Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25261 del 09/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 09/10/2019, (ud. 04/07/2019, dep. 09/10/2019), n.25261

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Lina Maria Teresa – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27556-2014 proposto da:

B. & COMPANY SRL, in persona dell’amministratore e legale

rappresentante pro tempore, B.G.F., elettivamente

domiciliati in ROMA PIAZZA DEL FANTE 2, presso lo studio

dell’avvocato GIOVANNI PALMERI, che li rappresenta e difende, giusta

procura in calce;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE REGIONALE DELLA SICILIA, in persona

del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 159/2013 della COMM.TRIB.REG. di PALERMO,

depositata il 08/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/07/2019 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per i ricorrenti l’Avvocato PALMERI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

In data 10.1.2006 B.G.F. e J.U.M. vendevano alla B. & Company s.r.l. varie porzioni di immobili, tra cui una parte di un fabbricato urbano, il cui valore, ai fini dell’imposta di registro, veniva rettificato dall’Ufficio, con avviso di rettifica e liquidazione notificato in data 27.12.2007, elevandolo da Euro 80.000,00 ad Euro 2.061.231,00, liquidando le somme dovute in solido dalle parti contraenti, ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale, in complessivi Euro 404.418,56. L’atto veniva impugnato dai contribuenti innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Trapani che, con sentenza n. 111/4/11, accoglieva parzialmente il ricorso, riducendo il valore dell’immobile ad Euro 900.000,00. Avverso la pronuncia veniva proposto appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia che, con sentenza n. 159/35/13, quantificava il valore dell’immobile in Euro 1000,000,00 ai fini della determinazione delle imposte, sulla base delle conclusioni rese da una consulenza tecnica d’ufficio. B.F.G. e B. & Company S.r.l. propongono ricorso per cassazione, svolgendo due motivi. L’Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, atteso che la Commissione Tributaria Regionale avrebbe disposto una consulenza tecnica d’ufficio, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7.

I ricorrenti lamentano che la consulenza tecnica disposta dal giudice tributario sarebbe un atto ridondante, contrario al disposto di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 2, non essendo servita a dirimere questioni di particolare complessità, posto che il primo giudice, sulla base di un iter logico argomentativo autonomo, aveva stabilito un valore quasi identico, oltre al fatto che il giudice di appello avrebbe dovuto dare indicazione dei motivi specifici che lo avevano determinato ad affidare ad un ausiliario la valutazione dell’immobile.

2. Il motivo è infondato.

Va premesso che i ricorrenti non lamentano un vizio motivazionale della sentenza impugnata, nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma un vizio di applicazione normativa concernente le regole ed i limiti di ammissione della consulenza tecnica d’ufficio. A tale fine, essi sostengono che la consulenza tecnica sarebbe ridondante, e non necessaria, e che il giudice di appello avrebbe dovuto giustificare le ragioni per le quali sarebbe stato determinato all’espletamento di tale mezzo istruttorio.

Le doglianze non possono trovare ingresso. La consulenza tecnica d’ufficio non è un mezzo istruttorio in senso proprio, bensì un mezzo ausiliario ed integrativo di conoscenza e valutazione del giudice di merito. In quanto tale, spetta a quest’ultimo stabilire se – con riguardo all’emersione in corso di causa di particolari profili extragiuridici di natura tecnica o scientifica – essa sia necessaria ovvero opportuna al fine del decidere. Questa Corte ha precisato che: “il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7 attribuisce al giudice tributario il potere di disporre l’acquisizione d’ufficio di mezzi di prova non per sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori, ma soltanto in funzione integrativa degli elementi di giudizio, il cui esercizio è consentito ove sussista una situazione obiettiva di incertezza, e laddove la parte non possa provvedere per essere i documenti nella disponibilità della controparte o di terzi” (Cass. n. 955 del 2016). Il giudice di appello, in ragione delle contrastanti posizioni difensive delle parti, ha ritenuto, nell’esercizio del suo potere discrezionale, e sulla base della valutazione di fatti già dimostrati nel corso del giudizio, di disporre una consulenza tecnica al fine di trarre elementi chiarificatori ai fini della decisione.

Non essendo un mezzo istruttorio in senso proprio, spetta al giudice del merito stabilire se la consulenza tecnica d’ufficio sia necessaria od opportuna, fermo restando l’onere probatorio delle parti, e la relativa valutazione, nella specie, si è comunque risolta nell’accertamento di fatti rilevabili unicamente con l’ausilio di specifiche cognizioni o strumentazioni tecniche (Cass. n. 2663 del 2013; Cass. n. 24903 del 2013).

Emerge dunque chiaro come la Commissione Tributaria Regionale, disponendo la consulenza tecnica d’ufficio abbia fatto, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, buon governo delle norme processuali e sostanziali di cui si assume la violazione.

2. Con il secondo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata denunciando omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la sentenza omesso di pronunciarsi in ordine all’allegazione documentale prodotta da parte ricorrente nel giudizio di primo grado. I ricorrenti lamentano che la Commissione Tributaria Regionale avrebbe disatteso il motivo di appello riguardante la documentazione probatoria che la parte aveva allegato al nn. 4, 5, 6 del proprio fascicolo di parte, pronunciandosi sulla prospettazione resa dalle parti nel processo, omettendo di considerare la documentazione avente validità probatoria proprio in relazione a quegli stessi fatti oggetto di decisione.

2.1. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità. La censura come proposta non consente il vaglio di legittimità, in quanto non indica quali documenti e soprattutto quale sia il contenuto degli stessi, di cui i giudici di appello avrebbero pretermesso l’esame, nè specifica sotto quale profilo tali documenti avrebbero costituito un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti; dovendosi, altresì, rilevare che si omette di riportare in ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza, il contenuto del motivo di appello di cui si assume essere stato omesso l’esame.

Giova ricordare che questa Corte, con sentenza S.U. n. 8053 del 2014, ha precisato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 14324 del 2015).

3. In definitiva, il ricorso va rigettato e le parti soccombenti vanno condannate alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte soccombente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2019

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