Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25265 del 25/10/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 25/10/2017, (ud. 04/04/2017, dep.25/10/2017),  n. 25265

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CAIAZZO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 6127/13, proposto da:

Dis.Sam. s.r.l., in persona del legale rappres. p.t., elett.te domic.

in Roma, alla via Cola di Rienzo n.180, presso l’avv. Paolo

Fiorilli, rappres. e difesa dagli avv.ti Marco Miccinesi e Francesco

Pistolesi, con procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, elett.te domic. in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12, presso l’avvocatura dello Stato che la rappres. e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1/01/2012 della Commissione tributaria

regionale della Toscana, depositata il 12/1/2012;

udita la relazione del consigliere dott. Rosario Caiazzo, nella

pubblica udienza del 4 aprile 2017;

udito l’avv. Pistolesi per la parte ricorrente;

udito l’avv. P. Garofoli per la parte controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore

generale, dott. Del Core Sergio, che ha concluso per l’accoglimento

dei motivi sesto e ottavo, assorbiti gli altri.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Dis.Sam. s.r.l. propose ricorso, innanzi alla Ctp di Firenze, avverso distinti avvisi d’accertamento notificati dall’ufficio di Firenze, in materia di irpeg, ilor, irap e iva, per gli anni dal 1996 al 2000, e dal 2011 al 2002, nonchè un avviso notificato dall’ufficio di Prato per il 2003.

Si costituì l’ufficio, resistendo ai ricorsi.

La Ctp, riuniti in due gruppi di ricorsi, li rigettò con due sentenze.

La Ctp di Prato accolse invece il ricorso per inesistenza della notificazione dell’avviso impugnato.

La Ctr, riuniti i vari appelli proposti, accolse l’impugnazione dell’ufficio di Prato, respingendo invece quella del contribuente, argomentando che dai vari elementi acquisiti si desumeva che la società appellata, avente sede in (OMISSIS), operasse di fatto in Italia e fosse, di conseguenza, obbligata a rispettare le norme fiscali italiane.

La Dis.Sam. s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, formulando undici motivi. Resiste l’Agenzia, con controricorso, eccependo l’infondatezza del ricorso.

La ricorrente ha altresì depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è fondato.

Con il primo motivo, la ricorrente ha denunciato la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento all’incompetenza territoriale dell’ufficio di Prato, riguardo all’emanazione dell’avviso del 2003, in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1., n. 4, in quanto, essendo la sede legale della Dis.Sam. ubicata in (OMISSIS), sarebbe stato competente l’ufficio di Firenze, luogo in cui era operativa una sede amministrativa.

Con il secondo motivo,la ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 40, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 31,comma 2 e art. 58, comma 3, in tema di competenza dell’ufficio di Prato dell’Agenzia delle entrate, adducendo che l’unico ufficio competente, per l’iva, era quello di Roma – considerando che la società non aveva rappresentanti fiscali in Italia – oppure quello di Firenze, se fosse stata considerata la sede amministrativa della stessa.

Con il terzo motivo, la ricorrente ha invocato la violazione e falsa applicazione dell’art. 73, comma 3, Tuir, avendo erroneamente la Ctr ritenuto che la sede amministrativa della stessa società fosse ubicata in Firenze, poichè quest’ultima svolgeva in (OMISSIS) la piena attività negoziale e giuridica.

Con il quarto motivo, la ricorrente ha denunziato l’omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo, concernente la presenza della sede sociale in (OMISSIS), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo la Ctr attribuito valenza interpretativa a fatti irrilevanti e non significativi, senza esaminare altri elementi, quali i bilanci e i conti correnti.

Con il quinto motivo, la ricorrente ha denunziato la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 anche in rapporto agli artt. 2727 e 2729, c.c., lamentando che nessun elemento utilizzato dal giudice d’appello avrebbe potuto assurgere a indizio grave, preciso e concordante, idoneo a legittimare l’accertamento induttivo.

Con il sesto motivo, la ricorrente ha denunziato la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, avendo la Ctr omesso di pronunciarsi su varie eccezioni preliminari (riguardanti: la decadenza dal potere di accertamento; la violazione del termine di gg. 60 di cui al citato art. 12; la detrazione delle imposte versate nella Repubblica di San Marino; l’inapplicabilità delle sanzioni), e dell’art. 112 c.p.c. in ordine all’erroneo calcolo delle sanzioni, di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Con il settimo motivo, la ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 10 anche in relazione agli artt. 7, 8 e 9 della stessa legge, e alle disposizioni della sesta direttiva Iva, come interpretate dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea.

Con l’ottavo motivo, la ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

Con il nono motivo, la ricorrente ha denunziato la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7, commi 2 e 3, all’epoca vigente, adducendo l’inapplicabilità di tali norme alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi fornite sul territorio italiano.

Con il decimo motivo, la ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 5,6 e 12 non sussistendo i presupposti applicativi delle sanzioni.

Con l’ultimo motivo, la ricorrente ha denunziato la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 15 (ora art. 165), commi 3, 4 e 8, in ordine al mancato riconoscimento della detrazione per le imposte versate all’estero.

Il collegio ritiene fondato l’ottavo motivo del ricorso, il cui accoglimento ha carattere assorbente rispetto agli altri motivi.

Dagli atti emerge – ciò è incontestato – che gli avvisi impugnati furono emessi a seguito di una verifica a carattere generale e consegnati al contribuente senza l’osservanza del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, prima del decorso del termine di 60 gg.

Ora, secondo l’orientamento consolidato della Corte, in materia di garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12,comma 7, che prevede che l’avviso d’accertamento, salva la ricorrenza di specifiche e motivate ragioni di urgenza, non può essere emesso pena la sua nullità, prima della scadenza del termine dilatorio di sessanta giorni dal rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, si applica non solo nell’ipotesi di verifica ma anche di accesso, concludendosi anche tale accertamento con la sottoscrizione e consegna del processo verbale delle operazioni svolte, e ciò alla stregua delle prescrizioni di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, comma 6, ovvero del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33 (Cass., n. 2593 del 25.2.2014).

E’ stato altresì affermato che, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sè, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poichè detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio (SU, n. 18184 del 29.7.2013).

La giurisprudenza della Corte ha altresì precisato che la garanzia di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, si applica a qualsiasi atto di accertamento o controllo con accesso o ispezione nei locali dell’impresa, ivi compresi gli atti di accesso istantanei finalizzati all’acquisizione di documentazione, in quanto la citata disposizione non prevede alcuna distinzione ed è, comunque, necessario redigere un verbale di chiusura delle operazioni anche in quest’ultimo caso, come prescrive il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, comma 6, (Cass., n. 15624 del 9.7.2014), ed esclude l’ammissibilità della cd. “prova di non resistenza” prevista dalla L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, comma 2, (Cass., ord. n. 1007 del 17.1.2017) secondo il cui disposto, il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Per quanto esposto, la sentenza impugnata va cassata; l’accoglimento dell’ottavo motivo comporta l’assorbimento degli altri motivi, atteso il carattere preliminare della questione esaminata rispetto alle questioni afferenti al contenuto e alla motivazione della sentenza di secondo grado.

Sussistono i presupposti per decidere il merito della causa, non essendo necessari ulteriori accertamenti, in quanto la nullità degli avvisi d’accertamento di per sè comporta l’accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

Ricorrono invece i presupposti per compensare le spese dei gradi del merito, in considerazione delle incertezze interpretative del suddetto art. 12, protrattesi sino alla sentenza delle Sezioni Unite del 2013.

Infine, il rigetto del ricorso non comporta la condanna all’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del medesimo art. 13, comma 1-bis che, non può aver luogo nei confronti di quelle parti della fase o del giudizio di impugnazione, come le Amministrazioni dello Stato, che siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass., n. 5955/14).

PQM

La Corte accoglie l’ottavo motivo del ricorso, assorbiti gli altri, e cassa la sentenza impugnata. Decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della Dis.Sam. S.r.l., annullando gli avvisi d’accertamento impugnati.

Compensa le spese dei gradi di merito e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 20000,00 oltre alla maggiorazione del 15%, quale rimborso forfettario delle spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2017

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