di appello di Bari, nella resistenza dell’appellato, respingeva il gravame e per l’effetto confermava la sentenza di primo grado. Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Bari ha proposto ricorso per cassazione l’ente locale, basato su un unico motivo, con il quale lamenta la violazione dell’art. 879 c.c., comma 2 e della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 22, all. F), nonchè falsa applicazione dell’art. 879 c.c., comma 1 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

E’ rimasto intimato il D.N..

Il consigliere relatore, nominato a norma dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c. proponendo l’accoglimento del ricorso.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex art. 380 bis c.p.c. che di seguito si riporta: “Il ricorrente nel denunciare la violazione e la falsa applicazione dell’art. 879 c.c., comma 2 e della L. n. 2248 del 1865, art. 22 lamenta che i giudici di merito, abbiano errato nel ritenere applicabile l’art. 879 c.c., comma 1 essendo stato il vespasiano di cui si discute costruito su strada pubblica e pertanto si sarebbe dovuto applicare della L. n. 2248 del 1865, all. F), art. 22, comma 2 con riferimento alle distanze da osservare tra una costrizione e l’altra. Il Comune di Canosa deduce, altresì, che dalla relazione del CTU. si evince la natura pubblica della strada interposta tra i due fabbricati, laddove si legge: “lo spazio tra i due fabbricati non è “graffato”, ciò sta a significare che catastalmente lo paio tra i due fabbricati risulta destinato a strada o spati pubblico”.

Il ricorso appare fondato.

Occorre preliminarmente inquadrare la fattispecie.

L’uso dei beni demaniali si distingue in uso comune, uso speciale e uso eccezionale. Noto il concetto di uso comune, l’uso eccezionale di un bene demaniale determina un uso difforme dalla destinazione dei bene, costituendone una limitazione; l’uso speciale, invece, è conforme alla destinazione del bene, che non viene alterata o limitata, essendo soltanto più intenso rispetto all’uso comune consentito in modo indifferenziato a tutti i componenti della collettività. Nel primo caso l’uso del bene è consentito a tutti i cittadini indistintamente ed avviene secondo la normale destinazione del bene; nel secondo caso occorre un’autorizzazione dell’autorità amministrativa e il bene deve essere utilizzato in modo conforme alle sue caratteristiche; nel terzo caso, infine, l’uso è riservato ai soggetti muniti di concessione amministrativa e il bene viene utilizzato in modo difforme dalle sue caratteristiche.

Secondo orientamento risalente di questa Corte, costituisce uso speciale della strada pubblica l’apertura, ad opera del privato, di un passo carrabile fra questa e il fondo latistante di sua proprietà (Cass. n. 5136 del 1981).

Nel caso di specie, vantando i condomini il rilascio del passo carrabile (vedi pag. 8 punto 5) del ricorso), la Corte di merito avrebbe dovuto provvedere ad accertare la natura dello spazio anche alla luce di detto elemento, pacificamente escluso.

Inoltre la L. n. 2248 del 1865, all. F), art. 22 stabilisce una presunzione di appartenenza al demanio stradale comunale delle piazze, degli spazi e dei vicoli all’interno delle città e dei villaggi, che siano adiacenti a strade comunali ed aperti su suolo pubblico, che cioè sbocchino o siano in comunicazione diretta con detto suolo; trattasi di una presunzione “iuris tantum”, cioè suscettibile della prova contraria, che deve risultare dalla esistenza di consuetudini che escludano la demanialità del suolo preso in considerazione per il tipo di area, o di convenzioni che ne attribuiscano la proprietà a soggetto diverso dal Comune, ovvero da situazioni che dimostrino la natura privata del suolo stesso.

I Giudici di merito sono pervenuti alla conclusione che si trattasse di strada privata e, pertanto, hanno ordinato la demolizione del vespasiano, basandosi esclusivamente sulla presenza dei cancelli, ossia di una recinzione, autorizzata dallo stesso Comune. Pertanto, si ritiene che si possa procedere in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., per ivi disporre l’accoglimento dei ricorso”.

Gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra sono condivisi dal Collegio, laddove la sentenza impugnata, nell’apprezzare l’eccezione di esonero dall’obbligo di osservanza delle distanze legali nelle costruzioni, non ha tenuto in adeguato conto la presunzione di demanialità, ai sensi della L. n. 2248 del 1865, art. 22, all. 19, la cui operatività postula l’ubicazione delle aree all’interno dell’abitato, l’immediata contiguità di esse alla via pubblica, l’essere le stesse in comunicazione diretta con il suolo pubblico (in tal senso: Cass. n. 8876 del 2011; Cass. n. 4975 del 2007; Cass. n. 5262 del 2006; Cass. n. 7708 del 2002; Cass. n. 5522 del 1996; Cass. n. 10309 del 1994; Cass. n. 2974 del 1991), circostanze che avrebbero dovuto essere tutte verificate dalla corte di merito per ritenere raggiunta la prova contraria.

La Corte di Appello si è basata su un unico elemento, quale l’esistenza di una recinzione, e quindi risulta incongrua la motivazione della sentenza impugnata che, in una situazione di fatto quale quella risultante dalla medesima decisione, ha poi applicato un principio di diritto riferito ad una situazione affatto diversa.

La sentenza impugnata, pertanto, va cassata, con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Bari, che provvederà ad un nuovo esame nel merito della controversia alla luce dei principi sopra enunciati, nonchè alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso;

cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra Sezione della Corte di appello di Bari, anche per le spese del giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2^ Sezione civile della Corte di Cassazione, il 14 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2016

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