Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25260 del 10/11/2020

Cassazione civile sez. trib., 10/11/2020, (ud. 12/02/2020, dep. 10/11/2020), n.25260

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. LEUZZI S. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23368/2013 R.G. proposto da:

Master s.p.a., in liquidazione in concordato preventivo, in persona

del liquidatore p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Francesco

d’Ayala Valva e dall’Avv. Paolo Centore, elettivamente domiciliata

presso lo studio del primo, in Roma, viale Parioli, n. 43;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, in persona del Direttore p.t., con domicilio

eletto presso gli uffici della predetta Avvocatura, in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Toscana sez. staccata di Livorno n. 11/10/13 depositata il 28

febbraio 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 febbraio

2020 dal Cons. Salvatore Leuzzi.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

– L’Agenzia delle entrate di Livorno notificava alla società in epigrafe, esercente l’attività di fabbricazione e vendita di apparecchi elettrici e per telecomunicazioni, l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), con cui riprendeva a tassazione, con riferimento all’anno 2003, i maggiori importi dovuti a titolo di Irpeg, IVA e Irap, applicando le correlate sanzioni. L’avviso – che traeva origine da un p.v.c. del (OMISSIS), redatto dalla polizia tributaria di (OMISSIS) contestava alla contribuente di aver simulato vendite all’estero di beni nei confronti di tale Cosmotel, che era risultata essere una mera cartiera. I pagamenti della merce apparentemente venduta in favore dell’anzidetto soggetto intracomunitario pervenivano, infatti, da Trade & Trade di S.F. e dalla ditta M.F.. Con il medesimo atto impositivo veniva recuperata a tassazione l’omessa fatturazione di una cessione di cellulari nei confronti della società Navigo s.p.a.

– La CTP di Livorno accoglieva parzialmente il ricorso proposto dalla contribuente, riconoscendo la legittimità della sola ripresa di una fattura, contrassegnata n. (OMISSIS) e datata (OMISSIS), pagata dal summenzionato M.F..

– Il successivo appello erariale veniva accolto dalla CTR della Toscana, che riconosceva la piena legittimità delle riprese fiscali connesse all’atto impositivo di cui sopra.

– La Master s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione articolato su quattro motivi e depositato, altresì, successiva memoria.

L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo di ricorso viene denunciata l’insufficiente e illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1, e dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo la CTR, per un verso, trascurato che la Master non era consapevole dell’esistenza del meccanismo fraudolento; per altro verso, insufficientemente valutato il contenuto di documenti che l’avrebbero a ritenere comprovata l’estraneità della contribuente al disegno fraudolento.

– Con il secondo motivo di ricorso la contribuente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1, la violazione o falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 41, Dir. n. 77/388/CE, art. 28-quater, parte A, lett. a), (ora Dir. n. 2006/112/CE, art. 138), nonchè dell’art. 2697 c.c., per avere la CTR erroneamente escluso che la Master non avesse dato prova del requisito dell’effettiva movimentazione della merce, richiesto per la configurabilità della cessione intracomunitaria.

– Con il terzo motivo di ricorso la contribuente censura, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1, e dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, per avere i giudici d’appello trascurato l’insussistenza dell’elemento soggettivo per l’irrogazione delle sanzioni, essendo la Master immune da colpa o dolo nel caso di specie.

– Con il quarto motivo di ricorso la contribuente denuncia, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1, e dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, art. 36, comma 2, n. 4, art. 61, art. 112 c.p.c., e art. 132 c.p.c., comma 2, art. 111 Cost., comma 6, per avere la CTR trascurato di pronunciarsi sulla eccepita illegittimità dell’atto di accertamento a cagione dell’attivazione solo formale – e non effettiva – del contraddittorio, da parte dell’Ufficio, in fase di adesione.

– I primi due motivi di ricorso, esaminabili congiuntamente, sono infondati.

– L’esenzione dall’IVA della cessione intracomunitaria di un bene diviene applicabile solo quando sono soddisfatte tre condizioni, vale a dire allorchè, in primo luogo, il potere di disporre di tale bene come proprietario è stato trasmesso all’acquirente, in secondo luogo, il fornitore prova che tale bene è stato spedito o trasportato in un altro Stato membro e, in terzo luogo, in seguito a tale spedizione o trasporto il medesimo bene ha lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione (v. Corte Giust., 9 ottobre 2014, Traum; Corte Giust., 6 settembre 2012, Mecsek-Gabona; Corte Giust, 27 settembre 2007, Teleos);

– E’ stato evidenziato che, con riferimento a quelle ipotesi in cui l’acquirente benefici del potere di disporre del bene di cui trattasi come proprietario nello Stato membro di cessione e provveda al trasporto di detto bene verso lo Stato membro di destinazione, la prova che il venditore può produrre alle autorità tributarie dipende fondamentalmente dagli elementi che egli riceve a tal fine dall’acquirente, per cui laddove l’obbligo contrattuale di spedire o trasportare il bene interessato fuori dallo Stato membro di cessione non sia stato assolto dall’acquirente, è quest’ultimo che dovrebbe essere considerato debitore dell’IVA in tale Stato membro (v. in tema Corte Giust, 16 dicembre 2010, Euuro Tyre Holding).

– Tuttavia, il riconoscimento, in questi casi, del diritto all’esenzione dell’imposta richiede, in ragione dell’interesse che presidia la lotta contro eventuali evasioni, elusioni e abusi, la dimostrazione del fatto che l’operatore abbia agito in buona fede, nel senso dell’adozione da parte sua di tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo coinvolga in un’evasione tributaria (v. Corte Giust. 6 settembre 2012, Mescek-Gabona cit.; Corte Giust. 21 febbraio 2010, Kreuzmayr).

– Nel solco della giurisprudenza unionale, la Corte nomofilattica ha ancora di recente evidenziato che “in tema di cessioni intracomunitarie, il cedente ha l’onere di dimostrare l’effettività dell’esportazione della merce nel territorio dello stato nel quale risiede il cessionario o, in mancanza, di fornire adeguata prova della propria buona fede, ossia di aver adottato tutte le misure che si possono ragionevolmente richiedere, per non essere coinvolto in un’evasione fiscale avendo riguardo alle circostanze del caso concreto” (Cass. n. 4045 del 2019; v. anche Cass. 22333 del 2018).

– La buona fede del contribuente, che conduce alla tutela del suo legittimo affidamento in ordine alla estraneità dell’operazione ad una frode fiscale, presuppone l’impiego della diligenza massima esigibile da un operatore accorto, valutata secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto.

– La sentenza impugnata ha negato la sussistenza del diritto all’esenzione dall’imposta, rilevando che la contribuente non abbia tenuto un comportamento improntato a diligenza, assumendo una condotta contraddittoria. Essa infatti “si era originariamente rifiutata di ricevere il pagamento da parte di soggetti terzi”, in tal senso adeguandosi al “consiglio dei propri consulenti tributarie tenendo in debita considerazione le “risultanze emerse dal rapporto dell’istituto Lince datato (OMISSIS) (doc. 9)”; superando le iniziali riserve, “senza alcuna giustificazione – neppure in sede processuale – la Contribuente si è successivamente resa disponibile a ricevere tale tipo di pagamento”; la contribuente ha percepito le somme “nonostante che dal dossier elaborato dall’istituto Lince fossero emersi numerosi aspetti di criticità rispetto ad un eventuale rapporto commerciale con la Cosmotel s.a.”; è emerso pure che detta società estera “non aveva rapporti contrattuali con gli istituti di credito aventi sede nella nazione nella quale operava”; inoltre, il menzionato ente “aveva eletto la propria sede presso un’agenzia locale di domiciliazioni commerciali”; ancora, la Cosmotel non disponeva di “magazzini per il deposito delle merci”, quindi si palesava priva di una struttura aziendale predisposta per l’esercizio delle attività connesse all’impiego delle merci in apparenza acquistate e fatturate; ancora, “la contribuente era già stata coinvolta in procedimenti penali aventi ad oggetto le c.d. “frodi carosello””, il che avrebbe dovuto indurla “a prestare una maggiore cautela proprio perchè conosceva le dinamiche di svolgimento di tali attività contrarie alla legge”; infine “nessuna giustificazione è stata fornita nel corso del giudizio di primo grado sulle motivazioni che hanno indotto la contribuente, dopo un iniziale rifiuto nonostante che, dagli elementi in possesso della Master s.p.a., la società estera non possedesse i requisiti tali da rendere sicura, sotto l’aspetto fiscale, l’operazione commerciale”.

– In buona sostanza, la CTR evidenzia puntualmente un coacervo di circostanze che avrebbero dovuto indurre la contribuente ad assicurarsi della posizione del cliente, sul cui “curriculum operativo” e sulla cui correttezza d’approccio essa nutriva dubbi ab origine.

– Nel dar conto minuziosamente degli elementi su riportati, il giudice di appello risulta aver fatto corretta applicazione dei richiamati principi di diritto, giungendo alla conclusione del diniego dell’esenzione dell’IVA dopo aver accertato che il contribuente non aveva utilizzato la massima diligenza esigibile, al fine di evitare di essere coinvolto nell’evasione.

– La CTR ha valorizzato le concrete modalità di svolgimento dei rapporti negoziali – l’adempimento del terzo (art. 1180 c.c.), dei corrispettivi d’acquisto, il difetto di prova del trasporto della merce all’estero – ed evidenziato che la contribuente avrebbe dovuto rendersi conto del mancato rispetto delle condizioni cui l’esenzione dall’imposta è subordinata, proprio per la presenza di elementi idonei a far venir meno l’incolpevolezza del suo affidamento in ordine al rispetto delle stesse.

– Pertanto, per le suesposte considerazioni, i primi due motivi di ricorso vanno disattesi.

– Anche il terzo motivo è infondato.

– Suo tramite si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, per non avere il secondo giudice valutato l’insussistenza dell’elemento psicologico necessario ai fini dell’applicabilità delle sanzioni.

– I principi in tema di ripartizione dell’onere probatorio in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo in tema di sanzioni amministrative sono stati chiariti dalle Sezioni Unite della Cassazione, che ha statuito, in tema di sanzioni amministrative, delle quali le sanzioni tributarie costituiscono un sottoinsieme, che una volta integrata e provata dall’autorità amministrativa la fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dalla L. n. 689 del 1981, art. 3, l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza (Cass., sez. un., n. 20930 del 2009);

– La giurisprudenza di questa Corte ha anche chiarito che la sufficienza al fine d’integrare l’elemento soggettivo della violazione, della semplice colpa L. n. 689 del 1981, ex art. 3, comporta che, al fine di escludere la responsabilità dell’autore dell’infrazione, non basta uno stato di ignoranza circa la sussistenza dei relativi presupposti, ma occorre che tale ignoranza sia incolpevole, cioè non superabile dall’interessato con l’uso dell’ordinaria diligenza (Cass. n. 720 del 2018).

– Conseguentemente, in applicazione di tal principio, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, ai fini dell’affermazione di responsabilità del contribuente, ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, occorre quindi, complessivamente e conclusivamente, da un lato che l’azione od omissione causativa della violazione sia volontaria, ossia compiuta con coscienza e volontà, e secondariamente colpevole, ossia compiuta con dolo o negligenza (v. Cass. n. 13068 del 2011).

– La norma appena richiamata, estendendo alle sanzioni tributarie il medesimo il principio generale sancito dalla L. n. 689 del 1981, art. 3, stabilisce che non è sufficiente la mera volontarietà del comportamento sanzionato, essendo richiesta anche la consapevolezza del contribuente, al quale deve potersi imputare un comportamento quanto meno negligente, ancorchè non necessariamente doloso. Occorre, pertanto, ai fini dell’assoggettamento a sanzione tributaria, una condotta cosciente e volontaria, senza che rilevi la concreta dimostrazione del dolo o della colpa (o tantomeno di un intento fraudolento), atteso che la norma pone una presunzione di colpa per l’atto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, gravandolo dell’onere di provare il contrario (così Cass. n. 12901 del 2019; Cass. n. 14042 del 2012; Cass. n. 13068 del 2011; Cass. n. 22890 del 2006; sulla non necessità di un intento fraudolento cfr. anche Cass. n. 4171 del 2009 e Cass. n. 22329 del 2018).

– Nel presente caso, la CTR ha in realtà adeguatamente motivato in ordine alle circostanze di fatto che l’hanno indotta alla decisione gravata, evidenziando che la Master s.p.a., da un lato, teneva un comportamento volontario, incamerando i corrispettivi da soggetti terzi nel contesto di operazioni “triangolari” nei quali figurava un acquirente infracomunitario interposto privo di struttura; dall’altro lato, non improntava detto comportamento ad una “adeguata diligenza”. Essa infatti prima si rifiutava di ricevere il pagamento da terzi; inopinatamente in seguito lo riceveva; contravveniva al consiglio dei propri consulenti tributari; sorvolava sul rapporto dell’istituto Lince datato (OMISSIS); trascurava che la società estera non aveva rapporti con istituti di credito aventi sede nella nazione in cui risultava avere la sede legale; obliterava la circostanza che detta sede era ubicata presso un’agenzia di domiciliazioni commerciali; non considerava la sintomatica circostanza della indisponibilità in capo al cessionario apparente di un deposito merci; in sintesi – come evidenziato in sentenza – assumeva la decisione di contrattare con la Cosmotel “nonostante… fossero numerose le anomalie che caratterizzavano la società estera”.

– Il quarto motivo è inammissibile.

– L’istante non indica in cosa si sia compendiata l’asserita violazione del contraddittorio, nè – specularmente – in cosa consista in astratto la diversa condotta procedimentale cui l’Ufficio avrebbe dovuto attenersi.

– Ciò impedisce al collegio di apprezzare la decisività della censura (v. Cass. n. 9300 del 2019; Cass. n. 25601 del 2019).

– Va rammentato che l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo presuppone comunque l’ammissibilità del motivo (v. Cass. n. 11738 del 2016), il che implica che la parte nel rispetto del principio di autosufficienza, riporti, nel ricorso stesso gli elementi ed in riferimenti atti ad individuare nei suoi esatti termini e non genericamente, il vizio processuale, così da consentire alla corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il corretto svolgersi dell’iter processuale (Cass. n. 19410 del 2015).

– L’articolazione sommaria della censura la fa impingere nella mancanza del requisito dell’autosufficienza, travolgendola d’inammissibilità.

– Il ricorso va in ultima analisi rigettato.

– Le spese seguono la soccombenza, nella misura indicata in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.250,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Suprema Corte di Cassazione, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2020

 

 

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