Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25259 del 08/11/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 25259 Anno 2013
Presidente: TRIOLA ROBERTO MICHELE
Relatore: CARRATO ALDO

SENTENZA

sull’ improcedibilità
del’appello

sul ricorso iscritto al N.R.G. 23492/2011 proposto da:
UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI REGGIO CALABRIA (C.F.:80009220809),
in persona del Prefetto pro-tempore, rappresentato e difeso “ex lege” dall’Avvocatura
generale dello Stato e domiciliato presso i suoi uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– ricorrente —

contro
– intimato –

MARRAPODI GIOVANNI;

per la cassazione della sentenza n. 1582 del 2010 del Tribunale di Reggio Calabria,
depositata il 22 novembre 2010 (e non notificata).
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24 ottobre 2013 dal

Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

Aurelio Golia, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
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2.,g (113

Data pubblicazione: 08/11/2013

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 589 del 2006 il Giudice di pace di Bianco accoglieva l’opposizione
avverso l’ordinanza-ingiunzione n. 41300W06 emessa (in relazione alla violazione di cui
all’art. 148, commi 10 e 16, c.d.s. 1992) dal Prefetto di Reggio Calabria nei confronti di
Marrapodi Giovanni, con condanna dello stesso Prefetto alla rifusione delle spese

Sull’appello proposto dal suddetto Prefetto avverso la suddetta sentenza e nella
costituzione delle appellate, il Tribunale di Reggio Calabria, in composizione monocratica,
con sentenza n. 1582 del 2010 (depositata il 22 novembre 2010 e non notificata),
dichiarava l’improcedibilità del gravame e compensava per intero tra le parti le spese del
grado. A sostegno deradottata decisione il giudice reggino rilevava che l’appello si
sarebbe dovuto considerare improcedibile poiché la costituzione in giudizio della
Prefettura di Reggio Calabria, per mezzo dell’Avvocatura erariale, era avvenuta con il
deposito di una copia dell’atto di citazione in appello priva di qualunque indicazione in
ordine alla (già intervenuta o solo richiesta) notificazione alla controparte, provvedendo
solo successivamente, all’udienza di precisazione delle conclusioni, al deposito
dell’originale dell’atto di appello notificato.
Avverso la menzionata sentenza di appello (non notificata) ha proposto ricorso per
cassazione (notificato il 26 settembre 2011 e depositato il 17 ottobre 2011) l’Ufficio
territoriale del Governo di Reggio Calabria, basato su un unico motivo.
L’intimato non ha svolto attività difensiva in questa fase di legittimità.
Avviato il procedimento per la possibile definizione in sede camerale ai sensi dell’art. 380
bis c.p.c., il designato collegio, con ordinanza interlocutoria depositata il 17 maggio 2013,
deliberava di rimettere la trattazione del ricorso in pubblica udienza, non rilevandosi la
sussistenza delle condizioni di evidenza decisoria, con riferimento all’ipotesi prevista
dall’art. 375 n. 5) c.p.c. .
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giudiziali.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il dedotto motivo il ricorrente Ufficio territoriale del Governo di Reggio Calabria ha
denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 348, 347, 165 e 156 c.p.c., sul
presupposto che, nella fattispecie, il Tribunale di Reggio Calabria avrebbe dovuto ritenere
la validità della costituzione di esso ricorrente, nella qualità di appellante, siccome

tal proposito la difesa erariale sostiene che la costituzione dell’appellante attraverso il
deposito della cosiddetta velina dell’atto di impugnazione, seguito dal successivo deposito
del conforme originale notificato, si deve considerare perfettamente idonea al
raggiungimento dello scopo, non solo perché non determina alcuna lesione del diritto alla
difesa della controparte, ma anche perché non preclude al giudice la possibilità di
riscontrare la corretta instaurazione del giudizio, essendo da escludere che tale riscontro
debba avvenire antecedentemente alla prima udienza, come, invece, erroneamente
ritenuto dal giudice di appello nella fattispecie. In altri termini, la costituzione
dell’appellante mediante deposito di copia, anziché dell’originale recante la relata di
notificazione, dell’atto di impugnazione non avrebbe potuto determinare l’improcedibilità
dell’appello, integrando una mera irregolarità suscettibile di sanatoria mediante il deposito
dell’originale entro la prima udienza di trattazione, che si identifica con il momento in cui il
giudice è chiamato a compiere la verifica della regolare costituzione in giudizio. La difesa
erariale ha, inoltre, prospettato che l’applicazione degli esposti principi al caso di specie
rende evidente l’inammissibilità della riconducibilità dell’ipotesi di costituzione mediante la
c.d. velina alla diversa fattispecie di omessa tempestiva costituzione, che sola varrebbe a
giustificare la pronuncia di improcedibilità. Ed invero ad una siffatta declaratoria si
potrebbe pervenire — nell’ottica delineata dal Ministero ricorrente — solo in caso di
accertata difformità tra la copia depositata al momento dell’iscrizione a ruolo e l’originale
notificato dell’atto di impugnazione, depositato soltanto successivamente, ma ove non sia
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effettuata mediante il deposito della sola copia, anziché dell’originale, dell’atto di appello. A

in discussione — come nella fattispecie — la conformità tra i due atti, si dovrebbe ritenere
che il deposito della velina in luogo dell’originale una mera irregolarità, non integrando tale
deviazione dal modello legale una costituzione priva dei requisiti necessari al
raggiungimento dello scopo dell’atto e non comportando essa alcuna violazione dei diritti
difensivi della parte appellata.

complessive ragioni che seguono.
Si osserva che il Tribunale reggino, nel dichiarare l’improcedibilità dell’appello con
sentenza impugnata, si è conformato ad uno specifico orientamento emerso nella
giurisprudenza di questa Corte, espressosi soprattutto nelle sentenze n. 18009 del 2008 e
n. 10 del 2010.
Secondo queste due pronunce, infatti, il deposito dell’atto di citazione in appello privo della
notifica alla controparte, all’atto della costituzione nel giudizio di secondo grado,
determinerebbe l’improcedibilità del gravame ex art. 348 c.p.c., essendo privo di effetti
sananti l’eventuale deposito tardivo dell’atto notificato in prima udienza, oltre il termine
perentorio stabilito dalla legge. Per come ampiamente motivato nella sentenza oggetto del
ricorso (nella quale è stato ripercorso l’intero iter logico-sistematico posto a fondamento
della citata sentenza n. 18009 del 2008), la costituzione in giudizio dell’appellante con il
deposito di un atto non notificato (ovvero non recante la prova documentale allegata della
richiesta od eseguita notificazione) sarebbe sprovvista del necessario requisito per il
raggiungimento dello scopo cui è destinato il controllo di procedibilità che la legge
conferisce al giudice dell’impugnazione, con la conseguenza che, sulla scorta di una
lettura sistematica e coordinata degli artt. 347 e 348 c.p.c., dovrebbe sostenersi che
andrebbe dichiarato improcedibile l’atto di appello allorquando l’appellante non depositi,
nel termine stabilito per la sua costituzione (in relazione al richiamato art. 165 c.p.c.), l’atto
di impugnazione notificato ad almeno una delle controparti.
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2. Rileva il collegio che il formulato motivo è fondato e deve, perciò, essere accolto per le

Ed era proprio questa la situazione processuale che si era venuta a verificare nel caso di
specie, laddove il Prefetto appellante, al momento della sua costituzione nel termine di
legge, aveva depositato semplicemente una copia (“velina”) dell’atto di citazione in
appello, la quale, tuttavia, era priva di qualsiasi indicazione in ordine alla richiesta od
avvenuta notificazione alla controparte, mentre solo in corso di causa (ossia alla udienza

(ovvero munito del riscontro documentale dell’intervenuta notificazione).
Secondo l’indirizzo giurisprudenziale al quale ha aderito il Tribunale reggino, la sanzione
della improcedibilità starebbe ad esprimere una valutazione legale in ordine alla necessità
di un adempimento – la costituzione in giudizio entro il termine – che il giudice è chiamato
ad accertare d’ufficio al fine poter dare seguito e sviluppo al procedimento. D’altra parte, la
perentorietà del termine di costituzione in appello e la sua rilevabilità d’ufficio in caso di
inosservanza comporterebbero l’impossibilità di sanare ovvero di considerare mere
irregolarità, suscettibili tali di successiva regolarizzazione, imperfezioni e mancanze della
costituzione in giudizio dell’appellante tali da impedire l’accertamento della validità ed
efficacia dello stesso atto di impugnazione.
Sulla scorta di tali argomentazioni il giudice di secondo grado che la prospettazione
dell’inapplicabilità della sanzione dell’improcedibilità e della configurabilità di una mera
irregolarità nella predetta situazione processuale relativa all’attività di costituzione in
appello del Prefetto di Reggio Calabria non potevano considerarsi degne di rilievo perché
la possibile regolarizzazione avrebbe, comunque, presupposto che la costituzione, pur
potendo avvenire con il deposito di una mera copia dell’atto di appello, sarebbe dovuta, in
ogni caso, intervenire nel termine di cui all’art. 165 c.p.c. con l’allegazione della idonea
indicazione e del relativo riscontro documentale in ordine all’effettuata rituale richiesta od
avvenuta esecuzione della notificazione.

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di precisazione delle conclusioni) aveva depositato l’originale dell’atto di appello notificato

Rileva il collegio che il complessivo impianto argomentativo che sorregge la sentenza
impugnata non è condivisibile.
La questione sottoposta al vaglio di questo Collegio è la seguente: dica la Corte se violi gli
artt. 348, 347,

165 e 156 c.p.c., la sentenza del Tribunale che abbia dichiarato

improcedibile l’appello ritualmente notificato e iscritto a ruolo a mezzo di c.d. “velina”,

all’atto della costituzione nel giudizio di secondo grado, determina l’improcedibilità del
gravame ex art. 348 c.p.c., considerato che l’accertamento dell’avvenuto deposito, al
momento della costituzione in giudizio dell’appellante, di una copia (o velina) dell’atto di
appello in sostituzione dell’originale contenente la relata dell’avvenuta notifica, non
comporta la sanzione dell’improcedibilità dell’appello.
Diversamente dalla posizione assunta dal Tribunale di Reggio Calabria, occorre
evidenziare che la prevalente giurisprudenza di questa Corte è schierata nel senso che
l’accertamento dell’avvenuto deposito, al momento della costituzione in giudizio
dell’appellante, di una copia (o velina) dell’atto di appello in luogo dell’originale contenente
la relata dell’avvenuta notificazione dello stesso atto, non comporta la sanzione
dell’improcedibilità del gravame (cfr. Cass. 9 dicembre 2004, n. 23027; Cass. 24 agosto
2007, n. 17958; Cass. 29 luglio 2009, n. 17666, ord.; Cass. 17 novembre 2010, n. 23192;
Cass. 8 maggio 2012, n. 6912; Cass. 23 novembre 2012, n. 20789, ord., e, da ultimo,
Cass. 21 giugno 2013, n. 15715).
Questo condivisibile orientamento è, infatti, saldamente basato sull’indiscusso principio di
tassatività della cause di improcedibilità (tra le quali, per l’appunto, non è previsto — all’atto
dell’iscrizione a ruolo della causa da parte dell’appellante – il deposito dell’originale
dell’atto di appello notificato), sulla esclusività del richiamo, in detta norma, ai soli termini
di costituzione dell’appellante (da intendersi riferiti a quelli contemplati dall’art. 165 c.p.c.,
per il giudizio di primo grado, in virtù del rimando trasparente nel primo comma dell’art.
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rilevando che il deposito dell’atto di citazione in appello privo della notifica alla controparte,

347 c.p.c.) e non anche alle forme, sulla insussistenza della configurazione di un
pregiudizio del diritto di difesa e dell’instaurazione del contraddittorio per effetto
dell’avvenuta notificazione. Del resto, è risaputo che la possibilità di provvedere alla
costituzione in giudizio da parte dell’attore (e, corrispondentemente, da parte
dell’appellante in secondo grado) ed alla contestuale iscrizione a ruolo della causa prima

che deve ritenersi acquisito alla luce della lettura (costituzionalmente orientata) operata
dal Giudice delle leggi (cfr. sentenza 2 aprile 2004, n. 107, ed ordinanza 12 aprile 2005, n.
154, ma già prima v., in senso analogo, l’ordinanza 23 giugno 2000, n. 239), secondo cui
tale ultimo adempimento si perfeziona per il notificante sin dalla consegna dell’atto
all’ufficiale giudiziario, sicché a partire da tale momento egli è legittimato a compiere tutte
le attività che presuppongono la notificazione, ferma restando la decorrenza del termine
ultimo per la costituzione dalla consegna effettiva al destinatario. Ed anche le Sezioni unite
di questa Corte — con la sentenza 18 maggio 2011, n. 10864— hanno stabilito che la sola
mancata costituzione in termini dell’appellante determina automaticamente
l’improcedibilità dell’appello (a nulla rilevando che l’appellato si sia costituito nel termine
assegnatogli).
In modo ancor più incisivo è stato chiarito (cfr., in particolare, Cass. n. 23192 del 2010)
come il nuovo testo dell’art. 348 c.p.c. (nella versione introdotta dalla legge n. 353 del
1990 e succ., integr.) abbia apportato significative modifiche alla disciplina
dell’improcedibilità dell’appello, in quanto ha previsto quali ipotesi testualmente tassative
(sull’operatività del principio di tassatività in proposito cfr., anche di recente, Cass. n. 2171
del 2009 e Cass. n. 238 del 2010). Infatti, mentre nella disposizione prevista al primo
comma viene posto riferimento alla mancata tempestiva costituzione dell’appellante, nel
capoverso è disciplinata la mancata comparizione dello stesso, una volta costituitosi, alla
prima udienza ed in quella successiva; pertanto, in relazione al primo degli indicati profili,
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del perfezionamento della notificazione (mediante il deposito della c.d. “velina”) è un dato

risalta univocamente evincibile come, sul piano letterale della disposizione, la sanzione
immediata ed insanabile, anche quindi a prescindere dalla condotta processuale
dell’appellato, attiene alla sola mancata tempestiva costituzione dell’appellante che deve
aver luogo “in termini” non anche all’omessa osservanza delle “forme” previste per i
procedimenti davanti al tribunale, nonostante alle stesse, compreso dunque il deposito

Oltretutto, bisogna rilevare che, sebbene l’art. 165 c.p.c. imponga all’attore di costituirsi,
entro dieci giorni dalla notificazione della citazione, depositando in cancelleria la nota
d’iscrizione a ruolo ed il proprio fascicolo contenerne l’originale della citazione, la procura
ed i documenti offerti in comunicazione, tuttavia la giurisprudenza concorde di questa
Corte ha già avuto modo di evidenziare come la costituzione in giudizio dell’attore
avvenuta mediante deposito in cancelleria, oltre che della nota di iscrizione a ruolo, del
proprio fascicolo contenente una copia anziché l’originale dell’atto di citazione, depositato
in seguito dopo la scadenza del termine prescritto, non determina alcuna nullità della
costituzione stessa, ma integra, semmai, una semplice ipotesi di irregolarità rispetto alle
modalità stabilite dalla legge, non conseguendo a tale violazione — come già sottolineato alcuna lesione dei diritti della controparte e venendosi ad instaurare il contraddittorio con
la notifica della citazione (Cass. n. 15777 del 2004, cit.).
L’estensione applicativa al giudizio d’appello di tali condivisibili principi comporta
l’inammissibilità della riconducibilità della fattispecie in esame — come dedotto
dall’Amministrazione ricorrente – all’ipotesi di mancata tempestiva costituzione, dal
momento che solo essa giustificherebbe, ai sensi dell’art. 348 c.p.c. (nel testo come
novellato dalla legge n. 353 del 1990), la declaratoria di improcedibilità del gravame.
Non appare, perciò, convincente la diversa soluzione adottata da questa Corte con la
sentenza n. 18009 del 2008 (alla quale si è fondamentalmente ispirata la sentenza
impugnata in questa sede), fonda su una sorta di “distinguo” tra art. 165 c.p.c., in relazione
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dell’originale della citazione, operi rinvio il precedente art. 347 c.p.c..

al quale accoglie la riferita giurisprudenza che esclude l’essenzialità in sede di costituzione
del deposito dell’originale notificato dell’atto di citazione, e l’art. 348 c.p.c., in ordine al
quale, di contro, ravvisandosi la sua ragione giustificatrice della comminatoria
dell’improcedibilità nell’esigenza di certezza dell’instaurazione del giudizio, viene asserita
tale essenzialità in funzione di un necessario controllo preventivo, da parte del giudice di

del correlato adempimento notificatorio nei confronti della controparte).
Tuttavia, questa impostazione non valorizza, innanzitutto, l’espressa limitazione del dettato
normativo del suddetto art. 348 c.p.c., che ricollega la procedibilità dell’appello alla sola
tempestività della costituzione (di per sé rivelatrice della effettiva volontà di impugnare), e
non alle modalità della costituzione stessa, ma, soprattutto, pone riferimento ad una
necessaria attività di controllo preventivo “inauditae partes” da parte del giudice a seguito
della sola costituzione, che — però — il diritto positivo non prevede (e che avrebbe dovuto
necessariamente contemplare per giungere alla conclusione predicata, alla stregua del
pacifico principio di tassatività che deve caratterizzare, nell’ambito processuale, i casi di
improcedibilità e, in genere, quelli che comportano decadenze processuali), nel qual caso
si sarebbe potuta giustificare anche un’immediata declaratoria d’improcedibilità, mentre
tale controllo — alla stregua dell’assetto normativo vigente – può aver legittimamente luogo
successivamente già alla prima udienza (ed, invero, l’art. 350, comma secondo, c.p.c.,
demanda a tale sede la verifica della regolare costituzione del giudizio, con la possibilità di
disporre anche la rinnovazione della notificazione dell’atto di appello: cfr., per questa
sottolineatura, Cass. n. 6912 del 2012, cit.) con la visione, da parte del giudice, della copia
notificata pur se tardivamente depositata.
Tutt’al più, come correttamente dedotto anche da parte dell’Amministrazione ricorrente,
alla declaratoria d’improcedibilità si potrebbe pervenire, all’esito del giudizio di appello,
soltanto ove fosse accertata una difformità tra la copia depositata (al momento di
9

appello, dell’effettiva proposizione dell’impugnazione (e, quindi, della prova dell’attivazione

iscrizione a ruolo) e l’originale dell’atto di impugnazione (successivamente depositato), ma
ove non sia in discussione — come nella controversia in questione – la conformità dei due
atti, si deve ravvisare nell’attività di deposito della copia in luogo dell’originale una mera
irregolarità, non integrando tale deviazione dal modello legale una costituzione priva dei
requisiti essenziali al raggiungimento dello scopo dell’atto e non comportando essa, di per

contraddittorio viene a radicarsi con la notifica della citazione.
Pertanto, in consonanza con il condivisibile orientamento assolutamente maggioritario
della giurisprudenza di questa Corte (avallato anche dall’interpretazione
costituzionalmente orientata fatta propria dalla giurisprudenza del Giudice delle leggi) e
con l’impianto normativo sistematicamente inquadrato che il codice di rito rivolge al
giudizio di appello (e, in particolare, alle forme e alla costituzione delle parti e alla fase
della trattazione, non disgiunte dalla valorizzazione, quale imprescindibile corollario, del
principio della tassatività dei casi di improcedibilità), deve enunciarsi (come già statuito
con la recente Cass. n. 6912 del 2012) il seguente principio di diritto: «l’improcedibilità
dell’appello è comminata dall’art. 348, primo comma, c.p.c. per l’inosservanza del
termine di costituzione dell’appellante, ma non anche per il mancato rispetto delle
forme di costituzione, sicché, essendo il regime dell’improcedibilità di stretta
interpretazione in quanto derogatorio al sistema generale della nullità, il vizio della
costituzione tempestiva ma inosservante delle forme di legge soggiace al regime
della nullità e, in particolare, al principio del raggiungimento dello scopo, per il
quale rilevano anche comportamenti successivi alla scadenza del termine di
costituzione; ne consegue che non può essere dichiarato improcedibile l’appello se
l’appellante, nel costituirsi entro il termine di cui agli artt. 165 e 347 c.p.c., ha
depositato, all’atto dell’iscrizione a ruolo, una c.d. “velina” dell’atto d’appello in
corso di notificazione – priva, quindi, della relata di notifica -, qualora egli abbia
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sé, alcuna violazione dei diritti difensivi dell’appellato nei confronti, del quale il

depositato, successivamente alla scadenza del termine medesimo, l’originale
dell’atto notificato, conforme alla “velina”».
3. In definitiva, il ricorso deve essere accolto, con il conseguente rinvio della causa al
Tribunale di Reggio Calabria (in composizione monocratica), in persona di altro magistrato
che, nel conformarsi al principio di diritto sopraenunciato, provvederà, ai sensi dell’art. 385

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del
presente giudizio, al Tribunale di Reggio Calabria, in composizione monocratica, in
persona di altro magistrato.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda Sezione civile della Corte
Suprema di Cassazione, in data 24 ottobre 2013.

c.p.c., anche sulle spese della presente fase del giudizio.

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