Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25281 del 11/11/2020

Cassazione civile sez. III, 11/11/2020, (ud. 21/07/2020, dep. 11/11/2020), n.25281

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 35226/2018 proposto da:

D.V.M., elettivamente domiciliato in Roma, alla Via

Martinsicuro n. 5, presso lo studio dell’avvocato Mastrangelo

Antonietta, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.E., elettivamente domiciliato in Roma, alla piazza

Cairoli, n. 2, presso l’avvocato Castorino Gianfranco, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

21/07/2020 da Dott. Cristiano Valle.

Osserva quanto segue:

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1) Tra D.V.M. e P.E. intercorsero, dal 2004 in poi, diversi contratti di soccida semplice, insistenti sui terreni siti in (OMISSIS), stipulati ai sensi della L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 45, la cui scadenza venne, in ultimo, fissata al 2011, nei quali D.V.M. assunse sempre la qualifica di soccidario e il P. di soccidante.

1.1) Nel 2010 il soccidario dedusse in giudizio, dinanzi alla competente Sezione Specializzata Agraria del Tribunale di Roma, gravi irregolarità nella gestione da parte del soccidante, con particolare riferimento al mancato rimborso di somme spese e ne chiese il pagamento, oltre al risarcimento del danno.

1.2) Nel contraddittorio con il P., che chiese a sua volta, in via riconvenzionale, il pagamento di somme spese, il Tribunale di Roma, Sezione Specializzata Agraria, esperita una consulenza tecnico-contabile, rigettò sia le domande del D.V. che le domande riconvenzionali del P., ad eccezione di quella di scioglimento del rapporto ai sensi dell’art. 2180 c.c., con condanna del D.V. al pagamento delle spese di lite e di quelle di consulenza tecnica di ufficio.

1.3) Su appello principale del D.V., ed incidentale del P., la Corte di appello di Roma, Sezione Specializzata Agraria, ha rigettato entrambe le impugnazioni e ha compensato tra le parti, le spese del grado.

1.4) Avverso la sentenza d’appello ricorre, con atto affidato a tre motivi, il soccidante D.V.M..

1.5) Resiste con controricorso P.E..

1.6) Il P.G. non ha depositato conclusioni.

1.7) Non sono state depositate memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2) L’esposizione dei fatti di causa, sebbene non particolarmente perspicua, consente di cogliere i punti essenziali della controversia e, pertanto, il ricorso non incorre in inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, come prospettato in controricorso dal P..

2.1) Il primo motivo, d’impugnazione di legittimità, è formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 115 e art. 116 c.p.c., n. 3. Il mezzo prospetta congiuntamente, nella sua stessa intestazione, violazioni di falsa applicazione o sussunzione e di omesso esame.

2.2) La prospettazione dei due vizi promiscuamente in un unico motivo è già di per sè ragione che induce a dubitare dell’ammissibilità complessiva di esso.

Il motivo è, invero, inammissibile, in quanto, pur potendosi in astratto affermare la cumulabilità della proposizione dei due rimedi secondo l’affermazione della (oramai) risalente giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 9793 del 23/04/2013 – Rv. 626154 – 01): “E’ ammissibile il ricorso per cassazione il quale cumuli in un unico motivo le censure di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, allorchè esso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto” – sulla quale è, nondimeno, di recente sorto contrasto ad opera di più vicine pronunce (per l’inammissibilità integrale del cumulo si veda Cass. n. 26874 del 23/10/2018) -, nella specie il detto motivo non consente in alcun modo di discernere i profili attinenti la violazione di legge da quelli di omesso esame di fatto decisivo. Ciò in quanto da un lato il fatto decisivo non è ben identificato, trattandosi, semmai di più fatti che, nella prospettazione del ricorrente sarebbero stati non esaminati, ma sul punto la difesa del D.V. cade in contraddizione, in quanto deduce omesso esame di annotazioni concernenti gli acconti ricevuti dal P., annotazioni da questo effettuate, ma fonda conseguentemente la propria pretesa, o parte di essa, proprio sul brogliaccio tenuto dal soccidante e allegato sin dal primo grado da esso soccidario.

Dall’altro lato il vizio passa, quindi, a denunciare un argomentare contraddittorio della sentenza d’appello in ordine alla documentazione depositata in atti, ma tuttavia non deduce correttamente un vizio di sussunzione con riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c., in ordine alla valutazione delle prove da parte della Corte territoriale, che, in breve, afferma che stante la carenza della documentazione in atti bisogna ritenersi corretta la valutazione del consulente tecnico di ufficio. Il D.V., inoltre, non deduce di avere mosso contestazioni, rituali e tempestive, alla consulenza tecnico contabile di ufficio (e tantomeno indica dove e quando, nelle fasi di merito, dette contestazioni erano state prospettate), che, si apprende dal controricorso, aveva riconosciuto la spettanza di somme in favore del soccidante P..

Il richiamo all’art. 115, è del tutto improprio, poichè non espone quali prove il giudice dell’impugnazione di merito avrebbe trascurato e pure fuorviante è l’indicazione dell’art. 116 c.p.c., laddove il motivo non espone dove e quando la Corte di Appello non avrebbe valutato le prove raccolte secondo il criterio del libero convincimento.

2.3) Il primo motivo è, pertanto, inammissibile.

3) Il secondo mezzo deduce violazioni di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., nonchè in relazione all’art. 156 c.p.c., ed all’art. 111 Cost., alle quali aggiunge anche il riferimento di omesso esame di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1.

La censura è per nullità della sentenza e (o) del procedimento, in quanto la Corte di Appello non avrebbe adeguatamente motivato sulle contestazioni mosse dal D.V..

3.1) Il motivo, con riferimento alla sua prima parte, ovvero all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si compone di due pagine (dalla metà di pag. 11 alla metà di pag. 13) di riferimenti alla giurisprudenza di legittimità in tema di nullità della sentenza per omessa motivazione, ma, nelle successive due pagine omette di indicare per quale ragione la sentenza della Corte territoriale sarebbe, in concreto, affetta da detta nullità.

Con riferimento al parametro di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, il motivo non indica, come scritto con riferimento al primo mezzo, dove e quando le contestazioni ed i rilievi, asseritamente mossi alla consulenza tecnica di ufficio (e delle quali il giudice di appello non avrebbe tenuto conto) sarebbero state effettuate nelle fasi di merito e nella sua parte espositiva esso si limita a rinviare all’enunciazione effettuata con il primo motivo, senza alcuna adeguata trascrizione delle contestazioni portate (secondo la prospettazione del ricorrente) a conoscenza del giudice di appello.

3.2) Il secondo motivo è, quindi, anch’esso inammissibile.

4) Il terzo motivo è intestato come il secondo, salvo il riferimento, in questo caso mancante, dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

4.1) Il mezzo deduce che la sentenza d’appello sarebbe affetta da vizio motivazionale, in quanto non avrebbe statuito sulla domanda di inadempimento e conseguente risarcimento del danno da esso ricorrente proposta sin dal primo grado di giudizio, ritenendola impropriamente assorbita.

4.2) Il motivo è inammissibile: a parte la mancata specifica riproduzione dell’atto introduttivo del giudizio, dal quale solo potrebbe cogliersi la proposizione della domanda di accertamento dell’inadempimento con conseguente condanna al risarcimento dei danni, la sentenza d’appello ha una idonea motivazione sul punto (pag. 5) laddove afferma che “Avendo, il giudice di primo grado, infatti, accertato l’insussistenza del credito assunto, anzi di aver erogato il soccidante P. importi superiori, la domanda, svolta (cfr. ricorso in primo grado) peraltro di sola condanna “al risarcimento dei danni subiti da accertarsi in corso di causa” (oltre al pagamento delle somme “predette”), sostanzialmente proposta, come pare per dalle allegazioni svolte, per la mancata corresponsione delle spese forfettarie e degli utili, in mancanza di alcuna esplicitazione, deve ritenersi ovviamente assorbita”, cosicchè il dedotto vizio di omissione di motivazione non è utilmente prospettato. La giurisprudenza di questa Corte è, peraltro, ferma nel ritenere (Cass. n. 30684 del 21/12/2017 Rv. 651523 – 01) che “Nel giudizio di legittimità va tenuta distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda da quella in cui si censuri l’interpretazione che ne ha dato il giudice del merito. Nel primo caso, si verte in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c. e si pone un problema di natura processuale, per la soluzione del quale la S.C. ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiesta. Nel secondo caso, invece, poichè l’interpretazione della domanda e l’individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice del merito, in sede di legittimità va solo effettuato il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata”.

4.3) Il terzo ed ultimo mezzo è, quindi, anch’esso, inammissibile.

5) Il ricorso è, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

6) Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

7) La natura agraria della controversia esclude l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (Cass. n. 06227 del 31/03/2016 Rv. 639365 – 01).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 3.000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15%, oltre CA e IVA per legge;

rilevato che dagli atti il processo risulta esente, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 21 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2020

 

 

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