Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25277 del 10/11/2020

Cassazione civile sez. III, 10/11/2020, (ud. 25/09/2020, dep. 10/11/2020), n.25277

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6874-2018 proposto da:

KREA SRL IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

DEL PARLAMENTO 3, presso lo studio dell’avvocato LUCA MAORI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO VELLUCCI;

– ricorrente –

contro

IPI GROUP SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO,

17/A, presso lo studio dell’avvocato IVANA CLEMENTE, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato WALTER CABRAS;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 907/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 31/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/09/2020 dal Consigliere Dott. SCRIMA ANTONIETTA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Krea s.r.l. in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione, basato su tre motivi e illustrato da memoria, avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze n. 907/2017, depositata il 31 agosto 2018, di rigetto del gravame dalla medesima proposto avverso la sentenza n. 272 del 27 aprile 2016 del Tribunale di Prato che, a conferma dell’ordinanza del 4 novembre 2015, emessa ex art. 186-quater c.p.c., aveva dichiarato risolto per morosità il contratto di locazione per uso non abitativo stipulato tra le parti in relazione ad un immobile sito in Calenzano, con condanna della conduttrice Krea S.r.l. al rilascio di tale immobile per la data del 4 gennaio 2016, confermando il disposto esame, in separata sede, delle altre domande proposte dalle parti.

In particolare, nella specie, IPI Group S.r.l. aveva intimato alla Krea S.r.l. sfratto per morosità per l’importo complessivo di Euro 61.000,00 (per canoni di locazione maturati da ottobre 2014 a gennaio 2015) relativamente al detto bene immobile e, contemporaneamente, l’aveva convenuta davanti al Tribunale di Prato per la convalida e l’ingiunzione di pagamento.

A seguito di opposizione alla convalida, con contestuale versamento di somma pari ai canoni scaduti e al canone di marzo 2015, e avendo l’intimante insistito nella convalida, era stato disposto il mutamento del rito, con concessione del termine per il deposito di memorie integrative.

Con ordinanza, ex art. 186-quater c.p.c., del 4 novembre 2015, previa istruzione della causa con acquisizione di documenti, il Tribunale adito aveva pronunciato la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento della conduttrice e condannato la Krea S.r.l. al rilascio dell’immobile locato per la data del 4 gennaio 2016 e, con separata ordinanza, aveva disposto per l’ulteriore trattazione in merito alla domanda riconvenzionale formulata dall’intimata e alla domanda – avanzata dall’intimante – di condanna al pagamento dei canoni scaduti al momento della precisazione delle conclusioni.

Avendo la parte intimata manifestato, entro trenta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza, con ricorso notificato all’altra parte e depositato in cancelleria, la volontà che fosse pronunciata la sentenza, con sentenza n. 272 del 27 aprile 2016, il Tribunale aveva così statuito: “a conferma dell’ordinanza del 04 11.2015 (…) dichiara risolto per morosità il rapporto di locazione (…) con condanna della conduttrice (…) a rilasciare detto immobile (…) per la data del 04.01.2016 (…) restando in separata sede l’esame di merito alle altre domande proposte dalle parti”.

IPI Group S.r.l. ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, lamentando violazione dell’art. 112 c.p.c., la parte ricorrente lamenta che il Giudice di primo grado, a fronte della “purgazione” della morosità nel procedimento di sfratto, abbia proceduto al mutamento del rito, risolvendo poi il contratto tra le parti, laddove la parte locatrice, invece, all’udienza della fase sommaria del 4 marzo 2015, aveva unicamente insistito per la convalida di sfratto e non per la risoluzione contrattuale.

Nel denunciare che la Corte di appello avrebbe ritenuto implicita la domanda di risoluzione, rigettando il gravame sul punto, la ricorrente censura, quindi, la sentenza impugnata per violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato in relazione alla pronuncia dichiarativa di intervenuta risoluzione del contratto, stante il mancato esercizio del diritto potestativo, da parte dell’originaria ricorrente, nell’ambito del giudizio da costei instaurato per la convalida di sfratto, riconducibile alla clausola risolutiva espressa, pattiziamente concordata tra le parti nell’ambito del contratto di locazione.

1.1. Il motivo è infondato.

Ed invero la Corte territoriale ha correttamente applicato i principi già affermati dalla giurisprudenza di legittimità e secondo cui, nel procedimento per convalida di sfratto, l’opposizione dell’intimato provoca una radicale trasformazione del rito, determinando la cessazione dell’originario rapporto processuale, fondato sulla domanda di convalida, e l’insorgere di un nuovo e diverso rapporto processuale, alla cui base è l’ordinaria domanda di accertamento e di condanna o di risoluzione e di condanna, che può ritenersi implicitamente proposta dal locatore qualora, dopo l’opposizione dell’intimato, prosegua la sua attività processuale finalizzata alla realizzazione della pretesa sostanziale (Cass. 30/09/2015, n. 19525; Cass. 25/10/1980, n. 5758; v. anche Cass. 18/11/2005, n. 24460).

Va peraltro osservato che la previsione esplicita in contratto di una clausola risolutiva espressa non è ostativa alla conclusione cui è pervenuta la Corte territoriale.

Nella specie, inoltre, la Corte di merito – come si evince dalla sentenza impugnata in questa sede – ha ritenuto corretta la decisione del Tribunale secondo cui la “sospensione” nell’adempimento dell’obbligazione del conduttore (versamento del canone), protrattasi già per quattro mesi, integrasse inadempimento di non scarsa importanza, tanto più che i contestati inadempimenti ascritti alla locatrice non si riverberavano sul mantenuto godimento dell’immobile locat4 e si è pronunciata, quindi, valutando – sulla base di un accertamento in fatto – l’importanza dell’inadempimento (v. sentenza impugnata, p. 8 e 9) e non con riferimento alla clausola risolutiva espressa, richiamata solo ad colorandum e nella specie non azionata, come pure affermato dalla stessa ricorrente nell’incipit del secondo motivo.

2. Con il secondo motivo, rubricato “Art. 360 c.p.p., comma 1, n. 3 e 5. Violazione e falsa applicazione degli art. 1455,1456 e 1460 c.c., “la ricorrente sostiene che il Giudice di primo grado e quello di appello avrebbero errato per le ragioni appresso indicate: a) avrebbero tenuto in considerazione, ex art. 1456 c.c., tra i criteri per accertare la gravità dell’inadempimento della conduttrice, la clausola risolutiva espressa mentre la locatrice non avrebbe agito invocando tale normativa; b) non avendo la locatrice agito ex art. 1456 c.c., sarebbe stato dovere prima de Tribunale e poi della Corte territoriale accertare in concreto la gravità dell’inadempimento della conduttrice, considerando l’intero rapporto contrattuale tra le parti ed anche l’eccezione ex art. 1460 c.c., sollevata dalla conduttrice.

La ricorrente lamenta, quindi, che dapprima il Tribunale e poi la Corte di merito non abbiano tenuto in alcuna considerazione l’eccezione di cui all’art. 1460 c.c., sollevata dalla conduttrice nella comparsa di costituzione con una serie di domande riconvenzionali, che avrebbero poi avuto parziale positivo riscontro nella sentenza della Corte di appello n. 2904/17 (in attesa di motivazione, al momento della redazione del ricorso). La medesima parte denuncia che il Tribunale abbia, invece, addirittura stralciato il procedimento seguente alla fase sommaria di sfratto, nato unico, in due procedimenti – l’uno relativo all’accertamento della risoluzione, l’altro relativo alla riconvenzionale di parte conduttrice – mentre, ad avviso della ricorrente, sarebbe stata necessaria una valutazione unitaria per accertare la gravità (o meno) dell’inadempimento della conduttrice rispetto al reciproco inadempimento della locatrice. Infine, la ricorrente sostiene che, in ogni caso, l’inadempimento della conduttrice sarebbe stato considerato grave nonostante la locatrice avesse indebitamente trattenuto il deposito cauzionale.

2. Il motivo è inammissibile, tendendo, in sostanza, ad una rivalutazione del merito, non consentita in questa sede, nè potendosi lamentare, in sede di legittimità, la separazione delle domande operata, peraltro, in primo grado (Cass., ord., 27/03/2019, n. 8446; Cass. 5/08/2003, n. 11831). Va, inoltre, ribadito quanto già osservato nell’ultima parte del p. 1.1. in relazione alla clausola risolutiva espressa.

3. Con il terzo motivo, rubricato “Sulla condanna di Krea Srl per le spese processuali nella fase sommaria. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5. Violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c.”, si sostiene che la Corte di merito avrebbe omesso la valutazione del gravame proposto sulle spese del procedimento sommario.

3.1. Il motivo, a prescindere da ogni profilo di inammissibilità (v., al riguardo, CASS. 4/06/2007, n. 12963), è in ogni caso infondato atteso che la condanna alle spese di cui alla sentenza del Tribunale non è riferita al solo procedimento sommario (come inizialmente nell’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 186-quater c.p.c.) ma all’intero giudizio di primo grado, come correttamente evidenziato dalla Corte di merito.

Peraltro deve rimarcarsi che, essendo stata chiesta l’emissione della sentenza, dopo l’emanazione della richiamata ordinanza, è alla sentenza che occorre far riferimento per le spese del giudizio di primo grado e non già all’ordinanza in parola, che è espressamente prevista dalla norma come revocabile con la sentenza.

4. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

5. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

6. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore della controricorrente, in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2020

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