Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25254 del 29/11/2011

Cassazione civile sez. lav., 29/11/2011, (ud. 11/10/2011, dep. 29/11/2011), n.25254

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. STILE Paolo – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2805-2009 proposto da:

L.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PAOLO

ORLANDO 25 – OSTIA, presso lo studio dell’avvocato INFUSO CALOGERO,

rappresentata e difesa dall’avvocato CAMMALLERI GIUSEPPE, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato

in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello

Stato, che lo rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1217/2008 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 10/12/2008 R.G.N. 1607/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/10/2011 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Catania, con la sentenza n. 1217 del 10 dicembre 2008, pronunciando in sede di rinvio disposto da questa Corte, accoglieva l’appello proposto dal Ministero dell’interno avverso la sentenza n. 954/99 del Tribunale di Gela, così rigettando la domanda proposta da L.N. con ricorso depositato il 17 novembre 1997.

2. La L. aveva adito il giudice del lavoro chiedendo il riconoscimento, nei confronti del Ministero dell’interno e del Ministero del tesoro, del diritto all’assegno di invalidità civile previsto dalla L. n. 118 del 1971, art. 13.

Con sentenza del 21 marzo 2000 il Tribunale dichiarava che la ricorrente era in possesso del requisito sanitario dal 26 giugno 1999 e condannava il Ministero dell’interno a corrispondere l’assegno di invalidità civile a decorrere dal 1 luglio 1999.

3. La Corte d’Appello di Caltanissetta rigettava l’appello della difesa dello Stato e confermava la sentenza di primo grado.

4. Il Ministero proponeva ricorso per cassazione, prospettando quattro motivi di impugnazione.

I primi due erano relativi alla mancata integrazione del contraddittorio nei confronti del Ministero del tesoro; il terzo ed il quarto riguardavano la violazione della L. n. 118 del 1971, art. 13 nonchè insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia per avere, in particolare, la Corte ritenuto dimostrato sia il requisito socio sanitario che l’incollocazione al lavoro in forza di autocertificazione non dotata di idoneità probatoria.

5. La L. proponeva ricorso incidentale per la declaratoria di improcedibilità dell’appello per non avere il Ministero depositato copia integrale della sentenza impugnata ma solo del dispositivo.

6. Questa Corte, con la sentenza n. 7746 del 2005 rigettava il ricorso incidentale e i primi due motivi del ricorso principale, mentre accoglieva gli ulteriori motivi del ricorso principale e cassava la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Catania.

6.1. Statuiva questa Corte che il ricorso era fondato per quanto atteneva alla valutazione, operata dal giudice d’appello, gl’efficacia probatoria dell’autocertificazione, avendo questa Corte più volte affermato che la dichiarazione sostitutiva di certificazione sulla situazione reddituale prevista dalla L. 13 aprile 1977, n. 114, art. 24 e, successivamente, dal D.P.R. 20 ottobre 1998, n. 403, art. 1, comma primo, lett. b), poi sostituito dal D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, art. 46, comma 1, lett. o), è idonea a comprovare detta situazione, sino a contraria risultanza, nei rapporti con la pubblica amministrazione e nei relativi procedimenti amministrativi, ma nessun valore probatorio, neanche indiziario, può esserle riconosciuto nell’ambito del giudizio civile, caratterizzato dal principio dell’onere della prova, atteso che la parte non può derivare da proprie dichiarazioni elementi di prova a proprio favore, al fine del soddisfacimento dell’onere di cui all’art. 2697 c.c..

6.2. Ugualmente, doveva trovare ingresso la censura del Ministero secondo cui il giudice d’appello aveva errato nel valutare la sussistenza anche del requisito dell’incollocazione.

A tale riguardo questa Corte evidenziava di avere più volte affermato che ai fini dell’attribuzione dell’assegno mensile di invalidità la “incollocazione al lavoro” – che è uno degli elementi costitutivi del diritto alla prestazione – con riferimento agli invalidi ultracinquantacinquenni (ma infrasessantacinquenni) i quali non hanno diritto all’iscrizioni nelle liste speciali di collocamento obbligatorio, deve essere intesa come stato di effettiva disoccupazione o non occupazione, senza che sia necessaria alcuna iscrizione o domanda di iscrizione nelle liste di collocamento ordinario. La prova di questa condizione può essere fornita in giudizio anche facendo ricorso a presunzioni semplici.

6.3. Quindi, come si è accennato, “anche ai fini di ritenere se sussista o meno contestazione del requisito dell’autocertificazione, e quindi provato o meno il requisito socioeconomico (contestazione che – da valutarsi alla stregua del dictum di cui alla sentenza delle sezioni Unite di questa Corte 17 giugno 2004 n. 11353 – può configurarsi solo in presenza di dati fattuali esplicitati in modo esaustivo negli atti introduttivi del giudizio e che deve essere precisa e specifica, sicchè non è configurabile una non contestazione con gli effetti da essa scaturenti – a fronte di dati fattuali non allegati e precisati da controparte) ed essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto”, la causa veniva rimessa alla Corte d’appello di Catania, che avrebbe dovuto procedere ad un nuovo esame della controversia, facendo applicazione del principi enunciati, provvedendo anche sulle spese del giudizio di cassazione.

7. Per la cassazione della suddetta sentenza ricorre la L., prospettando sei motivi d’impugnazione.

8. Resiste con controricorso il Ministero dell’interno.

9. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione agli artt. 342, 346, 394 e 434 c.p.c..

Ad avviso della ricorrente, le conclusioni del Ministero in sede di rinvio sarebbero diverse da quelle formulate nel primo giudizio di appello (ricorso del 2000), attenendo quest’ ultime solo alla mancanza del requisito sanitario e non alla carenza dei requisiti socio economici. Per tale ragione la Corte d’Appello di Catania non avrebbe potuto accogliere l’appello.

In relazione al suddetto motivo sono stati articolati i seguenti quesiti:

se viola gli artt. 342, 346 e 434 c.p.c., e art. 394 c.p.c., comma 3, il Giudice del rinvio che accolga l’appello alla sentenza di primo grado, in virtù della quale si era stabilito il possesso del requisito socio economico e dell’incollocamento dell’appellata, senza che nell’appello medesimo si impugni espressamente tale capo di sentenza, stante che l’impugnante si limitava a dedurre: Nessun accertamento si è avuto del requisito economico e di quello dell’incollocamento, non contenendo il gravame alcun argomento volto a confutare e/o contrastare le ragioni addotte dal primo giudice;

se nell’ipotesi di appello parziale alla sentenza di primo grado, con implicita acquiescenza a parte della sentenza non impugnata, il giudice del procedimento rescissorio può esaminare per la prima volta in sede di giudizio di rinvio, a seguito di cassazione con rinvio della sentenza resa nel giudizio di appello, la sussistenza dei requisiti socio economici e reddituali, in un giudizio volto all’ottenimento dell’assegno di invalidità civile da parte della ricorrente in primo grado.

2. Con il secondo motivo d’impugnazione è dedotta contraddittoria motivazione per errata valutazione di risultanze processuali decisive per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5).

Assume la L. che è contraddittoria rispetto a decisive risultanze processuali allegate nel ricorso introduttivo del giudizio la decisione del giudice del merito che respinga per difetto di prova la domanda formulata dalla ricorrente, ai sensi della L. n. 118 del 1971, art. 13 per ottenere il riconoscimento in proprio favore dell’assegno di invalidità civile, la quale nel detto ricorso dichiari di trovarsi nelle condizioni socio economiche previste dalla normativa per beneficiare della prestazione, affermando espressamente di essere disoccupata e di non percepire alcun tipo di reddito, mentre, di converso, il convenuto Ministero nelle proprie difesesi era limitato a dedurre che la ricorrente dovrebbe provare di trovarsi nelle condizioni previste dalla normativa, senza però contestare specificamente lo status di disoccupata dichiarato dall’attrice, e senza contestare neppure l’assenza di reddito dichiarato dalla stessa. Ed addirittura siffatte generiche difese vengano qualificate come specifica eccezione da parte della Corte di Appello.

2.1. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi non sono fondati.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, nel giudizio di rinvio, nel quale è inibito alle parti, prendere conclusioni diverse dalle precedenti o che non siano conseguenti alla cassazione, non sono modificabili i termini oggettivi della controversia espressi o impliciti nella sentenza di annullamento e che la preclusione investe non solo le questioni espressamente dedotte o che avrebbero potuto essere dedotte dalle parti, ma anche le questioni di diritto rilevabili d’ufficio, ove esse tendano a porre nel nulla od a limitare gli effetti intangibili della sentenza di cassazione e l’operatività del principio di diritto, che in essa viene enunciato non in via astratta, ma agli effetti della decisione finale della causa (cfr. Cass., sentenza n. 327 del 2010).

Tuttavia, detti principi, richiamati dalla ricorrente a sostegno delle censure, non sono conferenti nella fattispecie in esame.

Ed infatti, come si legge nella sentenza di questa Corte n. 7746 del 2005, nonchè nella premessa dell’odierno ricorso della L., il Ministero impugnava la sentenza della Corte d’Appello di Caltanissetta deducendo, tra l’altro, con il terzo ed il quarto motivo che venivano accolti, che sia per quanto atteneva la dimostrazione del requisito-socio sanitario, che per quello dell’incollocazione, l’assicurata non aveva fornito la dimostrazione della loro esistenza.

Pertanto la L. avrebbe dovuto in quella sede, qualora lo avesse ritenuto sussistente, denunciare un ritenuto illegittimo ampliamento del thema decidendum, che non sussiste, nel giudizio di rinvio svoltosi dinanzi alla Corte d’Appello di Catania, in ragione del contenuto delle statuizioni assunte da questa Corte proprio in accoglimento dei suddetti motivi d’appello del Ministero, rispetto ai quali la ricorrente non deduce aver proposto eccezioni procedurali.

Ora, come questa Corte ha avuto modo di affermare (Cass., sentenza n. 5381 del 2011, nel giudizio di rinvio è precluso alle parti di ampliare il “thema decidendum” e di formulare nuove domande ed eccezioni ed al giudice – il quale è investito della controversia esclusivamente entro i limiti segnati dalla sentenza di cassazione ed è vincolato da quest’ultima relativamente alle questioni da essa decisa – non è, pertanto, consentito qualsiasi riesame dei presupposti di applicabilità del principio di diritto enunciato, sulla scorta di fatti o profili non dedotti, nè egli può procedere ad una diversa qualificazione giuridica del rapporto controverso ovvero all’esame di ogni altra questione, anche rilevabile d’ufficio, che tenda a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione in contrasto con il principio della sua intangibilità.

Quindi, correttamente e con congrua motivazione, la Corte d’Appello ha statuito nel solco degnato dalla sentenza di legittimità e gli odierni suddetti motivi di censura non possono trovare accoglimento in quanto volti a incidere proprio sulla intagibilità della pronuncia emessa in sede di legittimità.

3. Con il terzo motivo d’impugnazione è dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 con riguardo all’art. 2697 c.c. e art. 416 c.p.c., comma 3.

Deduce la ricorrente che il rigetto della domanda per difetto di prova è intervenuto nonostante i fatti decisivi per il giudizio fossero tutti stati esplicitati nel ricorso introduttivo oggetto di una generica contestazione da parte del resistente.

I quesiti di diritto hanno il seguente tenore:

se viola la regola di giudizio basata sull’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c. la decisione del giudice del merito che respinga per difetto di prova la domanda della ricorrente, ai sensi della L. n. 118 del 1971, art. 13 volta ad ottenere la condanna del Ministero dell’interno a corrisponderle l’assegno di invalidità civile, e che nel ricorso introduttivo dichiari di trovarsi nelle condizioni socio economiche previste dalla normativa per beneficiare della prestazione, affermando espressamente sia di essere disoccupata che di non percepire alcun tipo di reddito, mentre, di converso, il Ministero convenuto deduca nelle proprie difese in primo grado che la ricorrente dovrebbe provare di trovarsi nelle condizioni previste dalla normativa, senza però contestare specificamente lo status di disoccupata dichiarato dalla nè contestare neppure l’assenza di reddito dichiarato dalla predetta;

se viola anche la regola processuale di cui all’art. 416 c.p.c., comma 3, la decisione del Giudice del merito il quale qualifichi siffatte difese come specifica eccezione.

4. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, in riferimento all’art. 384 c.p.c., comma 2, prospettandosi la infedele esecuzione della statuizione della pronuncia di questa Corte.

In merito, la L. ha sottoposto a questa Corte il seguente quesito di diritto: se qualora in un giudizio volto all’ottenimento dell’assegno di invalidità civile, della L. n. 118 del 1971, ex art. 13 ai fini dell’accertamento dell’incollocamento al lavoro, la Suprema Corte stabilisca, con riferimento agli invalidi ultracinquantenni (ma infrasessantacinquenni) – enunciando il principio di diritto ex art. 384 c.p.c., comma 2, che questo deve essere inteso come stato di effettiva disoccupazione o non occupazione, senza che sia necessaria alcuna iscrizione o domanda di iscrizione nelle liste di collocamento ordinario (e che la prova di questa condizione può essere fornita in giudizio anche facendo ricorso a presunzioni semplici), viola l’art. 384 c.p.c., comma 2, per infedele esecuzione dei compiti affidati dalla S.C., la pronuncia del giudice di rinvio il quale ritenga la domanda non provata sebbene la parte abbia dedotto nel ricorso introduttivo di primo grado di essere disoccupata ed il Ministero convenuto non abbia contestato tale deduzione.

5. Con il quinto motivo di ricorso è prospettata a contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia individuato nel richiedere alla parte di assolvere quanto meno un onere di allegazione specifico quanto al proprio stato di disoccupazione anche facendo ricorso a presunzioni semplici, quando nel prosieguo del ragionamento si deduca: “certo non essendo sufficiente la mera deduzione di essere disoccupata”, costituisce ragionamento illogico per contraddittorietà manifesta della motivazione su riportata, atteso che è proprio la deduzione di essere disoccupata contenuta nell’atto introduttivo del giudizio che assolve al detto onere di allegazione specifica.

6. Con il sesto motivo d’impugnazione è dedotta violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, in riferimento all’art. 2697 c.c. e all’art. 437 c.p.c., comma 2.

Il quesito di diritto ha il seguente tenore: se viola la regola generale del riparto dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 c.c. il Giudice del merito il quale, vista la deduzione contenuta nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado della parte ricorrente la quale dichiari di essere disoccupata, ed esaminata la deduzione difensiva del Ministero convenuto nel relativo giudizio volto alla erogazione dell’assegno di invalidità civile, priva di qualunque contestazione in ordine allo status di disoccupata e che si limiti a richiedere alla parte che sia iscritta nelle liste del collocamento obbligatorio, ritenga non provato lo status di disoccupata e non tenga conto del certificato di disoccupazione prodotto – e non contestato – all’atto della costituzione nel giudizio di appello.

7. Il terzo, il quarto, il quinto ed il sesto motivo di ricorso devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.

Ed infatti, sia pure per profili diversi, tutti si incentrano sulla ritenuta insussistenza del requisito reddituale e dell’incollocazione.

Gli stessi non sono fondati.

7.1. Occorre precisare che questa Corte con la sentenza n. 7746 del 2005, nel ritenere errate le statuizioni della Corte d’Appello di Caltanissetta, sia con riguardo al requisito economico che all’incollocazione, ha affermato i seguenti principi di diritto:

non ha valore probatorio, anche solo indiziario, nell’ambito del giudizio civile caratterizzato dal principio dell’onere della prova, l’autocertificazione;

laddove manchi una contestazione da parte dell’amministrazione in ordine all’ammontare del reddito, la prova del requisito reddituale non è richiesta;

non è configurabile una “non contestazione” con gli effetti da essa scaturenti – a fronte di dati fattuali non allegati e precisati da controparte;

l'”incollocazione al lavoro” – che è uno degli elementi costitutivi del diritto alla prestazione- con riferimento agli invalidi ultracinquantacinquenni (ma infrasessantacinquenni) i quali non hanno diritto all’iscrizioni nelle liste speciali di collocamento obbligatorio, deve essere intesa come stato di effettiva disoccupazione o non occupazione, senza che sia necessaria alcuna iscrizione o domanda di iscrizione nelle liste di collocamento ordinario;

la prova di questa condizione può essere fornita in giudizio anche facendo ricorso a presunzioni semplici.

7.2. La Corte d’Appello di Catania ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi senza incorrere nelle dedotte violazione di legge e procedurali, nonchè nel prospettato vizio di motivazione.

7.3. Osserva, infatti il giudice di appello che il Giudice del Tribunale di Gela: aveva ritenuto sufficiente l’autocertificazione prodotta dalla ricorrente relativa al non superamento dei limiti reddituali previsti dalla legge senza tuttavia considerare che, nella specie, già con la memoria di costituzione del 17 dicembre 1998 il Ministero resistente aveva rilevato, peraltro a fronte della generica deduzione della controparte di essere in possesso dei presenti requisiti, che era onere della parte ricorrente provare – pena il rigetto della domanda – di trovarsi nelle condizioni economiche previste dalla L. n. 412 del 1991, art. 12, comma 3 mediante l’esibizione di idonea certificazione comprovante che il reddito individuale non superasse quello stabilito per la concessione della pensione sociale da parte dell’INPS, nonchè di trovarsi nelle condizioni previste dalla L. n. 118 del 1971, art. 13 che richiamava tra l’altro il citato art. 12, comma 3;

aveva ritenuto che non gravava alcun onere probatorio sulla L. circa il requisito della incollocazione.

7.4. La Corte d’Appello di Catania, quindi, censura la sentenza del Tribunale in quanto per un verso, fondata sull’erronea e generale considerazione della irrilevanza della contestazione generica, senza, invece, correttamente valutare la sussistenza di una specifica eccezione quanto alla necessità di provare con idonea documentazione – e non con una mera autocertificazione – la sussistenza del requisito reddituale, mentre per altro verso pur non avendo la parte onere di provare di essere incollocata al lavoro previa iscrizione al collocamento obbligatorio avrebbe tuttavia avuto quanto meno un onere di allegazione specifico quanto al proprio stato di disoccupazione anche facendo ricorso a presunzioni semplici, come affermato da questa Corte, certo non essendo sufficiente la mera deduzione di essere disoccupata, nè essendo rilevante la tardiva produzione nei gradi successivi di nuova documentazione.

7.5. E’ evidente, dunque, in ragione della suddetta motivazione della sentenza della Corte d’Appello di Catania, che non sono ravvisabili le dedotte violazioni di legge, avendo il giudice d’appello fatto corretta applicazione, in particolare, della norme procedurali, della disciplina che regola l’onere della prova, secondo il dictum di questa Corte, nonchè delle disposizioni che regolano l’istituto in questione, e che con i dedotti vizi di motivazione la ricorrente intenda ottenere un riesame nel merito della vicenda non ammissibile in questa sede.

8. Il ricorso deve essere rigettato.

9. Nulla per le spese in applicazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo anteriore alla riforma di cui all’art. 42 c.p.c., comma 11, del D.L. n. 269 del 2003, convertito dalla L. n. 326 del 2003, in ragione della data di proposizione del ricorso di primo grado.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2011

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