Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25261 del 10/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 10/11/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 10/11/2020), n.25261

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. LEUZZI S. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24408/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, in persona del Direttore p.t., con domicilio

eletto presso gli uffici della predetta Avvocatura, in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

Galleria D’Arte Moda Contemporanea s.r.l., in persona del suo legale

rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Giuseppe

Cagnetta, elettivamente domiciliato in Roma, via Cosseria n. 2;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Puglia, sez. distaccata di Taranto, depositata il 25 luglio 2012, n.

121/28/2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 febbraio

2020 dal Cons. Salvatore Leuzzi.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

– La contribuente in epigrafe impugnava l’avviso di accertamento notificatole dall’Agenzia delle entrate di (OMISSIS), in relazione all’anno 2003, mediante il quale, sul presupposto della rideterminazione del reddito di impresa riveniente dall’esercizio dell’attività di commercio al dettaglio di confezioni per adulti, venivano ripresi a tassazione i maggiori importi dovuti a titolo di Irpeg, Irap e IVA.

– L’accertamento originava dagli elementi resi in un processo verbale di constatazione, redatto dall’Ufficio il (OMISSIS).

– Dall’accertamento era emerso nel corso dell’esercizio 2003, la società contribuente aveva ripianato una perdita pari a Euro 318.196,00, stornando un identico importo dal conto “Finanziamento soci infruttifero”, che evidenziava in quel momento uno sbilancio pari ad Euro 392.196,00. Detto importo veniva ricondotto a tassazione quale sopravvenienza attiva ex art. 88 TUIR, comma 1, tenuto conto, per un verso, che l’operazione si palesava priva di logica aziendale ed economica, per altro verso, che l’andamento della società era negativo e la posizione reddituale dei soci non era sufficiente a dimostrare il versamento di somme tanto cospicue.

– Era, inoltre, venuta in evidenza una ulteriore sopravvenienza attiva per Euro 23.116,00, sempre ai sensi dell’art. 88 TUIR, comma 1, connessa ad una esposizione bancaria non documentata.

– La CTP di Taranto, con sentenza del 13 novembre 2007, accoglieva il ricorso della contribuente, da un lato, valorizzando la circostanza per cui quest’ultima si era avvalsa del condono tombale L. n. 289 del 2002, ex art. 9, per gli anni fino al 2002; dall’altro lato, escludendo, altresì, la configurabilità di sopravvenienze attive.

– L’appello erariale veniva disatteso dalla CTR in epigrafe, che escludeva che le rinunce dei soci ai crediti vantati per finanziamenti eseguiti in favore della società potessero essere qualificate come sovravvenienze attive ed osservava che i ricavi non dichiarati dalla società riguardavano anni non suscettibili di accertamento stante l’intervenuto condono ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9.

– Il ricorso per cassazione dell’Agenzia delle entrate è articolato su due motivi.

– La contribuente si è costituita con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 10, lett. a), e la falsa applicazione dell’art. 55 TUIR, nonchè del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e infine l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la CTR trascurato che il condono operato per gli anni fino al 2002 non preclude l’indagine su fatti che, pur verificatisi in detti periodi di imposta, assumano rilevanza ai fini di un accertamento svolto su anni sottratti al condono;

– Con il secondo motivo di ricorso, l’Agenzia censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e degli artt. 2727 c.c., e ss., per avere la CTR applicato in modo erroneo le norme ed i principi sulle presunzioni e sul riparto degli oneri probatori.

– Il primo motivo è fondato e va accolto per quanto di ragione.

– Vanno disattese, in primo luogo, le eccezioni di inammissibilità formulate dalla controricorrente: non sussiste, infatti, nè il dedotto difetto per autosufficienza, avendo l’Agenzia riprodotto, per le parti rilevanti ed in termini adeguati, il pvc e gli atti processuali, nè, quanto al vizio di motivazione, la lamentata genericità e contraddittorietà, non limitandosi la censura a porre in risalto, in relazione agli anni coperti dal condono, solo i fatti rilevanti per l’anno 2003, tra cui quelli relativi ai soci, neppure oggetto di provvedimento clemenziale.

– Nel merito, giova preliminarmente rilevare che, come puntualizzato ancor di recente da questa Corte, “In tema di condono fiscale, le misure con le quali lo Stato membro rinuncia ad una corretta applicazione e/o riscossione dell’IVA devono ritenersi incompatibili, anche rispetto alle sanzioni, con la disciplina comunitaria per contrasto con la VI Dir. n. 77/388/CEE, come interpretata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, trattandosi di misure di carattere dissuasivo e repressivo, la cui funzione è quella di determinare il corretto adempimento di un obbligo nascente dal diritto Europeo: ne deriva che deve essere disapplicato alla L. n. 289 del 2002, art. 9-bis, che consente la definizione dei rapporti fiscali escludendo le sanzioni connesse al ritardato od omesso versamento dell’IVA” (Cass. n. 27822 del 2018). Pertanto, mette in conto soggiungere che “La L. n. 289 del 2002, art. 9-bis, nella parte in cui consente di definire una controversia con l’Amministrazione finanziaria evitando il pagamento delle sanzioni connesse al ritardato od omesso versamento dell’IVA, deve essere disapplicato a prescindere da specifiche deduzioni di parte e senza che possano ostarvi preclusioni procedimentali o processuali (quale, nella specie, il carattere “chiuso” del giudizio di cassazione), essendo in contrasto con gli obblighi previsti dalla VI Dir. del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/388 CEE, artt. 2 e 22, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative all’IVA, secondo l’interpretazione resa dalla Corte di giustizia nella sentenza 17 luglio 2008, causa C-132/06, che ascrive a dette norme comunitarie portata generale, poichè anche tale forma di condono cd. clemenziale, come le ipotesi di condono premiale previste dalla stessa L. n. 289 del 2002, artt. 7 ed 8, è idonea a pregiudicare in modo significativo il funzionamento del sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto, incidendo sulla corretta riscossione di quanto dovuto” (Cass. n. 19661 del 2018).

– Su tali premesse, occorre rilevare che l’avviso di accertamento per cui è controversia, facendo impiego del metodo analitico-presuntivo contemplato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), ha rideterminato i redditi della contribuente in relazione all’anno 2003, ai fini dell’Irpeg, dell’Irap e dell’IVA.

– Segnatamente è stata intercettata come anomala, nel quadro dell’atto impositivo, l’operazione societaria consistita nel ripianamento della perdita di bilancio dell’esercizio 2002 attraverso lo storno dei crediti vantati verso l’ente dai soci finanziatori, che a detti crediti nell’esercizio 2003 rinunciavano.

– Nella prospettazione erariale i versamenti di denaro afferenti ai crediti appostati in favore dei soci non sono, in realtà, mai avvenuti sicchè la rinuncia ad essi ha finito per riguardare nel complesso finanziamenti mai incassati, all’inesistenza dei quali è sottesa l’omessa contabilizzazione di ricavi di identico ammontare da parte della società, che detti ricavi ha occultato circoscrivendo l’ammontare effettivo dei redditi d’impresa.

– L’atto impositivo valorizza alcuni profili marcatamente sintomatici della mancata corresponsione delle somme oggetto “figurativo” dei finanziamenti: l’incapacità reddituale dei tre soci; il possesso da parte loro di modesti redditi fondiari; la mancata documentazione dei finanziamenti; la deficienza di valide ragioni economiche alla base di una rinuncia ai crediti nel 2003 in concomitanza con una perdurante situazione di perdite di gestione registrata negli (e trascinata dagli) esercizi precedenti.

– A fronte della riassunta cornice indiziaria, la trama argomentativa della CTR si alimenta dei seguenti passaggi: la fittizietà dei versamenti può essere rivelatrice di un introito pecuniario non dichiarato dalla società pari all’importo virtuale e apparente di essi; detto introito non dichiarato sarebbe costituito, tuttavia, da ricavi tenuti occulti imputabili agli esercizi dal 1996 al 2002 nei quali risultano fittiziamente eseguiti e contabilizzati i versamenti dei soci; la sopravvenienza attiva non dichiarata è sorta negli anni anzidetti e ad essi va imputata in base al principio di “competenza”; detti anni “non sono passibili di accertamento” in quanto coperti dal condono “tombale” L. n. 289 del 2002, ex art. 9, sicchè il quadro è cristallizzato e intangibile.

– La ricostruzione del giudice d’appello è sdrucciolevole in più punti.

– Nell’ampio concetto di sopravvenienze attive, delineato dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55, comma 1, rientrano tutte quelle situazioni in cui, per qualsiasi ragione, si verifichi in bilancio una connotazione attiva che determini un incremento degli elementi che avevano concorso a formare il reddito in precedenti esercizi (Cass. n. 28727 del 2017; Cass. n. 4297 del 2010).

– L’art. 55 TUIR, qualifica sopravvenienza attiva da iscrivere in bilancio anche “la sopravvenuta insussistenza… di passività iscritte in precedenti esercizi”. L’insussistenza delle passività è stata intesa come “sopravvenuta” in tutti i casi in cui, per qualsiasi ragione, la posizione debitoria, già annotata come tale, debba ritenersi cessata e assuma quindi nel bilancio una connotazione attiva con il conseguente assoggettamento a imposizione, con riferimento all’esercizio in cui tale posta attiva emerge in bilancio ed acquista certezza (cfr. Cass. n. 12436 del 2011; Cass. n. 20543 del 2006).

– Su queste premesse, è sopravvenienza attiva, in linea di principio, anche quella che nella prospettazione erariale sorge in virtù dello storno operato, nell’anno 2003, della cifra corrispondente alla perdita di esercizio pari ad Euro 318.196,00 dalla voce denominata “Finanziamento soci infruttifero”, che evidenziava un debito di bilancio di Euro 392.196,71.

– Ai fini dell’imponibilità ex art. 55 TUIR, conta, in definitiva, l’emersione della sopravvenienza in bilancio, quale evento che vi conferisce certezza (v. anche Cass. n. 1310 del 1996).

– Nel caso di specie, poichè lo “storno” dei debiti verso i soci viene effettuato nel 2003, è in detto anno che le passività a bilancio assumono evidenza e cristallizzazione, tramutandosi astrattamente in sopravvenienza attiva, in linea con la ricostruzione erariale reiteratamente espressa e ribadita nel primo motivo di censura.

– Ora, è ben vero che il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 55, (oggi art. 88), comma 4, come modificato dal D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito in L. 26 febbraio 1994, n. 133, esclude – come rammentato dal giudice regionale – che debbano considerarsi sopravvenienze attive le rinunce ai crediti operate dai soci nei confronti della società.

– Nel caso di specie, tuttavia, la CTR ha omesso di accertare limitandosi a bollare come “asserita” la “fittizietà” dei finanziamenti dei soci dedotta dall’erario – se la sopravvenienza attiva riscontrabile nella specie in virtù dello storno gemmasse dalla eliminazione unilaterale e discrezionale, da parte della contribuente, dell’importo appostato nel conto “Finanziamento soci infruttifero”, con il contestuale suo spostamento in funzione del ripianamento contabile della perdita di esercizio; o se, viceversa, constasse concretamente un finanziamento dei soci, a monte effettivamente eseguito e non fittizio o virtuale e se gli stessi avessero realmente rinunciato ex actis ai crediti maturati in conseguenza della sua esecuzione.

– Solo in questo secondo caso, invero, secondo la disciplina dettata dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55, (oggi art. 88), comma 4, nella formulazione, vigente “ratione temporis”, la rinuncia, da parte dei soci, ai crediti nei confronti della società non andrebbe considerata sopravvenienza attiva ove operata in conto capitale, atteso che, in tale ipotesi, esprimerebbe la volontà di patrimonializzare la società e non potrebbe, pertanto, essere equiparata alla rimessione del debito da parte di un soggetto estraneo alla compagine sociale (Cass. n. 7636 del 2017; Cass. n. 23782 del 2015).

– La CTR ha abdicato all’accertamento – anche in via presuntiva – istituzionalmente demandatole, adducendo che gli esercizi dal 1996 al 2002 nei quali “sono stati contabilizzati i versamenti dei soci e durante i quali sarebbe sorta la sopravvenienza attiva non dichiarata” non sarebbero “passibili di accertamento stante la presentazione della domanda di condono della L. n. 289 del 2002, ex art. 9”.

– In realtà, l’assunto è incongruo ed erroneo. Il condono è istituto che risponde al duplice obiettivo del recupero di risorse finanziarie e della riduzione del contenzioso, senza sottendere finalità accertative. Il condono non ha, nè può avere, effetti che vadano al di fuori del proprio campo specifico; giova, in realtà, soltanto a determinare valori virtuali su cui commisurare il pagamento delle imposte, ma non comporta nessun accertamento che possa dispiegare i propri effetti al di fuori di quest’ambito. In tal senso, esso serve semplicemente ad elidere in tutto o in parte il debito fiscale correlato ad una o più imposte, senza precludere l’accertamento delle altre (v. Cass. n. 716 del 2019), senza interdire la verifica di esse in relazione a distinte annate fiscali, senza impedire, infine, che i fatti gestionali e contabili occorsi negli anni investiti dalla definizione agevolata siano scandagliati in funzione del controllo fiscale di una distinta annata e apprezzati alla stregua di fatti storici per le ripercussioni e riverberi che su quest’ultima innescano.

– Del resto – come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte con sent. n. 16692 del 17 luglio 2017 – la L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 9, primo periodo, là dove stabilisce la definitività della liquidazione delle imposte risultanti dalla dichiarazione riguarda l’imposta lorda, di modo che, quel che si rende definitivo, nel caso del condono, è solo l’imponibile (sui cui meccanismi la legislazione condonistica incide), in base al quale l’imposta lorda si quantifica, giustappunto perchè il condono dell’imponibile, esclude qualsivoglia accertamento.

– Come chiarito nel menzionato arret, la sanatoria derivante dal condono è “effetto di legge dell’adesione oblativa, senza che il fisco possa esercitare alcun potere decisorio in quanto il condono opera secondo meccanismi di diritto pubblico diversi dalla modificazione negoziata per via di novazione, transazione o conciliazione” (nel medesimo senso v. Cass., sez. un., n. 1518 del 2016), il che postula la preclusione di ogni accertamento tributario nei confronti del dichiarante derivante dal perfezionamento del procedimento di condono concernente il solo specifico debito tributario.

– Nè può dirsi che il condono giovi ad abbuonare eventuali irregolarità pregresse, a sanare i maquillage di bilancio o a rendere vere le rappresentazioni contabili false sin dal momento della loro iscrizione nel bilancio stesso.

– Le risultanze di quest’ultimo, al pari delle dichiarazioni reddituali e delle evidenze contabili in genere, restano dati documentali che, al pari di qualsiasi altro elemento, sono attingibili ai fini degli accertamenti relativi ad altri anni di imposta. Segnatamente, in tema di condono fiscale, il perfezionamento della procedura di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 10, comporta la preclusione nei confronti del contribuente di ogni accertamento tributario per il periodo d’imposta per cui è intervenuta la definizione automatica, ma non esclude la rilevanza della dichiarazione IVA relativa al medesimo periodo per i controlli, da parte dell’Amministrazione finanziaria, che non investano il medesimo anno d’imposta interessato dal condono, senza che a ciò osti il disposto di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 9, che ha ad oggetto non la dichiarazione annuale IVA ma la dichiarazione integrativa da presentare ai fini della definizione automatica (v. Cass. n. 20080 del 2014).

– La CTR non ha fatto buon governo dei riassunti principi e delle richiamate disposizioni legislative, per un verso adombrando essa stessa la “fittizietà” della posta passiva correlata al finanziamento dei soci, la sussistenza di “ricavi non dichiarati” e la sopravvenienza attiva; per altro verso, contraddittoriamente escludendo l’imputabilità di quest’ultima all’anno in cui indubitabilmente acquisiva certezza in virtù dell’emersione a bilancio; per altro verso ancora postulando che il condono “tombale” L. n. 289 del 2002, ex art. 9, valesse a fissare i debiti fiscali relativi agli anni incisi e alle imposte correlate, ma addirittura a rendere intangibili le vicende societarie e quelle relative alle persone dei singoli soci occorse negli anni dal 1996 al 2002, sottraendole al Fisco finanche come “fatti storici” suscettibili di verifica in funzione dell’accertamento delle imposte dovute in un diverso e non coperto anno fiscale.

– Il primo motivo di ricorso va in ultima analisi accolto, con assorbimento del secondo.

– La sentenza d’appello va cassata, con rinvio per un nuovo esame e per la regolazione delle spese di lite, ivi comprese quelle di legittimità, alla CTR competente in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata; rinvia per un nuovo esame e per la regolazione delle spese di lite, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità, alla CTR della Puglia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Suprema Corte di Cassazione, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2020

 

 

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