Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25274 del 10/11/2020

Cassazione civile sez. III, 10/11/2020, (ud. 24/09/2020, dep. 10/11/2020), n.25274

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8414-2018 proposto da:

VITTORIA ASSICURAZIONI SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI

SANTA TERESA 23, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO HAZAN, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato STEFANO TAURINI;

– ricorrente –

contro

M.L.;

– Intimato –

avverso la sentenza n. 657/2017 del TRIBUNALE di CROTONE, depositata

il 11/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/09/2020 dal Presidente Dott. CHIARA GRAZIOSI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con atto di citazione notificato in data 15 dicembre 2012 M.L. conveniva davanti al Giudice di pace di Petilia Policastro, per quanto qui interessa, Vittoria Assicurazioni S.p.A. per ottenere il risarcimento dei danni che avrebbe subito quale terzo trasportato in un sinistro stradale avvenuto il (OMISSIS) in (OMISSIS).

La convenuta si costituiva, resistendo sia sulla esistenza di una lesione al rachide cervicale dell’attore, sia sulla debenza di una quota di danno non patrimoniale richiesta a titolo di danno morale.

Espletata consulenza tecnica d’ufficio, i cui esiti venivano peraltro criticati dalla convenuta, il giudice, con sentenza del 22 ottobre 2015, condannava la compagnia assicuratrice a corrispondere all’attore il risarcimento nella misura di Euro 4936,84 oltre accessori e spese di lite.

La compagnia proponeva appello principale e il M. appello incidentale.

Con sentenza del 13 settembre 2017 il Tribunale di Crotone rigettava l’appello principale e, accogliendo quello incidentale, poneva a carico della compagnia il compenso da corrispondere al consulente tecnico d’ufficio.

Vittoria Assicurazioni ha proposto ricorso, articolato in due motivi, da cu controparte non si è difesa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1 Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 139, comma 2, ultimo periodo, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Viene richiamato il passo dell’impugnata sentenza in cui il Tribunale ha disatteso il secondo motivo d’appello, che aveva censurato la sentenza di prime cure “nella parte in cui avrebbe riconosciuto il risarcimento del danno biologico senza che fossero effettuati accertamenti strumentali sulla persona del danneggiato”: in tale passo il giudice d’appello, dichiarando di seguire la “più recente giurisprudenza”, ha riconosciuto “la risarcibilità del danno biologico anche in assenza di accertamenti strumentali, ma sulla scorta dell’esame obiettivo del periziando”.

In primo luogo, il motivo argomenta sulla riforma del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 139 operata dalla L. 4 agosto 2017, n. 124, affermando che il “nuovo” art. 139 suddetto dovrebbe “applicarsi in tutti i casi – come quello in esame – in cui la decisione giudiziaria sul danno sia successiva all’entrata in vigore” della L. n. 124 del 2017 – entrata in vigore avvenuta il 29 agosto 2017 -, “a nulla rilevando che il sinistro dal quale è derivato il danno o l’accertamento di quest’ultimo da parte del medico legale siano avvenuti prima”. Secondo la ricorrente, infatti, la riforma detta “norme sulla risarcibilità del danno e tali norme debbono essere applicate dal giudice nel momento in cui è chiamato a stabilire se un danno esista o meno”. Ciò non comporterebbe, d’altronde, alcuna applicazione retroattiva, poichè “è al momento della sentenza che occorre stabilire se un danno vi sia ed in che misura sia risarcibile”. Viene richiamata al riguardo la sentenza n. 235/2014 della Consulta, la quale, a proposito dell’applicazione temporale della riforma dello stesso art. 139 operata con il D.L. n. 1 del 2012, art. 32 convertito in L. n. 27 del 2012, ha affermato che tali nuove norme, “in quanto non attinenti alla consistenza del diritto al risarcimento delle lesioni in questione, bensì solo al momento successivo del suo accertamento in concreto, si applicano, conseguentemente, ai giudizi in corso (ancorchè relativi a sinistri verificatisi in data antecedente alla loro entrata in vigore)”.

Prospettata pertanto l’esigenza di applicare l’art. 139 in questione come novellato nel 2017, il motivo offre poi una serie di argomentazioni relative al contenuto della suddetta riforma.

1.2 Questa impostazione però – deve subito osservarsi – è palesemente infondata, in quanto, se è vero (come è stato riconosciuto anche dal giudice delle leggi nella sentenza invocata) che non rileva l’epoca del sinistro bensì l’epoca dell’accertamento giudiziale, è altrettanto vero che applicare una norma sostanziale entrata in vigore (nel caso in esame, come già sì è ricordato, la vigenza è intervenuta il 29 agosto 2017) pochi giorni prima della pubblicazione della sentenza d’appello (che è stata pubblicata appunto il 13 settembre 2017) collide appieno con il principio della irretroattività di cui all’art. 11 preleggi, comma 1, e comporta altresì – si nota ad abundantiam – uno stravolgimento delle preclusioni processuali, mediante la sopravvenienza di una necessaria regressione del giudizio calpestando infatti il principio, che pur ha assunto forte valenza costituzionale sotto forma di “ragionevole durata”, di effettività temporale della tutela giurisdizionale.

1.3 Successivamente il motivo si impernia su quella che definisce “precedente disciplina del risarcimento del danno non patrimoniale di lieve entità così come modificata nel 2012”, ovvero, come appena si è rilevato, quella applicabile alla presente causa.

Tutti gli argomenti qui dispiegati mirano a sostenere che per accertare le lesioni di lieve entità di cui all’art. 139 occorre un riscontro strumentale, concludendo infine con una critica alla sentenza n. 1272/2018 di questa Suprema Corte.

1.4 Anche questa parte del motivo è manifestamente infondata: consolidata giurisprudenza di legittimità – dalla quale questo collegio non ritiene vi siano ragioni per discostarsi – si è pronunciata nel senso che l’art. 139 nel testo ratione temporis qui applicabile non obbliga all’accertamento strumentale, per cui, inserendosi in tale corposo filone, l’arresto criticato è tutt’altro che isolato (v., quali pronunce più recenti, Cass. sez. 3, 26 settembre 2016 n. 18773; Cass. sez. 3, 19 gennaio 2018 n. 1272 – quella appunto criticata nel motivo -; Cass. sez. 3, ord. 28 febbraio 2019 n. 5820; Cass. sez. 3, 18 aprile 2019 n. 10816; Cass. sez. 3, ord. 24 aprile 2019 n. 11218 e Cass. sez. 6-3, ord. 16 ottobre 2019 n. 26249; e si noti, ad abundantiam, che lo stesso principio è stato affermato per il testo riformato nel 2017 dell’art. 139 da Cass. sez. 3, ord. 8 aprile 2020 n. 7753).

2.1 Il secondo motivo denuncia violazione del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 139, comma 3, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Viene censurato il passo della sentenza d’appello con cui si rigetta il terzo motivo del gravame, denunciante che la sentenza di primo grado aveva “liquidato una somma a titolo di danno morale, quantificandola in un terzo del danno biologico liquidato”. Il giudice d’appello rileva che, pur avendo la giurisprudenza di legittimità “più volte sottolineato la necessità di individuare una categoria unitaria del danno non patrimoniale risarcibile”, questa Suprema Corte comunque riconosce che il danno morale è. risarcibile, e “la sua liquidazione, necessariamente ispirata a criteri di equità, rimane ancorata, onde evitare di sfociare nell’arbitrio mero e tenuto conto del collegamento che è ragionevole istituire tra entità delle lesioni ed intensità del turbamento d’animo, del dolore intimo da queste cagionato, alla misura del biologico, esprimendosi in una frazione di esso”.

In questo passo della sentenza – che definisce “tanto farraginoso quanto sbagliato” – la ricorrente ravvisa la violazione dell’art. 139 “tanto nella sua formulazione originaria quanto nella sua versione attuale”: quest’ultimo riferimento è ovviamente all’applicazione della riforma del 2017, per cui non si può non rimandare subito a quel che si è sopra rilevato a proposito della mancata considerazione del principio di irretroattività da parte della ricorrente, essendo invece ovvia, per quanto appunto già rilevato, l’applicazione ratione temporis del testo normativo antecedente alla novella del 2017 nella presente causa-.

2.2 La ricorrente osserva poi che l’art. 139, comma 3, nel testo anteriore alla riforma del 2017 (e quindi, si ripete, nel testo qui applicabile) dispone: “L’ammontare del danno biologico liquidato ai sensi del comma 1 può essere aumentato dal giudice in misura non superiore ad un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato”.

Dunque, il giudice d’appello avrebbe deciso “palesemente contra legem” considerato tale “limite quantitativo strutturale” di un quinto del danno biologico che investirebbe il “risarcimento di qualunque componente di danno non patrimoniale”.

2.3 Il motivo, nell’ultima parte, si spende ancora a proposito del testo dell’art. 139, comma 3, come novellato nel 2017: “Qualora la menomazione accertata incide in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati ovvero causi o abbia causato una sofferenza psico-fisica di particolare intensità, l’ammontare del risarcimento del danno, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella di cui al comma 4, può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 20 per cento. L’ammontare complessivo del risarcimento riconosciuto ai sensi del presente articolo è esaustivo del risarcimento del danno non patrimoniale conseguente a lesioni fisiche”.

2.4 Il motivo si conclude, infine, sostenendo che nel caso in esame “è testuale l’assoluta mancanza di prova di un possibile riverbero delle conseguenze della modestissima (inesistente) lesione su aspetti dinamico-relazionali del sig. M. ovvero di una particolare sofferenza psicofisica sopportata dal medesimo”: il giudice avrebbe liquidato il danno morale senza accertarne i presupposti previsti alla legge, e quindi come danno in re ipsa.

3.1 In primo luogo, deve osservarsi che questa conclusione, appena riassunta, del motivo rappresenta una critica direttamente fattuale sulle valutazioni che il giudice ha espletato quanto agli esiti del compendio probatorio, per cui cade in una evidente inammissibilità.

3.2 In secondo luogo – già si anticipava -, sine dubio nel caso in esame non è applicabile l’art. 139, comma 3, come novellato dalla riforma del 2017. Il testo applicabile ratione temporis è dunque quello precedente a tale riforma, e la sua interpretazione, quale prospettata dalla ricorrente, non è sostenibile. Invero la ricorrente propugna che il limite di un quinto debba applicarsi anche alla quantificazione del danno morale, laddove la norma inequivocamente si riferisce alla personalizzazione del danno biologico. E’ ovvio che il danno biologico non esprime tutte le specie del, pur unitario, danno non patrimoniale, perchè ciò significherebbe identificare il danno biologico con il danno morale: soluzione inaccettabile, sol che si consideri come il danno morale possa verificarsi pure in assenza di un danno biologico, quando cioè il reato che lo genera non lede la vittima nel suo apparato psicofisico (si pensi, quale mero esempio fra i tanti configurabili, al danno morale che può discendere dal reato di cui all’art. 595 c.p. senza alterare la salute della persona offesa).

3.3 La differenza tra danno biologico e danno non patrimoniale (nel senso che il primo è una species del secondo che ne è – ontologicamente quindi più ampio – il genus: cfr. da ultimo la chiarificazione del concetto di unitarietà del danno non patrimoniale proclamato dalle sentenze di San Martino ben operata da Cass. sez. 3, 17 gennaio 2018 n. 901, che, in ultima analisi, esattamente lo descrive come un genus; conforme Cass. sez. 3, ord. 28 settembre 2018 n. 23469) si nota ad abundantiam che viene confermata proprio anche dalla nuova versione dell’art. 139, che già nella rubrica si riferisce al “danno non patrimoniale”, laddove la rubrica del testo previgente e qui applicabile si riferisce a “danno biologico”.

3.4 Se così è, ictu oculi il limite dettato dall’art. 139, comma 3, nel testo ratione temporis qui applicabile non è pertinente al danno morale, in quanto la “misura non superiore ad un quinto” è espressamente prevista per l’ammontare personalizzato del “danno biologico”. Il che significa che la valutazione effettuata dal giudice di merito, oltrepassando il quinto del danno biologico per determinare il quantum del danno morale – che è stato determinato appunto in un terzo del danno biologico -, non ha oltrepassato alcuna barriera normativa.

Anche il secondo motivo, dunque, è privo di fondatezza.

5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, non essendovi luogo a pronuncia sulle spese processuali, in quanto l’intimato non si è difeso.

Seguendo l’insegnamento di S.U. 20 febbraio 2020 n. 4315 si dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso e dichiara non luogo a provvedere sulle spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2020

 

 

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