Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25276 del 10/11/2020

Cassazione civile sez. III, 10/11/2020, (ud. 24/09/2020, dep. 10/11/2020), n.25276

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6414-2019 proposto da:

SOCIETA’ WIND TRE SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI

PORTA PINCIANA 34, presso lo studio dell’avvocato DARIO PICONE, ce

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato VITTORIO DONATO

GESMUNDO;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PISA, rappresentato e difeso dall’avv. Michele Roma ed

elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, piazza

Cavour n. 19;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

D.S. e B.F., rappresentate difese

dall’avv. Maurizio Capurso ed elettivamente domiciliate nello studio

dell’avv. Giuliana Aliberti in Roma, via degli Avignonesi 5;

– controricorrenti –

NOKIA SOLUTIONS AND NETWORKS ITALIA SPA, rappresentata e difesa

dall’avv. Alessandro Giorgetti ed elettivamente domiciliata nello

studio dell’avv. Angelo Vallefuoco in Roma, viale Regina Margherita

294;

– controricorrente –

GEA s.r.l. in liquidazione, GENERALI ITALIA SPA, REALE MUTUA

ASSICURAZIONI, ALLIANZ SPA;

– intimate –

avverso la sentenza n. 2875/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 11/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/09/2020 dal Presidente Dott. GRAZIOSI CHIARA;

considerate le conclusioni del P.M. in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CARDINO ALBERTO.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

D.S. e A.N. convenivano davanti al Tribunale di Pisa il Comune di Pisa per il risarcimento dei danni derivati dalla morte della loro figlia A.E., avvenuta il (OMISSIS) per sua caduta da motociclo, a loro avviso originata da anomalie sul manto stradale di una strada comunale.

Per quanto qui interessa, il Comune si costituiva resistendo e chiamava la società cui aveva autorizzato i lavori sulla strada, ora Wind Tre S.p.A., la quale a sua volta chiamava la società cui li aveva appaltati, ora Nokia Solutions and Networks Italia S.p.A..

Espletata consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale, con sentenza n. 1294/2014, rigettava ogni domanda attorea, negando la sussistenza della responsabilità del Comune ai sensi dell’art. 2051 c.c..

S. e A. proponevano appello principale e il Comune appello incidentale; sempre nei limiti di quanto qui interessa, Wind Tre – all’epoca Wind Tre Italia S.p.A. – si costituiva resistendo, e la sua appaltatrice, a quell’epoca Alcatel-Lucent S.p.A., proponeva pure appello incidentale condizionato.

La Corte d’appello di Firenze, con sentenza dell’11 dicembre 2018, accoglieva l’appello principale, condannando il Comune a risarcire ciascuno dei genitori nella misura di Euro 331.000, devalutati al 28 aprile 2000 e con rivalutazione annua sulla somma rivalutata e interessi sulla somma così annualmente rivalutata dal 28 aprile 2000 alla pubblicazione della sentenza; condannava Wind Tre Italia a tenere indenne da ciò il Comune; rigettava la domanda di manleva di Wind Tre Italia nei confronti di Alcatel-Lucent.

Ha proposto ricorso principale, articolato in quattro motivi, Wind Tre S.p.A. (illustrato anche con memoria) contro il Comune e nei confronti delle altre parti. Il Comune si è difeso con controricorso in cui ha versato pure ricorso incidentale – composto di due motivi e illustrato anche con memoria – contro Wind Tre e contro i genitori della vittima. Hanno proposto controricorso, illustrato anche con memoria, D.S. – in proprio e quale erede di A.N., nelle more deceduto – e B.F. – quale erede di A.N. -. Ha presentato ulteriore controricorso Nokia Solutions and Networks Italia.

Il Procuratore Generale ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale e per l’accoglimento, per quanto di ragione, del secondo motivo del ricorso incidentale.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. In primo luogo, deve considerarsi che nel suo controricorso il Comune di Pisa ha eccepito la tardività del ricorso principale, in quanto la sentenza d’appello è stata notificata a mezzo di posta elettronica certificata in data 12 dicembre 2018 a tutte le parti dagli appellanti S./ A. – così da far partire il termine breve per impugnare nei confronti di tutte le parti (Cass. sez. 3, 7 giugno 2018 n. 14722) – laddove il ricorso venne poi notificato al Comune il 10 aprile 2019. Pertanto la sentenza sarebbe passata in giudicato sulla condanna di Wind.

Anche D.S. e B.F., nel loro controricorso, hanno formulato la stessa eccezione di tardività nei confronti del ricorso principale, in riferimento alla notifica di esso al Comune di Pisa.

Tali eccezioni non sono fondate, in quanto, nella fattispecie, sussiste un evidente litisconsorzio processuale necessario derivante dalla sussistenza di chiamate in garanzia, con conseguente inscindibilità delle cause ai sensi dell’art. 331 c.p.c. (cfr., ex multis., Cass. sez. 3, ordinanza 31 ottobre 2017 n. 25822 e Cass. sez. 3, ord. 26 ottobre 2017 n. 25417 citata quest’ultima al riguardo anche dal Procuratore Generale).

2. Il ricorso principale propone, come già si anticipava, quattro motivi.

2.1.1 Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1655 ss., artt. 1342 ss. c.c. e art. 5 ss. del Disciplinare Tecnico per l’Esecuzione di lavori interessanti Sedi Stradali e Spazi Pubblici Comunali, nonchè degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. e omessa considerazione di elementi decisivi, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

La Corte d’appello avrebbe ritenuto la ricorrente inadempiente contrattuale nei confronti del Comune quanto al ripristino di “pavimentazione binder”. Oppone la ricorrente che non sussisteva alcun contratto, avendole invece il Comune rilasciato una mera autorizzazione, il che sarebbe dimostrato “dalla documentazione” prodotta in primo grado. L’obbligo di ripristinare la sede stradale sarebbe stato del concessionario, ovvero Alcatel, come risulterebbe dall’art. 5 del Disciplinare Tecnico per l’Esecuzione di lavori interessanti Sedi Stradali e Spazi Pubblici Comunali; e sarebbe stato poi onere del Comune segnalare tempestivamente ad Alcatel la presenza di eventuali avvallamenti sul manto stradale, eppure “dagli atti non emerge” che l’abbia segnalato, e a nessuno dei soggetti coinvolti (ricorso, pagine 12 s.: “Dagli atti non emerge che Wind, Alcatel o Simei (società subappaltatrice: n.d.r.), in una data antecedente al verificarsi del sinistro, abbiano ricevuto segnalazioni sull’esistenza dell’avvallamento di cui è causa e/o abbiano ritardato gli interventi di ripristino cui, in ipotesi, fossero stati tenuti: il primo saggio del Comune è stato effettuato il 3 maggio 2000…”).

Pertanto, “alla luce di tali risultanze” sarebbe evidente l’errore commesso dal giudice d’appello nel ritenere la ricorrente responsabile.

2.1.2 Anche a prescindere dall’introduzione pure di un novum (come l’addotta assenza di segnalazioni sullo stato del manto stradale da parte del Comune), assorbente di ogni altro rilievo è la ineludibile constatazione che questo motivo – come già segnala, a ben guardare, la conformazione quanto mai ibrida della sua rubrica, che miscela norme sostanziali e norme processuali, ma soprattutto inserisce congiuntamente il mezzo dettato dal n. 3 a quello dettato dal n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, – è direttamente fattuale, come attesta sine dubio il riferimento ad elementi propri del compendio probatorio, anche lato sensu (come le valutazioni tecniche che sarebbero emerse dall’accertamento tecnico preventivo). La sostanza del motivo, invero, persegue una nuova “strutturazione” del merito tale da condurre ad escludere la responsabilità della ricorrente per indirizzarla, invece, in capo al Comune o in capo all’allora Alcatel.

Il motivo, dunque, è chiaramente inammissibile.

2.2.1 Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2051,2043,1665 e 1667 c.c., artt. 112,115 e 116 c.p.c., nonchè omessa considerazione di elementi decisivi, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

La Corte d’appello, stimato incontestato il contratto d’appalto tra l’attuale ricorrente e l’allora Alcatel, avrebbe ritenuto che “nessuna contestazione specifica è stata effettuata” nelle memorie dell’attuale ricorrente “sulla produzione documentale effettuata e sulla valenza dei documenti. In particolare non vi è contestazione che l’opera sia quella oggetto del giudizio e dall’altra parte la data di riconsegna è la medesima (22 marzo 2000) citata più volte dalle parti in atti”. Da questo il giudice avrebbe dedotto che, in forza del principio di non contestazione, sarebbe stato provato che “l’opera sia stata accettata” dall’attuale ricorrente, conseguendone ai sensi dell’art. 1665 c.c., il trasferimento ad essa, quale committente, della responsabilità dei danni prodotti dall’opera.

Oppone la ricorrente che il documento 3 allegato alla memoria istruttoria di Alcatel del 30 gennaio 2009 “cui la Corte fa riferimento” non conterrebbe una accettazione dei lavori di ricostruzione della strada, ma riguarderebbe soltanto l’impianto a fibra ottica. Inoltre la “Comunicazione Accettazione Impianto” non sarebbe considerabile come una accettazione dei lavori stradali, perchè questi il 22 marzo 2000 non sarebbero stati ancora terminati, e l’avvallamento sarebbe certamente avvenuto dopo il 22 marzo 2000, “come risulta dal doc. 3 allegato alla CTU” relativa all’accertamento tecnico preventivo. Pertanto la sentenza andrebbe riformata laddove avrebbe ritenuto che “i lavori sarebbero relativi all’area strada… consegnati da Alcatel a Wind e da quest’ultima accettati”, perchè dai documenti prodotti “risulta che Wind non ha mai accettato la consegna dei lavori eseguiti da Alcatel sulla sede stradale”.

“In ogni caso” il giudice d’appello avrebbe errato nell’affermare che per l’accettazione ai sensi dell’art. 1665 c.c., la responsabilità si trasferirebbe alla committente, in quanto ciò varrebbe solo per i vizi palesi/riconoscibili, e non anche per i vizi occulti; e qui sarebbe “pacifico” che gli avvallamenti sarebbero insorti dopo il 22 marzo 2000, e che “più volte dopo” Alcatel sarebbe intervenuta ad eliminarli: questo “risulta”, secondo la ricorrente, da un elenco di “documenti”, composto da una lettera datata 10 maggio 2000 rivolta dal Comune alla sua compagnia assicuratrice (di cui viene riportato un ampio stralcio), dal documento 1 prodotto dagli attori in primo grado “recante il giudizio di accertamento preventivo” (sic) – di cui pure è riportato un passo -, da un inciso di una frase tratto dalla comparsa di risposta della società Simei subappaltatrice di Alcatel – e infine da un passo della sentenza d’appello (a pagina 10) per cui “il riempimento con materiale inerte venne effettuato dalla Simei il 31 marzo 2000”. Per tutto questo – ictu oculi già definibile come selezionato compendio probatorio ad hoc – il giudice d’appello sarebbe incorso in violazione e falsa applicazione dell’art. 1665 c.c., ritenendo che Wind non avrebbe contestato che “Alcatel assumeva di essere stata liberata da qualsivoglia responsabilità avendo consegnato l’impianto di fibra ottica”: invece non vi sarebbe stata “necessità di contestare l’affermazione di Alcatel sul punto”, in quanto la consegna dell’impianto di fibra ottica “non poteva certo escludere la responsabilità” di Alcatel per i vizi dei lavori sulla sede stradale.

2.2.2 Come nel motivo precedente, la rubrica miscela elementi eterogenei, passando dalle norme sostanziali alle norme processuali e intrecciando la denuncia dei vizi in jure da quella relativa alla “omessa considerazione di elementi decisivi” (senza neppure qualificarne la natura controversa).

Comunque, ancor più che nel motivo precedente, questa censura è intessuta, come già si anticipava, mediante una serie di riferimenti ad elementi probatori, diretta ad ottenere un vero e proprio terzo grado di merito in sede di legittimità. Il che conduce ad una evidente inammissibilità, che non può essere superata dall’invocazione, in particolare, dell’art. 1665 c.c., dato che la concreta natura dei vizi e l’epoca della loro insorgenza costituiscono elementi fattuali, come attesta proprio il sopra citato elenco di “documenti” che il motivo a essi dedica.

2.3.1 Il terzo motivo, ancora in congiunto riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2051,2043,1665,1667,1324 e 1655 ss. c.c., e art. 34.1 dell’Accordo Quadro per installazione di rete mobile, nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. e omessa considerazione di elementi decisivi.

L’invocato art. 34.1 dell’Accordo Quadro attribuirebbe all’allora Alcatel la responsabilità per i danni durante l’esecuzione dell’Accordo e/o contratto d’appalto attuativi per cause ad essa imputabili.

Il contratto d’appalto, sezione VII, punto 3, avrebbe gravato l’appaltatore della garanzia per le opere per la durata di due anni e stabilito che l’accettazione dell’opera non avrebbe fatto venir meno tale garanzia. Il giudice d’appello non avrebbe tenuto conto di tali previsioni contrattuali per cui sarebbe incorso in un “travisamento della documentazione”.

2.3.2 Ancora una volta, la ricorrente, secernendo alcuni elementi dal complessivo compendio probatorio e in base ad essi argomentando, persegue, inammissibilmente in sede di legittimità, una revisione degli esiti dell’accertamento di merito; e qui aggiunge, rispetto alle censure precedenti, persino la prospettazione del compimento di un travisamento da parte della corte territoriale che, qualora davvero sussistesse, condurrebbe d’altronde acquisendo un’altra fattispecie di inammissibilità, che deriverebbe dal mancato utilizzo del congruo mezzo di denuncia, ovvero il ricorso per revocazione di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4 – sempre alla inammissibilità.

2.4.1 n quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 11, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 133, comma 1, lett. a), n. 2, lett. b) e lett. f) e difetto di giurisdizione.

Fonte del preteso obbligo di manleva della ricorrente nei confronti del Comune non sarebbe un contratto, bensì l’autorizzazione edilizia ai lavori rilasciata dal Comune stesso all’attuale ricorrente. L’allora Alcatel avrebbe occupato direttamente la strada per aver ottenuto invece concessioni per occupazione di suolo pubblico. Pertanto competerebbe al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva, secondo quanto stabilito dal codice del processo amministrativo come indicato in rubrica. In particolare, si rimarca che l’art. 133 c.p.a., comma 1, lett. a), n. 2, affida alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi integrativi o sostitutivi di provvedimento amministrativo”, la stessa norma, alla lett. b), le affida altresì “le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici”, e alla lett. f), infine, le devolve “le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia”.

Tale questione non sarebbe preclusa da “giudicati interni” per “assenza di ogni decisione sul merito della domanda di rilevazione” nel primo giudizio.

2.4.2 Non a caso questo motivo è stato inserito nel ricorso come ultimo, in quanto, a ben guardare, si rapporta a quel che si prospetta in termini fattuali nel primo motivo, ovvero che dal Comune di Pisa l’attuale ricorrente avrebbe ricevuto soltanto un’autorizzazione edilizia, anzichè intrecciare con esso, come invece ha affermato l’impugnata sentenza, un puro rapporto contrattuale, tutt’altro che finalizzato, quindi, a integrare o sostituire un provvedimento amministrativo.

Così infatti asserisce la ricorrente nel primo motivo (pagina 10 s.): “Wind non è mai stata controparte contrattuale del Comune: Wind è semplicemente titolare di un’autorizzazione alla posa in opera di un’infrastruttura tecnica sotterranea…”. Il che è compatibile con l’esposizione dei fatti che il ricorso offre nell’apposita premessa, laddove afferma che l’8 novembre 1999 “il Comune di Pisa rilasciava a Wind un’autorizzazione per la realizzazione di lavori di posa di infrastruttura sotterranea” (ricorso, pagina 3).

Però, sempre nella premessa, quando passa ad illustrare la vicenda processuale vera e propria il ricorso si limita ad esporre che Wind come convenuta “contestava la propria legittimazione passiva alla domanda del Comune e comunque chiamava in giudizio l’appaltatrice Alcatel per esserne rilevata indenne” (ricorso, pagina 6). Non è dato sapere, dunque, se, costituendosi, l’attuale ricorrente avesse fondato il preteso difetto di legittimazione passiva sulla prospettazione di una fattispecie riconducibile alla giurisdizione esclusiva amministrativa, e specificamente ai dettami invocati nella rubrica del presente motivo, oppure su fattispecie diversa.

Se dunque è vero che la questione di giurisdizione può essere sollevata, adducendola per la prima volta nell’impugnazione, anche successivamente al primo grado, ovvero quando la decisione del giudice statuisce, implicitamente o espressamente, per la prima volta su di essa – e ciò in questa causa non si è verificato nella sentenza di primo grado, non avendo il Tribunale preso in considerazione altro che il rapporto principale tra S./ A. e il Comune di Pisa per rigettare la domanda attorea -, è altrettanto vero che il ricorso deve essere autosufficiente, come ha insegnato una plurima giurisprudenza di questa Suprema Corte ai sensi dell’art. 366 c.p.c.. E nel caso in esame non è dato conoscere dal ricorso sulla base di che l’attuale ricorrente si difese in primo grado adducendo il difetto di legittimazione passiva, in quanto, come si è appena visto, nella premessa non viene elargito alcun sunto del contenuto delle difese di cui la ricorrente si è avvalsa davanti al Tribunale e, d’altronde, nello stesso quarto motivo nulla si apporta al riguardo, richiamando soltanto, in sostanza, il contenuto del primo motivo del ricorso. Anche considerando comunque il contenuto di tutti i precedenti motivi, e pertanto non solo quello del primo motivo, non emerge nulla di concreto in ordine al contenuto degli atti difensivi di cui la ricorrente si è avvalsa in primo grado, invocandosi negli ulteriori motivi, piuttosto, soprattutto documenti probatori, che, di per sè, qui non incidono.

Nè, tantomeno, dal ricorso – sia come premessa, sia come motivi – è dato conoscere come si è difesa Wind nel giudizio d’appello.

Infine, sempre secondo consolidata giurisprudenza (v. p. es. Cass. sez. 5, 13 novembre 2018 n. 29093), è ben noto che il “soccorso” ad un ricorso non autosufficiente non può essere attinto dalla sentenza impugnata.

Non è dato, dunque, apprendere dal ricorso se la questione di giurisdizione che in esso viene sollevata costituisce un novum o al contrario se è corretto proporre la relativa censura avverso l’impugnata sentenza. Anche quest’ultimo motivo, pertanto, risulta inammissibile, per tale difetto di autosufficienza, che assorbe ogni altro profilo.

In conclusione, tutto il ricorso principale è inammissibile.

3.1.1 Il ricorso incidentale del Comune di Pisa con il suo primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto decisivo e mancata motivazione in ordine al discostamento dalle conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio sull’assenza della prova del nesso causale tra la cosa e l’evento dannoso; in subordine, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, denuncia nullità della sentenza in relazione agli artt. 116 e 132 c.p.c..

Afferma il ricorrente che “l’approccio decisionale” del giudice d’appello, che ha fondato la responsabilità del Comune sull’art. 2051 c.c., è erroneo “in quanto l’attenzione doveva concentrarsi sulla idoneità o meno delle argomentazioni di esso Comune in punto di caso fortuito”, relative all’assenza della prova “che proprio il bene fosse stato determinante nella causazione dell’evento” e all’ulteriore assenza di altri elementi “che avessero potuto giustificare la “colpevolizzazione” dell’Amministrazione comunale”. Viene quindi riportato un passo della consulenza tecnica d’ufficio, che ne sarebbe le conclusioni, escludente “elementi di prova che consentano di stabilire con certezza la traiettoria” del ciclomotore. Richiamata giurisprudenza di questa Suprema Corte per sostenere che il mancato esame delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio può essere fatto valere mediante il mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame di fatto decisivo e controverso, il ricorrente ne deduce che l’impugnata sentenza va cassata laddove ha ritenuto la sussistenza del nesso di causa tra la sconnessione del manto stradale e la caduta della motociclista. A ciò fa seguito una ricostruzione delle risultanze della consulenza tecnica, per sostenere che nella motivazione della sentenza esse sarebbero state “aggirate”, e rievocare invece l’accertamento effettuato dal giudice di prime cure.

In subordine, si prospetta infine un vizio motivazionale – nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione agli artt. 116 e 132 c.p.c., – adducendo che la motivazione sarebbe soltanto apparente.

3.1.2 Non si può non rilevare che la giurisprudenza invocata nel motivo – la quale ravvisa nel mancato esame delle risultanze di una consulenza tecnica d’ufficio un vizio della sentenza denunciabile mediante l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, risolvendosi nell’omesso esame di un fatto discusso e decisivo (tra gli arresti più recenti, v. p. es. Cass. sez. 3, 31 maggio 2018 n. 13770 e Cass. sez. 3, 29 maggio 2018 n. 13399) – ha incontrato di recente difformità in alcuni altri arresti che, rivolgendosi alla prima interpretazione nomofilattica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo attualmente vigente (S.U. 7 aprile 2014 n. 8053), hanno – con maggior correttezza, in effetti – distinto la mancata considerazione della consulenza tecnica d’ufficio dall’omessa considerazione di un fatto rilevante ai fini di tale mezzo di censura.

Da ultimo – sulla scorta di Cass. sez. 3, 26 luglio 2017 n. 18391 – Cass. sez. 63, ord. 24 giugno 2020 n. 12387 insegna: “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui ambito non è inquadrabile la consulenza tecnica d’ufficio atto processuale che svolge funzione di ausilio del giudice nella valutazione dei fatti e degli elementi acquisiti (consulenza c.d. deducente) ovvero, in determinati casi (come in ambito di responsabilità sanitaria), fonte di prova per l’accertamento dei fatti (consulenza c.d. percipiente) – in quanto essa costituisce mero elemento istruttorio da cui è possibile trarre il “fatto storico”, rilevato e/o accertato dal consulente.”. Impostazione, questa, che, come già si anticipava, gode di una maggiore correttezza rispetto alle indicazioni di S.U. 7 aprile 2014 n. 8053, che distinguono gli elementi istruttori dal fatto che deve essere esaminato, precisando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di fatto discusso e decisivo qualora il fatto storico sia stato comunque considerato dal giudice, pure nel caso in cui la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Il che, a ben guardare, significa che l’omesso esame di elementi istruttori può in effetti coincidere con l’omesso esame del fatto cui tali elementi istruttori attengono soltanto nel caso in cui questo fatto non sia aliunde considerato dal giudice, e purchè – ovviamente – sia discusso e decisivo.

L’esigenza di distinguere tra il mezzo istruttorio e il fatto rilevante ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si incrementa poi in riferimento alla consulenza tecnica d’ufficio, poichè questa non è propriamente un mezzo istruttorio nel caso che non integri la sua species percipiente.

3.1.3 Nel caso in esame, peraltro, dirimente è un diverso rilievo, ovvero il fatto che l’accertamento del nesso causale tra la caduta della motociclista e l’avvallamento nel manto stradale non è stato affatto espletato dalla corte territoriale senza tenere in conto la relazione del consulente tecnico d’ufficio. Al contrario, dalla motivazione emerge che la corte l’ha più volte considerata, anche motivando laddove ha stimato in modo diverso come avvennero i fatti. Fatti che, d’altronde – si nota meramente ad abundantiam -, non godevano soltanto nella consulenza tecnica d’ufficio quale fonte di accertamento, come emerge dall’ampia motivazione con cui la corte territoriale li ha ricostruiti, attingendo pure (e non solo) dal significativo comportamento del Comune, affrettatosi a modificare lo stato dei luoghi subito dopo il sinistro.

3.1.4 In riferimento alla censura subordinata, come già è evincibile da quanto appena osservato, deve rilevarsi la sua manifesta infondatezza: l’apparenza attribuita alla motivazione altro non è che, a ben guardare, la divergenza rispetto alla ricostruzione fattuale del ricorrente, che viene in realtà inserita nel motivo come valutazione alternativa appunto del merito. E la struttura motivazionale offerta dalla Corte d’appello, d’altronde, è più che sufficiente ad integrare il paradigma normativo della esternazione che il giudice deve fornire per adempiere al suo costituzionale obbligo di trasparenza.

Il motivo, in conclusione, risulta completamente infondato.

3.2.1 D secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2051 e 1227 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il giudice d’appello “ritenuto non provato il concorso colposo del danneggiato, idoneo ad integrare il caso fortuito”.

Estratti alcuni passi dalla motivazione della corte territoriale, il motivo adduce che essa “ha posto la propria attenzione sul fatto che nei giorni precedenti all’incidente… la vittima non percorse la strada”, deducendone una ulteriore diminuzione della conoscenza dei luoghi. Si obbietta che, “ammesso e non concesso che la ragazza non avesse percorso il tratto stradale in questione dal 20 al 26 aprile, non si potrebbe comunque prescindere… dal considerare che dall’1 al 19 aprile, e soprattutto, il 27 aprile (giorno precedente all’incidente), tale strada era stata invece percorsa”: le conclusioni del giudice d’appello non sarebbero quindi condivisibili, onde la corte avrebbe “erroneamente considerato che la condotta tenuta dalla vittima non fosse idonea ad interrompere il nesso di causalità”.

Dopo alcune ulteriori osservazioni – ictu oculi fattuali – sulle fotografie in atti, sulla posizione e sulla lunghezza dell’avvallamento, il ricorrente aggiunge che la “erroneità dell’argomentazione” della corte territoriale inciderebbe “su un altro e decisivo profilo”. Si riferisce all’affermazione del giudice d’appello che la vittima avrebbe avuto “poca esperienza nella guida”; inoltre la velocità a cui procedeva – 40 km all’ora – parrebbe evocare una guida troppo veloce rispetto alle caratteristiche della strada essendo la velocità massima del veicolo. Da ciò deduce il ricorrente che la sentenza impugnata avrebbe violato il principio per cui l’utente della strada è gravato da un onere di particolare attenzione, integrandosi altrimenti il caso fortuito.

3.2.2 Se è vero che l’art. 2051 c.c., include, quale limite alla responsabilità del custode, il caso fortuito, il quale, per consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, può consistere in un’inadeguata condotta del danneggiato – che in tal modo spezza la serie causale -, è peraltro evidente che la censura in esame risulta costruita sulla base di argomentazioni fattuali, estrapolando alcuni elementi dalla complessiva struttura motivazionale della sentenza impugnata per dimostrare che il caso fortuito qui sussisteva, e che conseguentemente la corte territoriale avrebbe errato nel ritenerlo, al contrario, insussistente, id est nell’attribuire responsabilità dell’evento al custode. In tal modo però, ictu oculi, la censura si conforma come sarebbe propria di un gravame, in questa sede invece patendo inammissibilità, in quanto chiede al giudice di legittimità di correggere l’accertamento di merito. Per questo il motivo deve essere dichiarato inammissibile.

In conclusione, il ricorso incidentale deve essere rigettato.

4. In conclusione, il ricorso principale va dichiarato inammissibile e il ricorso incidentale va rigettato. Da ciò consegue, per reciproca soccombenza, la compensazione delle spese processuali tra la ricorrente principale e il ricorrente incidentale, mentre ciascun ricorrente deve rifondere alle ulteriori controparti le spese, liquidate come da dispositivo.

Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2012, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale, compensa le spese processuali tra la ricorrente principale e il ricorrente incidentale, e condanna ciascuno dei ricorrenti suddetti a rifondere le spese rispettivamente alle controricorrenti D.S. e B.F., liquidate in un totale di Euro 18.000, oltre a Euro 200 per gli esborsi, al 15% per spese generali e agli accessori di legge, e alla controricorrente Nokia Solutions and Networks Italia S.p.A., liquidate in un totale di Euro 15.000, oltre a Euro 200 per gli esborsi, al 15% per spese generali e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il rispettivo ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2020

 

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