Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25268 del 09/12/2016


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Cassazione civile sez. lav., 09/12/2016, (ud. 05/10/2016, dep. 09/12/2016), n.25268

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9388-2014 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati EMANUELA CAPANNOLO, MAURO RICCI, CLEMENTINA PULLI, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.S., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CARLO POMA 2, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE SANTE

ASSENNATO, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1430/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 30/01/2014 r.g.n. 479/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/10/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito l’Avvocato CAPANNOLO EMANUELA;

udito l’Avvocato SACCONI GIOIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per l’accoglimento del primo

motivo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con sentenza pubblicata il 30 gennaio 2014 la Corte d’appello di Milano, in riforma della sentenza resa dal tribunale della stessa sede ed in accoglimento dell’appello proposto da I.S., ha dichiarato il diritto di quest’ultima alla pensione di inabilità ai sensi della L. n. 118 del 1971, art. 12, e condannato l’Inps al pagamento del relativo trattamento a far tempo dal 1 gennaio 2009.

2. – A fondamento del decisum la Corte ha ritenuto che il termine di decadenza di sei mesi previsto dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 3, convertito con modificazioni nella L. 24 novembre 2003, n. 326, valga solo nel caso in cui l’interessato contesti il requisito sanitario, riferendosi la norma citata – che ha abolito i ricorsi amministrativi – all’impugnazione dei soli verbali di accertamento medico-legale, non anche dei provvedimenti amministrativi di diniego adottati dagli enti locali. Poichè nel caso in esame il requisito sanitario non era contestato e la prestazione era stata rifiutata per la mancanza del permesso di soggiorno Ce di lungo periodo o della cittadinanza italiana, la norma indicata non poteva trovare applicazione e la parte non poteva dirsi decaduta dal diritto. Nel merito, riteneva sussistente il diritto alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 40 del 15 marzo 2013 che ha dichiarato l’illegittimità della L. n. 388 del 2000, art. 80, comma 190, nella parte in cui subordina al requisito della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato della pensione di inabilità.

3. – Contro la sentenza ricorre l’Inps sulla base di due motivi. L’ I. resiste con controricorso. Le parti depositano memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.-Preliminarmente, deve darsi atto della tardività del controricorso. Il ricorso per cassazione risulta infatti notificato alla controparte presso il difensore nel domicilio eletto in data 10 aprile 2014, mentre il controricorso risulta avviato per la notifica l’8 ottobre 2014, oltre il termine previsto dall’art. 370 c.p.c. L’inammissibilità del controricorso, conseguente alla sua tardività, comporta che non può tenersi conto del controricorso medesimo, nè delle successive memorie, ma non incide sulla validità ed efficacia della procura speciale rilasciata a margine di esso dal resistente al difensore, che può partecipare in base alla stessa alla discussione orale, con la conseguenza che, in caso di rigetto del ricorso, dal rimborso delle spese del giudizio per cassazione sopportate dal resistente vanno escluse le spese e gli onorari relativi al controricorso, mentre il rimborso spetta limitatamente alle spese per il rilascio della procura ed all’onorario per lo studio della controversia e per la discussione (Cass., 13 maggio 2010, n. 11619).

2. – Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 42 del D.L. cit.. Lamenta che la Corte territoriale ha ritenuto inapplicabile la decadenza semestrale prevista dalla norma citata, sull’erroneo presupposto che essa riguardi i casi di rigetto della domanda di invalidità civile per motivi sanitari, e non anche quando il rigetto amministrativo è dovuto a ragioni extra-sanitarie, come nel caso in esame.

3. – Il secondo motivo riguarda invece il riconoscimento del diritto alla prestazione assistenziale senza prova del requisito reddituale, giacchè la documentazione prodotta (modello Cud) riguardava l’anno 2009 e non anche gli anni successivi fino alla definizione del giudizio. Inoltre, secondo l’Istituto ricorrente, il modello Cud non comprova la situazione reddituale complessiva della parte, avendo ad oggetto solo la percezione dei redditi da retribuzione o da pensione. In punto di fatto, l’Inps dà atto che la ricorrente ha presentato la domanda amministrativa il 22/12/2008; la Asl provincia di Milano ha rigettato la domanda con provvedimento del 20/11/2009 per la mancanza del permesso di soggiorno Ce di lungo periodo o della cittadinanza italiana; contro tale rifiuto, in data 26 gennaio 2010, la ricorrente ha proposto ricorso amministrativo; nel silenzio dell’amministrazione, ha adito l’autorità giudiziaria con ricorso del 30 luglio 2010.

4. – Questi gli elementi di fatto non contestati, la questione che si pone nel presente giudizio è se il termine di decadenza previsto dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 3, convertito con modificazioni dalla L. n. 326 del 2003, sia applicabile anche in caso di provvedimenti amministrativi dell’Inps di rigetto delle domande per motivi diversi da quelli sanitari.

5. – L’art. 42 del D.L. cit., “recante disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici”, nella parte che qui interessa, così dispone: 1. Gli atti introduttivi dei procedimenti giurisdizionali concernenti l’invalidità civile, la cecità civile, il sordomutismo, l’handicap e la disabilità ai fini del collocamento obbligatorio al lavoro, devono essere notificati anche al Ministero dell’economia e delle finanze. La notifica va effettuata sia presso gli uffici dell’Avvocatura dello Stato, ai sensi del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 11, sia presso le competenti direzioni provinciali dei servizi vari del Ministero. Nei predetti giudizi il Ministero dell’economia e delle finanze è litisconsorte necessario ai sensi dell’art. 102 c.p.c. e può essere difeso, oltre che dall’Avvocatura dello Stato, da propri funzionari ovvero, in base ad apposite convenzioni stipulate con l’I.N.P.S. e con MAR, senza oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica, da avvocati dipendenti da questi enti. Nei casi in cui il giudice nomina un consulente tecnico, alle indagini assiste un componente delle commissioni mediche di verifica indicato dal direttore della direzione provinciale su richiesta, formulata a pena di nullità, del consulente nominato dal giudice. Al predetto componente competono le facoltà indicate nell’art. 194 c.p.c., comma 2. 2. Il Ministero dell’economia e delle finanze d’intesa con la Scuola Superiore dell’economia e delle finanze ai fini della rappresentanza e difesa in giudizio dell’Amministrazione di cui al comma 1, organizza, nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio, appositi corsi di formazione del personale”.

Il comma 3 prevede che: “3. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto non trovano applicazione le disposizioni in materia di ricorso amministrativo avverso i provvedimenti emanati in esito alle procedure in materia di riconoscimento dei benefici di cui al presente articolo. La domanda giudiziale è proposta, a pena di decadenza, avanti alla competente autorità giudiziaria entro e non oltre sei mesi dalla data di comunicazione all’interessato del provvedimento emanato in sede amministrativa”.

Il D.L. 24 dicembre 2003, n. 355, convertito con modificazioni dalla L. 27 febbraio 2004, n. 47, ha disposto poi (con l’art. 23, comma 2) che “L’efficacia delle disposizioni di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, è differita al 31 dicembre 2004”.

6. – Il procedimento per il riconoscimento delle provvidenze economiche previste per gli invalidi civili, nonchè per l’accertamento del handicap ai sensi della L. n. 104 del 1992, art. 4, è stato oggetto, negli anni, di numerosi interventi normativi che hanno dato luogo a non poche difficoltà di coordinamento.

Esso si articola in due fasi: la prima, diretta all’accertamento della sussistenza del requisito sanitario, e, la seconda, in caso di esito favorevole di questa prima fase, diretta alla verifica della sussistenza dei requisiti socio – economici.

7. – La L. n. 118 del 1971, che disciplina le provvidenze in favore dei mutilati ed invalidi civili, prevedeva che, per il conseguimento delle provvidenze previste dagli artt. 12, 13, 23 e 24, l’interessato presentasse una domanda alla commissione sanitaria provinciale competente per territorio (art. 11). Contro la decisione, l’interessato poteva presentare il ricorso alla commissione sanitaria regionale, costituita presso l’ufficio del medico provinciale del capoluogo della regione (art. 9), la cui decisione aveva carattere definitivo e doveva essere comunicata alla competente commissione sanitaria provinciale che provvedeva poi a comunicarlo all’interessato (art. 9 che rinvia all’art. 8).

L’art. 14 regolava, invece, la fase successiva all’accertamento favorevole delle condizioni sanitarie (previste dagli artt. 11, 12 e 13) e prevedeva la concessione del beneficio da parte del comitato provinciale di assistenza e beneficenza pubblica. Contro la deliberazione dei comitati provinciali di assistenza e beneficenza pubblica era previsto un ricorso al Ministero dell’interno, che provvedeva previo parere di una commissione consultiva (art. 15). Il quadro era poi completato dalla L. n. 118 del 1971, art. 22, il quale prevedeva che contro i provvedimenti definitivi previsti dagli artt. 9 e 15 era ammessa la tutela giurisdizionale dinanzi ai competenti organi ordinari e amministrativi.

8. – Successivamente è intervenuto il D.L. 30 maggio 1988, n. 173, convertito nella L. 26 luglio 1988, n. 291, il cui art. 3, sotto la rubrica “Norme per il riconoscimento dell’invalidità civile”, ha previsto che le domande per ottenere la pensione, l’assegno o l’indennità di cui alle L. 26 maggio 1970, n. 381, e successive modificazioni, L. 27 maggio 1970, n. 382, e successive modificazioni, L. 30 marzo 1971, n. 118, e successive modificazioni, e L. 11 febbraio 1980, n. 18, e successive modificazioni, devono essere presentate alle commissioni mediche per le pensioni di guerra (che assumono la denominazione “commissioni mediche periferiche per le pensioni di guerra e di invalidità civile”), di cui al D.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, art. 105, e successive modificazioni. Lo stesso art. 3 ha previsto la trasmissione, a cura delle commissioni, una volta conclusa l’istruttoria, del relativo verbale di visita all’interessato ed il relativo verbale, con gli allegati, alla competente prefettura, la quale provvede alla definizione della pratica secondo le disposizioni di legge vigenti. Il comma 2 ha quindi disposto che “2. Contro i provvedimenti di definizione delle domande previsti dal comma 1 è ammesso, entro sessanta giorni dalla notifica, ricorso in carta semplice al Ministro dell’interno, che provvede, sentito il Ministro del tesoro e su parere della commissione medica superiore – che assume la denominazione “commissione medica superiore e di invalidità civile” – di cui al D.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, art. 106, e successive modificazioni. (omissis). Avverso la decisione del ricorso è ammessa la tutela giurisdizionale dinanzi al giudice ordinario”.

9.- La materia è stata nuovamente coinvolta dalla L. 15 ottobre 1990, n. 295, intitolata “Modifiche ed integrazioni al D.L. 30 maggio 1988, n. 173, art. 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 26 luglio 1988, n. 291, e successive modificazioni, in materia di revisione delle categorie delle minorazioni e malattie invalidanti”, che ha attribuito alle unità sanitarie locali (mediante l’istituzione di una o più commissioni mediche) tutti gli accertamenti sanitari: il comma 7 dell’art. 1 ha disposto che copia dei verbali di visita conseguenti agli accertamenti sanitari di cui al comma 1 siano trasmessi dalle unità sanitarie locali alla competente commissione medica periferica per le pensioni di guerra e d’invalidità civile, la quale nel termine di sessanta giorni dalla data di ricezione può chiedere la sospensione della procedura per ulteriori accertamenti. Decorso tale termine, senza la suddetta richiesta, i medesimi verbali di visita sono trasmessi dalle unità sanitarie locali alla competente prefettura per gli ulteriori adempimenti necessari per la concessione delle provvidenze. Il comma 8 ha poi disposto che “Contro gli accertamenti sanitari effettuati dalle unità sanitarie locali di cui al comma 1, contro gli eventuali accertamenti effettuati, nei casi previsti dalla commissione indicata al comma 7, gli interessati possono presentare, entro sessanta giorni dalla notifica, ricorso in carta semplice al Ministro del tesoro, che decide, entro centottanta giorni, sentita la commissione medica superiore e d’invalidità civile, di cui al D.L. 30 maggio 1988, n. 173, art. 3, comma 2, convertito con modificazioni, dalla L. 26 luglio 1988, n. 291. Avverso la decisione del Ministro del tesoro è ammessa la tutela giurisdizionale dinanzi al giudice ordinario”.

10. – La materia è stata nuovamente riordinata con l’emanazione del D.P.R. 21 settembre 1994, n. 698, in attuazione della delega contenuta nella L. 24 dicembre 1993, n. 537 sulla base dei seguenti criteri: a) semplificazione dei procedimenti; b) distinzione del procedimento di accertamento sanitario dal procedimento per la concessione delle provvidenze, con attribuzione della rispettiva competenza alle commissioni mediche di cui alla L. 15 ottobre 1990, n. 295 e ai prefetti; c) soppressione dei comitati provinciali di assistenza e beneficenza pubblica e devoluzione delle funzioni concernenti le provvidenze in favore dei minorati civili ai prefetti.

E’ stato così previsto quanto segue: a) la presentazione di un’istanza alla commissione medica Usl competente per territorio, con allegazione di certificazione medica, attestante la natura delle infermità invalidanti; con la medesima istanza l’interessato chiede alla competente prefettura la concessione delle provvidenze economiche spettanti in relazione allo stato di invalidità e alla minorazione riconosciuta (art. 1); b) la conferma delle disposizioni di cui alla L. 15 ottobre 1990, n. 295, art. 1, comma 7, in relazione al termine di sessanta giorni previsto per la richiesta di sospensione della procedura da parte delle commissioni mediche periferiche per le pensioni di guerra e di invalidità civile; la trasmissione all’interessato, a mezzo posta, di un originale del verbale di visita medica; c) la possibilità del ricorso avverso i verbali di visita emessi dalle commissioni mediche U.S.L. e dalle commissioni mediche per le pensioni di guerra e di invalidità civile, di cui al D.L. n. 173 del 1988, art. 3, da parte degli interessati, da presentarsi, entro sessanta giorni dalla notifica, alla commissione medica superiore e di invalidità civile e da definirsi entro centottanta giorni dalla data di presentazione, con decreto del direttore generale dei servizi vari e delle pensioni di guerra del Ministero del tesoro (art. 3, comma 2, DPR cit.); d) il silenzio rigetto dei ricorsi non definiti entro il detto termine; e) la tutela giurisdizionale davanti al giudice ordinario (art. 3, comma 5) avverso le decisioni di cui al comma 2 e le omesse convocazioni a visita; f) la concessione ed il pagamento delle provvidenze economiche da parte delle prefetture entro il termine di centottanta giorni dalla data di ricezione di copia dell’istanza (salva la possibilità di una sospensione nel caso di richiesta all’interessato di ulteriore documentazione, non superiore a sessanta giorni), corredata dal verbale di accertamento sanitario, trasmessi dalla commissione medica sanitaria competente (art. 4 D.P.R. cit.); g) la soppressione dei comitati provinciali di assistenza e beneficenza pubblica, con attribuzione delle relative funzioni ai prefetti; h) la possibilità per gli interessati di presentare ricorso al Ministero dell’interno contro il decreto del prefetto (o del commissario per la provincia di Trento, o del presidente della giunta regionale della Valle d’Aosta), recante la decisione sulla domanda di pensione, assegno od indennità, e sulla revoca, entro il termine di sessanta giorni dalla notifica (art. 6, comma 1); i) la decisione del Ministero dell’interno entro centoventi giorni dalla data di presentazione del ricorso, decorsi i quali il ricorso si intende rigettato; I) la tutela giurisdizionale davanti al giudice ordinario contro le decisioni di cui al comma 1.

In sintesi, il D.P.R. 21 settembre 1994, n. 698 prevede due distinti ricorsi amministrativi, l’uno in relazione all’esito sfavorevole del verbale di visita (art. 3, comma 2), l’altro in relazione all’eventuale provvedimento negativo conclusivo della successiva fase di verifica dei requisiti socio-economici (art. 6).

11.- Il D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, ha trasferito alle regioni e agli enti locali le competenze a concedere le prestazioni, già della prefettura, mentre il pagamento spetta all’Inps (artt. 130, 131 e 132 D.Lgs. cit.). L’art. 130 ha disposto poi che “Fermo restando il principio della separazione tra la fase dell’accertamento sanitario e quella della concessione dei benefici economici, di cui alla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 11, nei procedimenti giurisdizionali ed esecutivi, relativi alla concessione delle prestazioni e dei servizi, attivati a decorrere dal termine di cui al comma 1 del presente articolo, la legittimazione passiva spetta alle regioni ove il procedimento abbia ad oggetto le provvidenze concesse dalle regioni stesse ed all’INPS negli altri casi, anche relativamente a provvedimenti concessori antecedenti al termine di cui al medesimo comma 1″(art. 130, comma 3 D.Lgs. cit.).

Il comma quarto ha previsto che “4. Avverso i provvedimenti di concessione o diniego è ammesso ricorso amministrativo, secondo la normativa vigente in materia di pensione sociale, ferma restante la tutela giurisdizionale davanti al giudice ordinario”.

Il rinvio alla “normativa vigente in materia di pensione sociale” deve intendersi operato alla L. n. 88 del 1989, e in particolare agli artt. 46 e 47, che disciplinano il contenzioso in materia di prestazioni previdenziali, che attribuiscono al comitato provinciale di cui al D.P.R. n. 639 del 1970, art. 34, operante presso ogni sede provinciale dell’Inps, la competenza a decidere sui ricorsi contro i provvedimenti dell’istituto in materia di prestazioni previdenziali, indicate nell’art. 46 cit., tra cui vi è la “pensione sociale” (lett. e) art. 46). La norma stabilisce il termine per ricorrere (novanta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento impugnato); la formazione del silenzio rigetto trascorsi inutilmente novanta giorni dalla data di presentazione del ricorso; la facoltà per gli interessati di adire l’autorità giudiziaria una volta che si sia formato il silenzio rigetto.

12. – Fino al D.Lgs. n. 112 del 1998 la duplicità delle fasi dirette all’accertamento del requisito sanitario e alla verifica della sussistenza dei requisiti socio economici è mantenuta ferma dal legislatore in modo espresso, attraverso la previsione di due distinte competenze – commissioni mediche della Usl, da un lato, e Inps dall’altro, – e di distinti rimedi amministrativi, l’uno affidato alla commissione medica superiore e di invalidità civile e l’altro agli enti territoriali (cui le leggi regionali, in attuazione del combinato disposto del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, art. 130, comma 2, e art. 132, comma 1, hanno conferito la titolarità nella materia), ovvero alle articolazioni periferiche dell’INPS (nei casi in cui le Regioni abbiano stipulato gli accordi previsti dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 80, comma 8).

13. – In questo quadro normativo, caratterizzato da un evidentè instabilità e da un’eccessiva durata delle procedure amministrative, così come congegnate dallo stesso legislatore (e, in particolare, dal D.P.R. n. 698 del 1994) piuttosto che dovute a disfunzioni operative, è intervenuto il D.L. n. 269 del 2003, convertito nella L. n. 326 del 2003, che, con l’art. 42, comma 3, ha disposto l’abolizione del contenzioso amministrativo in materia di invalidità civile e ha previsto la possibilità che l’interessato proponga, a pena di decadenza, la domanda giudiziale dinanzi all’autorità giudiziaria competente nel termine di sei mesi dalla data di comunicazione del provvedimento emanato in sede amministrativa.

14. – La norma, la cui rubrica è “disposizioni in materia di invalidità civile”, ha una portata generale. Essa infatti disciplina tanto il procedimento giurisdizionale (comma 1, mediante la previsione delle modalità di introduzione del giudizio previdenziale, del litisconsorzio necessario del Ministero dell’economia e delle finanze e della sua difesa, della partecipazione in sede di consulenza tecnica d’ufficio di un componente delle commissioni mediche di verifica), quanto il procedimento amministrativo (commi dal 4 a 7, con la previsione di modalità di verifica della sussistenza dei requisiti medico-legali effettuata dal Ministero nei confronti dei titolari delle provvidenze, di modalità tecniche sulle verifiche sui requisiti reddituali; comma 9, con il trasferimento alla Direzione centrale degli Uffici locali e dei Servizi del tesoro Ministero dell’economia, delle competenze residuate allo Stato in materia di invalidità civile, già di competenza del Ministero dell’interno, ossia, in particolare, la funzione di revisione degli importi dei trattamenti economici e l’attività di indirizzo per consentire un’applicazione uniforme della normativa statale).

15. La portata ampia e piuttosto eterogenea delle disposizioni contenute nell’art. 42, – che si riferiscono genericamente alla “materia della invalidità civile”, come recita la stessa rubrica, e quindi sia all’accertamento dei requisiti medico-legali, sia alla verifica dei requisiti reddituali (v. comma 5), – unita al tenore letterale del 3 comma, nella parte in cui dispone l’eliminazione del “ricorso amministrativo” tout court, senza alcuna distinzione tra rimedi avverso il mancato riconoscimento del requisito sanitario e rimedi contro il diniego della prestazione per ragioni diverse, e senza alcun riferimento ai diversi organi competenti a decidere sui ricorsi, non consente all’interprete di introdurre alcuna distinzione tra le due fasi ai fini dell’applicazione della norma in esame: diversamente da quanto previsto nelle precedenti disposizioni normative, sempre caratterizzate da un doppio regime impugnatorio a seconda del contenuto del provvedimento di diniego e dell’organo emittente, la norma discorre genericamente di “ricorso amministrativo” e di “provvedimenti adottati in esito alle procedure in materia di riconoscimento dei benefici”, o ancora di “provvedimento emanato in sede amministrativa” senz’altra specificazione. Specificazione che, invece, si rinviene in altri commi dello stesso articolo, come ad esempio nel comma 4, dove si prevedono criteri di valutazione delle patologie, secondo le tabelle vigenti di invalidità, in sede di verifica della sussistenza dei requisiti medico-legali, oppure nel comma 5, dove si prevede una determinazione interdirigenziale per stabilire le modalità tecniche di verifica dei requisiti reddituali.

16. -Il dato letterale, alla luce del composito quadro normativo in cui l’art. 42 viene ad inserirsi, – in cui come si è visto il legislatore ha espressamente e consapevolmente mantenuto la separazione delle due fasi anche sotto il profilo dei rimedi impugnatori -, depone pertanto per lettura della norma nel senso più ampio, ossia che l’eliminazione del ricorso amministrativo riguarda non solo i provvedimenti che attengono ai requisiti sanitari ma anche i provvedimenti di rigetto o di revoca dei benefici economici per ragioni diverse, quali il superamento del reddito, la mancanza di cittadinanza o di residenza.

17. – E anche la ratio della norma conferma questa interpretazione: come si legge infatti nella relazione illustrativa al D.D.L. n. 2518 del Senato, approvato il 30 ottobre 2003, poi divenuto legge dello Stato, il fine perseguito dal legislatore con le “modifiche e precisazioni in ordine ai procedimenti esistenti in materia d’invalidità civile, handicap e disabilità” introdotte con l’art. 42, è quello della “semplificazione e dell’efficacia dell’azione amministrativa”: semplificazione ed efficacia che non sarebbero pienamente (e inspiegabilmente) raggiunti se la eliminazione dei rimedi amministrativi e la previsione del ricorso giudiziario nel termine di decadenza indicato riguardassero unicamente il mancato riconoscimento dei requisiti sanitari. Nè a diverso convincimento può indurre la nota n. 38884 del Ministero dell’economia e delle finanze in data 14 febbraio 2005, citato dalla Corte milanese a sostegno della sua interpretazione, trattandosi di atto non vincolante per il giudice nè per la stessa autorità che lo ha espresso (v. con riferimento alle circolari in materia tributaria Cass., Sez. Un., 2 novembre 2007, n. 23031), e dal quale, comunque, non si traggono validi elementi esegetici.

18. – Il motivo di ricorso deve dunque essere accolto in forza del seguente principio di diritto: “il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 3, convertito in legge, con modificazioni, nella L. 24 novembre 2003, n. 326, nella parte in cui dispone che, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto (poi differita al 31 dicembre 2004 in forza del D.L. 24 dicembre 2003, n. 355, convertito con modificazioni dalla L. 27 febbraio 2004, n. 47, l’art. 23, comma 2) “non trovano applicazione le disposizioni in materia di ricorso amministrativo avverso i provvedimenti emanati in esito alle procedure in materia di riconoscimento dei benefici di cui al presente articolo” si riferisce ai ricorsi amministrativi precedentemente previsti sia contro i provvedimenti di mancato riconoscimento dei requisiti sanitari sia contro i provvedimenti di rigetto o revoca dei benefici economici attinenti a requisiti non sanitari, quali quelli cosiddetti socioeconomici. Di conseguenza, il termine di decadenza per la proposizione dell’azione giudiziaria previsto dalla seconda parte dello stesso comma terzo opera sia con riguardo all’ipotesi in cui il diniego in sede amministrativa sia conseguente a ragioni sanitarie sia all’ipotesi in cui il diniego dipenda da ragioni diverse”.

18. – Affinchè, però, possa maturare la decadenza prevista dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42, è necessario che il provvedimento di rigetto sia esplicito e venga comunicato all’interessato, poichè il dies a quo del termine semestrale di decadenza è individuato dalla legge nella data di comunicazione all’interessato del provvedimento emanato in sede amministrativa e le norme che stabiliscono decadenze sono di stretta interpretazione.

19. – Sotto questo riguardo, la sentenza deve essere cassata e rinviata ad altro giudice d’appello perchè accerti, sulla base delle allegazione delle parti e delle prove offerte, la data in cui il provvedimento di diniego della prestazione richiesta dalla I.S. sia stato comunicato alla parte interessata, e, quindi, verifichi l’eventuale maturarsi della decadenza, nonchè la configurabilità, ai fini di una possibile rimessione in termini, di un errore scusabile della parte conseguente ad imprecise o erronee informazioni contenute nel provvedimento di diniego e riguardanti ricorsi amministrativi ormai aboliti.

20.- Rimane così assorbito il secondo motivo di ricorso, il quale suppone il preliminare accertamento della tempestività della domanda, dovendosi peraltro rilevare che, per giurisprudenza di questa Corte, il requisito reddituale deve sussistere – ed essere quindi accertato dal giudice del merito – con riguardo all’anno da cui decorre la prestazione (Cass. 28 luglio 2010, n. 17624; Cass. 11 aprile 2014, n. 8633), nonchè agli anni successivi fino alla sentenza (Cass. 25 settembre 2013, n. 21925).

21. – Il giudice del rinvio provvederà anche a regolamentare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2016

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