Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25282 del 11/11/2013


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 25282 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: ACIERNO MARIA

SENTENZA

sul ricorso 34930-2006 proposto da:
OLIVIERI

GABRIELLA

(c.f.

LVRGRL47L67I693K),

elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE
MARZIO 3, presso l’avvocato VAIANO DIEGO, che la

Data pubblicazione: 11/11/2013

rappresenta e difende unitamente all’avvocato
DEMARTINI FRANCESCO, giusta procura in calce al
2013

ricorso;
– ricorrente –

1266

contro

SBISA’

PIER

LUCA

(C.F.

SBSPLC27R13F205T),

1

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA S. AGATONE
PAPA 50, presso l’avvocato MELE CATERINA,
rappresentato e difeso dagli avvocati FERRUTI
GIULIO EUGENIO MARIA, MARTINO ANTONIO, giusta
procura a margine del controricorso;
controricorrente

avverso la sentenza n. 1623/2006 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 24/06/2006;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 16/07/2013 dal Consigliere
Dott. MARIA ACIERNO;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato FRANCESCO
DEMARTINI che ha chiesto l’accoglimento del
ricorso;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato CATERINA
MELE, con delega, che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso

per il rigetto del ricorso.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Milano
ha confermato la sentenza di primo grado con la quale era
stata rigettata l’opposizione a decreto ingiuntivo

proposta da Gabriella Olivieri nei confronti di Pierluca
Sbisà. Quest’ultimo aveva ottenuto decreto ingiuntivo
per l’importo di 500 milioni di lire, versato in qualità
di fideiussore della Olivieri, a saldo del passivo del
conto corrente bancario, intestato all’opponente e
garantito dalla predetta fideiussione.
A sostegno dell’opposizione era stato dedotto che
l’opponente era un’intestataria fittizia del conto il cui
effettivo titolare era il fideiussore; che la simulazione
era stata da quest’ultimo posta in essere al fine di
poter liberamente operare in qualità di Presidente della
s.r.l. Baia delle Favole e che tale intestazione di
comodo risultava da una lettera inviata dallo Sbisà al
marito della opponente nel 1997 oltre che risultare dalla
movimentazione del conto e poter essere provata dai
capitoli di prova articolati. Il giudice di primo grado
rigettava l’opposizione.
La corte d’Appello confermava la pronuncia di primo grado
e per quel che interessa affermava :

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a) Non è né plausibile né comprensibile il perché della
dedotta interposizione soggettiva. Non è chiara la
ragione per cui lo Sbisà avrebbe assunto il carico
esclusivo alcuni debiti sociali invece che pro quota
unitamente agli altri soci.

b) Il documento ritenuto confessorio tale non è né sotto il
profilo soggettivo, non essendo diretto all’opponente, né
sotto il profilo oggettivo in quanto la parte nella quale
si riferisce dell’intestazione di comodo del conto non
era attribuibile al fideiussore Sbisà ma al coniuge della
Olivieri, in quanto riprodotta da una precedente missiva
del 1993;
c) Correttamente è stata esclusa l’ammissibilità della prova
ex art. 2721 cod. civ. per superamento dei limiti di
valore in quanto del tutto inverosimile che l’accordo
dedotto dall’opponente non trovi conforto in uno scritto;
d) La lettera in questione non può integrare il principio di
prova scritta che, ai sensi dell’art. 2724 cod. civ. n.1,
avrebbe dovuto dare ingresso alle prove orali perché
l’espressione ritenuta confessoria non è riferibile al
fideiussore ma al marito della opponente. Del pari
insufficienti i riscontri relativi agli assegni tratti
dal conto garantito solo perché reca in larga parte
l’indicazione come beneficiario la società di cui lo
Sbisà era presidente.

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Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione
la Olivieri affidato a 5 motivi.
Ha resistito con controricorso lo Sbisà. Il contro
ricorrente ha, altresì depositato memoria ex art. 378

cod. proc. civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Nel primo motivo viene dedotta la violazione e falsa
applicazione dell’art. 2735 cod. civ. per non avere la
Corte d’Appello riconosciuto il valore di confessione
stragiudiziale resa ad un terzo alla lettera del
29/12/1997 proveniente dal convenuto-opposto ed inviata
al marito dell’opponente.

Il motivo è manifestamente infondato. La cd. confessione
stragiudiziale rivolta ad un terzo non ha valore di
prova legale ma può essere liberamente valutata dal
giudice, come univocamente riconosciuto dalla
giurisprudenza di legittimità

“La confessione

stragiudiziale fatta ad un terzo non ha valore di prova
legale, come la confessione giudiziale o stragiudiziale
fatta alla parte, e può, quindi, essere liberamente
apprezzata dal giudice, a cui compete, con valutazione
non sindacabile in cassazione se adeguatamente motivata,
stabilire la portata della dichiarazione rispetto al

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diritto fatto valere in giudizio”.

(ex multis, Cass.

29316 del 2008).

Peraltro la Corte d’Appello ne ha anche negato il
contenuto intrinseco confessorio spiegandone le ragioni.

Nel secondo motivo la medesima censura viene prospettata
sotto il profilo del vizio di motivazione ma manca
radicalmente la sintesi finale del motivo richiesta
dall’art. 366 bis cod. proc. civ., ratione temporis
applicabile (sentenza pubblicata il 24 giugno 2006; norma
applicabile ai provvedimenti pubblicati dopo il
2/3/2006).
Nel terzo motivo viene dedotto il vizio di motivazione
per non avere la Corte d’Appello desunto dai plurimi
elementi di prova documentale, costituiti in particolare
dagli assegni tratti sul conto in contestazione ed emessi
in favore dello Sbisà, della società Baia delle Favole o
della moglie dell’opposto, indizi univocamente indicativi
della simulazione e della interposizione fittizia del
contratto di fideiussione. Anche questo motivo difetta
della sintesi finale richiesta a pena d’inammissibilità
dall’art. 366 bis cod. proc. civ., ratione temporis
applicabile. Con esso, peraltro, la parte ricorrente mira
ad ottenere un’inammissibile rivalutazione dei fatti

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incensurabilmente valutati dalla Corte d’Appello con
adeguata ed esauriente motivazione.
Nel quarto motivo viene dedotta la violazione dell’art.
2721 cod. civ. per non avere la Corte d’Appello ammesso

le prove orali richieste fin dal primo grado di giudizio,
ritenendo applicabile il divieto, costituito dal limite
di valore indicato nella norma e per avere escluso, ex
art. 2724 cod. civ., che le lettera del 29/12/97 e la
precedente del 22/11/93 potessero costituire un principio
di prova iscritto idoneo ad introdurre le prove orali. Al
riguardo deve osservarsi con riferimento alla prima parte
della censura formulata che per univoco orientamento
della giurisprudenza di legittimità, l’ammissione della
prova testimoniale oltre i limiti di valore stabiliti
dall’art. 2721 cod. civ. costituisce un potere
discrezionale del giudice di merito il cui esercizio o
mancato esercizio è insindacabile in sede di legittimità
ove correttamente motivato (Cass. 13621/2004;11889 2007).
Ne consegue l’inammissibilità della censura, formulata
sotto il solo profilo della violazione di legge. Per
quanto riguarda la seconda parte del motivo, non può che
rilevarsi come l’oggetto della censura sia la richiesta
di una rivalutazione del contenuto e dell’efficacia
probatoria delle missive, incensurabilmente rimesse alla
valutazione discrezionale del giudice di merito, tenuto
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conto dell’ampio ed adeguato percorso motivazionale
seguito dalla sentenza impugnata. Peraltro la censura
ripropone nella sostanza, quelle già esaminate e respinte
nei primi due motivi.

sotto il profilo del vizio di motivazione ma manca la
sintesi finale richiesta a pena d’inammissibilità
dall’art. 366 bis cod. proc. civ. ratione temporis
applicabile.
Al rigetto del ricorso segue l’applicazione del principio
della soccombenza in ordine alle spese del presente
procedimento.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore
della parte contro ricorrente delle spese di lite del
presente procedimento che liquida in E 12.000 per
compensi; E 200 per esborsi oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 16
luglio 2013

Nel quinto motivo la medesima censura viene proposta

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