Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2527 del 01/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 2527 Anno 2018
Presidente: AMENDOLA ADELAIDE
Relatore: SCRIMA ANTONIETTA

ORDINANZA
sul ricorso 1847-2015 proposto da:
SANTORO GRAZIA, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO
MESSICO 7, presso lo studio dell’avvocato X.Z., che la
rappresenta e difende;
– ricorrente contro
UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore speciale,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUDOVISI 36, presso lo
studio dell’avvocato DOMENICO POLIMENI, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ATTILIO COTRONEO;
– controricorrente
avverso la sentenza n. 261/2014 della CORTE D’APPELLO di REGGIO
CALABRIA, depositata il 15/07/2014;

Data pubblicazione: 01/02/2018

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 27/06/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA
SCRIMA.
FATTI DI CAUSA
Grazia Santoro propose appello avverso la sentenza n. 705/03 del

quale era stata rigettata la sua domanda volta alla condanna della
convenuta SAI Assicurazioni S.p.a. a corrisponderle la somma di euro
121.209,85 per i danni subiti ai propri locali commerciali, a seguito di
un incendio verificatosi nella notte tra il 2 e il 3 novembre 1992,
danni per i quali era assicurata con contratti stipulati con la detta
compagnia assicuratrice.
La società appellata si costituì chiedendo il rigetto del gravame.
La Corte di appello di Reggio Calabria, con sentenza pubblicata il
15 luglio 2014, rigettò l’appello e condannò l’appellante alle spese di
quel grado.
Avverso la sentenza della Corte di merito Grazia Santoro ha
proposto ricorso per cassazione basato su tre motivi e illustrato da
memoria, cui ha resistito UnipoISAI Assicurazioni S.p.a. con
controricorso.
La proposta del relatore è stata comunicata agli avvocati delle
parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di
consiglio, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.

Il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con

motivazione semplificata.
2. Con il primo motivo, lamentando «omessa e contraddittoria
motivazione» nonchè violazione dell’art. 2697 cod. civ., la ricorrente
sostiene che la sentenza impugnata sarebbe sorretta da una
motivazione «incongrua» e comunque lesiva del principio desumibile
dall’art. 2697 cod. civ., in base al quale spetta a colui che voglia far
Ric. 2015 n. 01847 sez. M3 – ud. 27-06-2017
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Tribunale di Reggio Calabria, depositata in data 9 giugno 2003, con la

valere un diritto in giudizio l’onere di fornire la prova dei cd. fatti
costitutivi del medesimo diritto mentre è a carico della controparte
l’onere di provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi del diritto
fatto valere, sicché chi vanta un diritto non è tenuto a provare
«l’inesistenza delle c.d. condizioni negative, ovvero dei fatti idonei ad

Ad avviso della ricorrente, «tale principio dell’onere della prova
non è rinunciabile in sede contrattuale neppure su concorde
eventuale sottoscrizione di clausole particolari che sarebbero da
considerare vessatorie, quindi abusive ed inefficaci ex art. 1469
quinquies c.c.», sicché, sempre secondo la ricorrente, sarebbe
inefficace «la clausola di cui all’art. 24 delle CGA che prevede che in
caso di apertura di una procedura giudiziaria sulla causa del sinistro
l’onere a carico dell’assicurato di dimostrare che l’evento dannoso non
sia stato determinato da suo fatto doloso o gravemente colposo».
Pertanto, ad avviso della Santoro, sarebbe censurabile la
sentenza impugnata nella parte in cui conferma quella di primo grado
affermando che «deve rilevare che la stessa circostanza evidenziata
dal Tribunale, secondo la quale la serranda in lamiera si presentava
concava come proveniente da una violenta pressione dell’interno con
rottura dei vetri della porta e senza che i Vigili del Fuoco avessero
riferito, in sede di sopralluogo, di alcun constatato segno di
effrazione, depone non certamente nella direzione sollecitata dalla
Difesa, ma al contrario in direzione dell’impostazione accusatoria, sia
pure nella riqualificazione della stessa operata in sentenza». In tal
modo, ad avviso della Santoro, la sentenza di secondo grado
confermerebbe la sentenza del Tribunale che erroneamente avrebbe
ritenuto inapplicabili le norme di cui agli artt. 1469 bis e segg. cod.
civ. «alle polizze di assicurazione» di cui si discute in causa perché
stipulate prima dell’entrata in vigore delle richiamate norme.

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impedire la nascita ed il perdurare del diritto vantato».

3. Con il secondo motivo si lamenta «omessa e contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della controversia» nonché
violazione dell’art. 2698 cod. civ..
Sostiene la ricorrente che la Corte di merito avrebbe errato nel
ritenere «apoditticamente e contra tabulas “che le condizioni

rilievo, oggetto di contestazione da parte della difesa, concernente la
circostanza se vi sia stata liquidazione del premio assicurativo ovvero
liquidazione del danno da parte del Collegio Arbitrale, ritiene questa
Corte che da siffatte risultan[z]e non possano certo trarsi quelle
notazioni di assoluta evidenza dell’estraneità degli imputati della
fattispecie siccome contestate o riqualificate”» (così testualmente).
La ricorrente deduce che la predetta clausola sarebbe nulla anche
ai sensi dell’art. 2698 cod. civ., in quanto impedirebbe il normale
esercizio dei propri diritti; censura la sentenza impugnata nella parte
in cui, confermando sul punto quella di primo grado, non avrebbe
considerato la Santoro quale “consumatore”; ribadisce il carattere, a
suo avviso, abusivo della clausola di cui all’art. 24 delle CGA che
porrebbe un’inversione dell’onere probatorio in contrasto con i principi
vigenti in materia, in essi compresi quelli di cui all’art. 2698 cod. civ.,
e renderebbe difficile, se non impossibile, l’esercizio del diritto
dell’assicurata; assume che le clausole di una polizza assicurativa che
delimitino il rischio assicurato sono soggette al criterio ermeneutico di
cui all’art. 1370 cod. civ., sicché dovrebbero essere intese in senso
sfavorevole all’assicuratore; deduce che la società assicuratrice, pur
indicando, quale causa impeditiva del pagamento dell’indennizzo, il
dolo o la colpa grave dell’assicurata, facendo riferimento alle
osservazioni del Tribunale contenute nella sentenza penale emessa a
definizione del procedimento penale a carico dei coniugi Santoro
Giglietta, nella parte in cui si afferma che «esistono a carico degli
imputati numerosi e convergenti elementi» tali da far presumere le
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economiche di sofferenza degli odierni appellanti, sicché al di là del

responsabilità in capo alla Santoro nella causazione dell’evento, nulla
avrebbe offerto quale prova concreta di quanto eccepito; evidenzia
che, nelle more, era maturato il termine di prescrizione dei reati
contestati ai predetti coniugi con conseguente pronuncia di
proscioglimento per estinzione del reato. Aggiunge, infine, la

società assicuratrice avrebbe comunque dovuto corrispondere
l’indennizzo ai sensi delle condizioni aggiuntive della polizza, secondo
cui «a parziale deroga dell’art. 12 delle Condizioni Generali di
Assicurazioni la Società risponde dei danni derivanti dagli eventi per i
quali è prestata l’assicurazione causati da colpa grave dell’Assicurato
o del Contraente».
4. Con il terzo motivo, benché rubricato «Violazione e /o falsa
applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1 n. 3) c.p.c.
Omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della
controversia», la ricorrente si limita a censurare la sentenza
impugnata per motivazione contraddittoria nella parte in cui la Corte
di merito «ritiene che la sentenza di declaratoria di estinzione del
reato sia sentenza di proscioglimento e, pertanto, deve essere
considerato come accertamento di insussistenza di dolo o colpa in
capo alla ricorrente con conseguente sussistenza del suo buon diritto
a ricevere il risarcimento concordato».
5. I tre motivi del ricorso, essendo strettamente connessi, ben
possono essere esaminati congiuntamente; di essi, i primi due sono
in parte inammissibili ed in parte infondati e il terzo é del tutto
inammissibile.
5.1. Sono inammissibili, infatti, le censure motivazionali proposte,
evidenziandosi che, alla luce del testo dell’art. 360, primo comma, n.
5, cod. proc. civ., nella formulazione novellata dal comma 1, lett. b),
dell’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche
nella legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione
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ricorrente che, anche in presenza di colpa grave dell’assicurata, la

temporis,

non è più configurabile il vizio di insufficiente e/o

contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma
suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo
per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non
potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione

medesimo art. 360 cod. proc. civ. (Cass., ord., 6/07/2015, n. 13928;
v. pure Cass., ord., 16/07/2014, n. 16300) e va, inoltre, esclusa
qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della
motivazione (Cass., ord., 8/10/2014, n. 21257). E ciò in conformità al
principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la
sentenza n. 8053 del 7/04/2014, secondo cui la già richiamata
riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., deve
essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art.
12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del
sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in
cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione
di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza
della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza
impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale anomalia — nella specie all’esame non sussistente — si esaurisce
nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e
grafico”, nella “motivazione apparente”, nel contrasto irriducibile tra
affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed
obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del
semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.
Le Sezioni Unite, con la richiamata pronuncia, hanno pure
precisato che l’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., così come
da ultimo riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico
denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto
storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della
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sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4) del

sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se
esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt.
366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc.

omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti
esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di
discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo
restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per
sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto
storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in
considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato
conto di tutte le risultanze probatorie.
Nella specie, con le censure formulate nell’illustrazione dei motivi
all’esame, la ricorrente, lungi dal proporre delle doglianze che
rispettano il paradigma legale di cui al novellato n. 5 dell’art. 360 del
codice di rito, ripropone, come peraltro chiaramente indicato già nella
rubrica dei detti motivi, inammissibilmente lo stesso schema censorio
del n. 5 nella sua precedente formulazione, inapplicabile – come già
evidenziato

ratione temporis.

5.2. Parimenti inammissibili sono le censure rivolte agli stralci di
sentenza riportati in ricorso (v. p. 5 e p. 6), atteso che essi non si
rinvengono nel testo della sentenza impugnata in questa sede.
5.3. Neppure sussistono le lamentate violazioni di legge, tenuto
conto che correttamente la Corte di merito ha ritenuto inapplicabile
nella specie la nuova disciplina delle clausole vessatorie, di cui agli
artt. 1469-bis cod. civ., introdotta dall’art. 25 della legge 6 febbraio
1996, n. 52, non potendo la stessa applicarsi ai contratti – come
quelli all’esame, v. p. 2 sentenza impugnata – anteriormente
stipulati, stante il generale principio di irretroattività della legge
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civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato

(Cass. 17/07/2003, n. 11200; Cass, 6/07/2010, nn. 15871 e 15872).
Altrettanto correttamente la medesima Corte ha escluso che la
Santoro potesse rientrare nella categoria del consumatore, avendo la
predetta stipulato il contratto di assicurazione nella sua qualità di
titolare di un esercizio commerciale e a tutela della merce che

sua attività d’impresa, così attenendosi la Corte territoriale ai principi
espressi da questa Corte e secondo cui, in tema di contratti del
consumatore, ai fini della identificazione del soggetto legittimato ad
avvalersi della tutela di cui al vecchio testo dell’art. 1469-bis cod. civ.
(ora art. 33 del Codice del consumo, approvato con d.lgs. 6
settembre 2005, n. 206), la qualifica di “consumatore” spetta solo
alle persone fisiche e la stessa persona fisica che svolga attività
imprenditoriale o professionale potrà essere considerata alla stregua
del semplice “consumatore” soltanto allorché concluda un contratto
per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee
all’esercizio di dette attività; correlativamente deve essere
considerato “professionista” tanto la persona fisica, quanto quella
giuridica, sia pubblica che privata, che utilizzi il contratto non
necessariamente nell’esercizio dell’attività propria dell’impresa o della
professione, ma per uno scopo connesso all’esercizio dell’attività
imprenditoriale o professionale (Cass., ord., 23/09/2013, n. 21763;
Cass., ord., 12/03/2014, n. 5705).
Neppure sussiste la lamentata violazione dell’art. 2698 cod. civ.,
prevedendo la norma appena citata, come evidenziato dalla Corte di
merito, la nullità dei patti con cui è invertito ovvero è modificato
l’onere della prova quando si tratti di diritti indisponibili — il che non
ricorre nel caso di specie — o quando l’inversione o la modificazione
ha per effetto di rendere a una delle parti eccessivamente difficile
l’esercizio del diritto, il che neppure sussiste nel caso all’esame (arg.
ex Cass. 2/12/2011, n. 25857).
Ric. 2015 n. 01847 sez. M3 – ud. 27-06-2017
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vendeva, sicché non aveva agito all’evidenza per scopi estranei alla

Risulta quindi confermata la validità della clausola di cui all’art. 24
delle C.G.A., evidenziandosi che l’onere probatorio gravante, a norma
dell’art. 2697 cod. civ., su chi intende far valere in giudizio un diritto,
ovvero su chi eccepisce la modifica o l’estinzione del diritto da altri
vantato, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto “fatti

esclude né inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla
parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha
carattere costitutivo; tuttavia, non essendo possibile la materiale
dimostrazione di un fatto non avvenuto, la relativa prova può esser
data mediante dimostrazione di uno specifico fatto positivo contrario,
o anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto
negativo (Cass. 14/07/2000, 9385, Cass. 11/01/2007, n. 384; Cass.
13/06/2013, n. 14854).
E nella specie, sulla base di un accertamento in fatto, la Corte
territoriale ha, in sostanza, escluso che la Santoro abbia assolto
l’onere probatorio posto a carico della medesima, evidenziandosi
peraltro che la ricorrente non ha precisato in ricorso quando e in che
termini abbia, nei gradi di merito, sollevato la questione fondata sulla
pattuizione in deroga dell’art. 12 delle Condizione Generali di
Assicurazioni e di cui a p. 9 del ricorso.
6. Il ricorso va, pertanto, rigettato.
7. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in
dispositivo.
8.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il

versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1,

comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto
per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.

Ric. 2015 n. 01847 sez. M3 – ud. 27-06-2017
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negativi”, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento,
in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di
legittimità, che liquida in euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese
forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00
ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del

17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza
dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello
dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta
Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 27 giugno 2017.
Il Presidente

QA,

d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma

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