Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25254 del 25/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 25/10/2017, (ud. 25/05/2017, dep.25/10/2017),  n. 25254

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2248-2017 proposto da:

UCI SUD S.R.L. a socio unico, C.F. (OMISSIS), in persona dei

Consiglieri di Amministrazione, elettivamente domiciliata in ROMA,

FORO TRAIANO 1-A, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO COSMELLI,

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIULIANA

CAIRA, MARIA GRAZIA MEDICI e FRANCESCA PULEJO;

– ricorrente –

contro

FIMCO S.P.A. – P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PAPINIANO 29,

presso lo studio dell’avvocato PAOLO NITTI, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

e contro

ITALIANA ALIMENTI S.P.A. – C.F. (OMISSIS), P.I. (OMISSIS), in persona

del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

GIULIO CESARE 21/23, presso lo studio dell’avvocato CARLO BOURSIER

NIUTTA, rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO D’ALESSANDRO;

– controricorrente –

e contro

CINESTAR GESTIONI S.R.L.;

– intimata –

per regolamento di competenza avverso l’ordinanza del TRIBUNALE DI

TRANI (EX SEDE DISTACCATA DI ANDRIA), depositata il 15/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/05/2017 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale Cardino Alberto, che chiede

dichiararsi la competenza arbitrale, limitatamente alle domande

rivolte da Italiana Alimenti S.p.A., nei confronti di Cinestar

Gestioni S.r.l. e Uci Sud S.r.l., ferma restando la competenza del

giudice ordinario per le restanti domande introdotte in causa.

Fatto

PREMESSO

Italiana Alimenti s.p.a., alla quale FIMCO s.p.a. aveva alienato la proprietà di un immobile concesso in locazione a Cinestar Gestioni s.r.l. (destinato a multisala cinematografica) e condotto al tempo della vendita da UCI Sud s.r.l. (società subentrata come conduttrice nel rapporto locativo – in virtù di atto di conferimento di ramo d’azienda – nella Multiplex Sud s.r.l., che in seguito aveva assunto la denominazione sociale UCI Sud s.r.l.), con atto di citazione in data 6.8.2009 aveva convenuto in giudizio avanti il Tribunale di Bari, UCI Sud s.r.l., FIMCO s.p.a. e Cinestar Gestioni s.r.l., proponendo domanda di risoluzione del contratto di locazione, con condanna al risarcimento del danno ex art. 1591 c.c. della società conduttrice per ingiustificato anticipato recesso ex art. 27 Legge equo canone, ed in subordine – in caso di accertamento del legittimo esercizio del diritto di recesso della conduttrice – domanda di annullamento del contratto di compravendita del bene immobile;

in seguito alla pronuncia del Tribunale Ordinario di Bari che dichiarava la propria “incompetenza territoriale”, riservando al Giudice competente l’esame dell’altra eccezione di “incompetenza per clausola arbitrale”, la causa è stata riassunta dalle parti avanti il Tribunale Ordinario di Trani che, con ordinanza resa in data 15.12.2016, ha rigettato la eccezione di incompetenza di clausola compromissoria, proposta da UCI Sud s.r.l., per essere la controversia deferita ad arbitri ai sensi dell’art. 19 del contratto di locazione, rilevando che: a) la autonomia del negozio compromissorio rispetto al contratto cui accede, non determina, in caso di cessione del contratto ex art. 1406 c.c., l’automatica trasmissione al contraente cessionario anche della clausola arbitrale, occorrendo a tal fine una espressa manifestazione di volontà delle parti; b) nella controversia con pluralità di parti non era consentita la estensione della efficacia del negozio compromissorio anche alle parti ad esso estranee la ordinanza del Tribunale di Trani è stata ritualmente impugnata con regolamento necessario di competenza ex art. 42 c.p.c., da UCI Sud s.r.l., con ricorso notificato in data 13.1.2017 a mezzo PEC ai difensori domiciliatari delle altre parti hanno depositato memorie difensive soltanto Italiana Alimenti s.p.a. e FIMCO s.p.a..

il Pubblico Ministero ha rassegnato conclusioni scritte sostenendo che: a) il conferimento d’azienda effettuato da Cinestar Gestioni s.r.l. in UCI Sud s.r.l., comprendente il contratto di locazione, determinava, in difetto di patto contrario ex art. 2558 c.c., comma 1, anche il subentro nel negozio compromissorio accessivo al contratto di locazione, rimanendo peraltro vincolata alla clausola compromissoria -in quanto anch’essa obbligata al pagamento dei canoni insoluti- anche la precedente conduttrice Cinestar Gestioni s.r.l.; b) la alienazione della proprietà dell’immobile locato determinava, ai sensi degli artt. 1599 e 1602 c.c., il subentro dell’acquirente Italiana Alimenti s.p.a. nel rapporto locativo come disciplinato dal contratto originario, e dunque anche nel negozio compromissorio a quello accessivo; c) era quindi necessario separare le domande relative al rapporto locativo, assoggettate alla clausola arbitrale, dalle altre domande relative, invece, alla compravendita che dovevano proseguire avanti il Tribunale di Trani, unitamente alla domanda condizionata di regresso proposta da Cinestar Gestioni s.r.l. nei confronti di UCI Sud s.r.l., in quanto relativa a materia estranea alla clausola compromissoria;

UCI Sud s.r.l. ed Italiana Alimenti s.p.a. hanno depositato memorie illustrative ai sensi dell’art. 380 ter c.p.c., comma 2.

Diritto

OSSERVA

La pregiudiziale eccezione di inammissibilità del regolamento di competenza, proposta da Italiana Alimenti s.p.a. (memoria difensiva pag. 31), in base al rilievo secondo cui la eccezione di “clausola compromissoria” sarebbe stata già esaminata ed implicitamente rigettata dal Tribunale di Bari, è fondata, occorrendo tuttavia sviluppare compiutamente le ragioni di tale assunto.

Il Tribunale di Bari, diversamente da quanto sostenuto dalla eccipiente, con il provvedimento depositato in data 12.7.2010, non ha affatto pronunciato sulla eccezione di “clausola arbitrale” qualificandola come questione di giurisdizione e superando, in tal modo, il divieto di deroga alla competenza territoriale di cui all’art. 447 bis c.p.c., comma 2, (relativo al rito locatizio), ma, tenuto conto delle diverse eccezioni pregiudiziali proposte gradatamente dalle parti convenute, ha, invece, espressamente dichiarato di voler limitare la pronuncia sulla competenza alla sola questione sollevata in relazione alla “incompetenza per territorio” (statuendo, in conformità all’art. 21 c.p.c., comma 1 e art. 447 bis c.p.c., la competenza territoriale del Tribunale di Trani), precisando che trattavasi di questione prioritaria in senso logico-giuridico, in quanto l’esame della eccezione di “clausola arbitrale” (che non opera sul piano della “competenza territoriale”, e dunque non derogando ad essa rimane, pertanto, sottratta alla sanzione di nullità dell’art. 447 bis c.p.c., comma 2: Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 4652 del 11/05/1999; id. Sez. 1, Sentenza n. 19393 del 22/08/2013) poteva essere condotto soltanto “dall’autorità giudiziaria che ha la cognizione sulla domanda e dunque sul contratto” (cfr. ordinanza Tribunale Bari, riprodotta anche a pag. 35-36 ricorso).

Tanto premesso, la tesi difensiva di Italiana Alimenti s.p.a. secondo cui il diniego di competenza per territorio pronunciato dal Tribunale di Bari avrebbe “implicitamente” negato “anche” la applicazione della clausola arbitrale, sussistendo tra le due questioni un nesso di reciproca dipendenza necessaria, necessita di essere meglio precisata alla stregua delle seguenti considerazioni di carattere sistematico.

A. Con la introduzione dell’art. 819 ter c.p.c., per effetto del D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 22 (applicabile alla fattispecie in esame, giusta l’art. 27, comma 4, medesimo D.Lgs., essendo iniziato il giudizio in data successiva al 2.3.2006: cfr. Corte cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 29261 del 28/12/2011) il Legislatore si è decisamente orientato a regolare i rapporti tra il procedimento arbitrale ed il processo ordinario in termini di “competenza”. Dall’esame della disciplina complessivamente ricavabile dalla L. 5 gennaio 1994, n. 25 e dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, emerge che alla attività svolta dagli “arbitri rituali” viene riconosciuta natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario (cfr. Corte cost. sentenza in data 19 luglio 2013 n. 223 che, al fine di verificare la sussistenza della legittimazione degli arbitri a sollevare questioni di legittimità costituzionale, ha riconosciuto che “l’arbitrato costituisce un procedimento previsto e disciplinato dal codice di procedura civile per l’applicazione obiettiva del diritto nel caso concreto, ai fini della risoluzione di una controversia, con le garanzie di contraddittorio e di imparzialità tipiche della giurisdizione civile ordinaria. Sotto l’aspetto considerato, il giudizio arbitrale non si differenzia da quello che si svolge davanti agli organi statali della giurisdizione, anche per quanto riguarda la ricerca e l’interpretazione delle norme applicabili alla fattispecie” e ha affermato che il giudizio degli arbitri “è potenzialmente fungibile con quello degli organi della giurisdizione” (sentenza n. 376 del 2001). Sul piano della disciplina positiva dell’arbitrato, poi, è indubbio che, con la riforma attuata con il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma della L. 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 2), il legislatore ha introdotto una serie di norme che confermano l’attribuzione alla giustizia arbitrale di una funzione sostitutiva della giustizia pubblica. Anche se l’arbitrato rituale resta un fenomeno che comporta una rinuncia alla giurisdizione pubblica, esso mutua da quest’ultima alcuni meccanismi al fine di pervenire ad un risultato di efficacia sostanzialmente analoga a quella del dictum del giudice statale Pertanto, nell’ambito di un ordinamento che riconosce espressamente che le parti possano tutelare i propri diritti anche ricorrendo agli arbitri la cui decisione (ove assunta nel rispetto delle norme del codice di procedura civile) ha l’efficacia propria delle sentenze dei giudici, l’errore compiuto dall’attore nell’individuare come competente il giudice piuttosto che l’arbitro non deve pregiudicare la sua possibilità di ottenere, dall’organo effettivamente competente, una decisione sul merito della lite.”), sicchè lo stabilire se una controversia spetti alla cognizione dei primi o del secondo si configura come questione di competenza, mentre il sancire se una lite appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile, dà luogo ad una questione di giurisdizione (cfr. Corte cass. Sez. U, Ordinanza n. 24153 del 25/10/2013; id. Sez. U, Ordinanza n. 1005 del 20/01/2014).

B. La costruzione della “questione di competenza arbitrale” come eccezione in senso stretto, rimessa alla iniziativa esclusiva della parte che intende avvalersi della clausola compromissoria e da formulare nei termini di decadenza previsti per le eccezioni processuali non rilevabili “ex officio” (art. 38 c.p.c., comma 1, art. 167 c.p.c., comma 2 e art. 819 ter c.p.c., comma 1, u.p.: cfr. Corte cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 22748 del 06/11/2015; id. Sez. 1, Sentenza n. 1097 del 21/01/2016), se pure non inquadrabile in alcuno dei criteri di collegamento della competenza preesistenti (la competenza arbitrale, in quanto scelta alternativa rispetto alla funzione giurisdizionale dell’organo giudiziario statale: 1-non è assimilabile alla “competenza territoriale semplice”, difettando il presupposto di una disputa della competenza ricollegata ad un ambito spaziale; 2-non è riconducibile alla “competenza funzionale o territoriale inderogabile”, non implicando opzioni determinate da un interesse pubblico prevalente, e non essendo infatti rilevabile ex officio), esige – al pari delle altre questioni di competenza e pregiudiziali di rito in genere – una immediata risposta dall’organo giudicante, chiamato a verificare in via preliminare la propria “potestas decidendi” quale passaggio logico-giuridico strumentale ed indispensabile alla realizzazione dello scopo cui tende il processo, volto ad assicurare in tempi ragionevoli la tutela del diritto controverso mediante una decisione intesa al definitivo consolidamento della situazione sostanziale, direttamente od indirettamente, dedotta in giudizio.

In relazione a tale aspetto occorre osservare che, se la relazione di “pregiudizialità logica” che sussiste tra la affermazione della “potestas judicandi” (che attiene alla fase di accertamento della “decidibilità” della causa) e l’esercizio della medesima “potestas” (che attiene alla fase della decisione del caso concreto) trova riscontro nella disciplina processuale dell’ordine logico di trattazione delle questioni nella fase della decisione, venendo postergato l’esame del merito alla previa trattazione delle “questioni pregiudiziali proposte dalle parti o rilevabili di ufficio” (cfr. art. 276 c.p.c., comma 2, relativo al giudice collegiale, applicabile al giudice monocratico dagli artt. 281 bis e 281 quater c.p.c., al giudice di appello dall’art. 131 disp. att. c.p.c., ed alla Corte di cassazione dall’art. 141 disp. att. c.p.c.. E’ stato al riguardo icasticamente osservato che “il giudice che decide il merito ha anche già deciso di poter decidere. La progressione logica che porta al giudizio di merito presuppone la soluzione delle questioni di giurisdizione e di competenza, anche quando la decisione sulla potestas judicandi implica la preventiva ricostruzione del rapporto sostanziale dedotto in giudizio e del quadro normativo di riferimento”: Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 24883 del 09/10/2008), non emerge, invece, dall’ordinamento processuale alcun vincolo per il giudice di procedere ad un esame diacronico nella risoluzione delle “questioni pregiudiziali, preliminari e di merito”, non essendo ricavabile un tale ordine gerarchico nelle norme che impongono termini di decadenza o preclusioni alla proponibilità di dette eccezioni od alla loro rilevabilità ex officio (artt. 28 e 38 c.p.c.; art. 167 c.p.c., comma 2; art. 416 c.p.c., comma 2; art. 702 bis c.p.c., comma 4). L’unica norma processuale che dispone al riguardo (art. 187 c.p.c., comma 3), e che concerne, peraltro, l’attività del giudice istruttore (e che trova corrispondenza nel rito del lavoro: art. 420 c.p.c., comma 4: cfr. Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 9389 del 07/09/1993), si limita a “facoltizzare” il giudice a decidere separatamente, oppure unitamente al merito, le questioni pregiudiziali o preliminari di merito, rimettendo tale scelta al suo prudente apprezzamento (non sussistendo alcun obbligo di risolvere immediatamente le questioni pregiudiziali la cui decisione può definire il giudizio), onerandolo, ove opti per la decisione separata della questione pregiudiziale, ad invitare le parti a precisare le conclusioni, ai sensi degli artt. 187,189 e 281 bis c.p.c., “nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi od a norma dell’art. 183 c.p.c.”, essendo in ogni caso investito l’organo giudicante “di tutta la causa”. Diversamente, nella ipotesi in cui, invece, il giudice ritenga di non dover pronunciare separatamente, la scelta di rinviare l’esame della questione pregiudiziale unitamente alla fase della decisione del merito, pur sottendendo una delibazione negativa della eccezione, non comporta in ogni caso, per il giudice, un implicito esaurimento della “potestas iudicandi” sulla questione che dovesse poi, in ipotesi, ritenersi fondata (cfr., con riferimento alla questione di competenza, Corte cass. Sez. 3, Ordinanza n. 1638 del 06/02/2002; id. Sez. 3, Ordinanza n. 16754 del 21/07/2006; id. Sez. U, Ordinanza n. 11657 del 12/05/2008; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 25883 del 21/12/2010 secondo cui “il provvedimento col quale detto giudice – ritenendo che la prospettata eccezione di incompetenza sia inidonea a definire il giudizio – assegni alle parti i termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, non integra una decisione sulla competenza, avendo soltanto il valore di una giustificazione della scelta del giudice di risolvere la questione di competenza unitamente al merito”).

C. Nella specie non viene in rilievo la problematica inerente la relazione logica tra le decisioni su questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, da un lato, e le decisioni su questioni attinenti al merito della controversia di diritto sostanziale, dall’altro, con i conseguenti riflessi in tema di formazione del giudicato implicito sulla questione pregiudiziale, problematica in ordine alla quale questa Corte (Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 24883 del 09/10/2008) ha fornito le coordinate della soluzione per quanto riguarda la “questione pregiudiziale di giurisdizione” (art. 37 c.p.c.), distinguendola dalle altre questioni pregiudiziali – rilevabili ex officio per la prima volta anche in sede di legittimità – comportanti vizi di nullità insanabili del processo (Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 26019 del 30/10/2008), riconoscendo che, soltanto nel primo caso (giurisdizione), la omessa tempestiva eccezione/rilevazione determina la formazione del giudicato implicito (Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 10027 del 29/04/2009). Non viene in rilievo neppure la peculiare disciplina, propria del giudizio di legittimità, intesa a coordinare, alla stregua del criterio dell’attualità dell’interesse alla impugnazione del ricorrente incidentale condizionato, l’oggetto di tale giudizio – delimitato dai motivi di ricorso – con l’ordine logico della trattazione prioritaria delle questioni attinenti a vizi processuali – inerenti a questioni pregiudiziali di rito oggetto di decisione esplicita od implicita del giudice di merito – prospettate con il ricorso incidentale condizionato, proposto dalla parte risultata vittoriosa nel merito, rispetto all’esame degli altri vizi di legittimità, prospettati nel ricorso principale (Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 5456 del 06/03/2009; id. Sez. U, Sentenza n. 7381 del 25/03/2013; id. Sez. 1, Sentenza n. 4619 del 06/03/2015).

Viene piuttosto all’esame del Collegio la scelta compiuta dal Giudice di merito nel disporre l’ordine logico di trattazione di questioni tutte riconducibili alla categoria delle “eccezioni pregiudiziali di rito”, avendo optato il Tribunale di Bari, avanti il quale la medesima parte convenuta in giudizio (UCI Sud s.r.l.) aveva proposto “cumulativamente e gradatamente” (come emerge anche dal ricorso ex art. 42 c.p.c., pag. 11) sia la eccezione di “clausola compromissoria”, sia la eccezione di “incompetenza territoriale” del giudice adito, per l’esame preliminare della eccezione di incompetenza territoriale, che ha accolto, “riservando” al Tribunale di Trani, individuato come territorialmente competente, l’esame dell’altra eccezione pregiudiziale per arbitrato rituale.

Tale “modus procedendi” non appare al Collegio conforme ai parametri costituzionali di cui all’art. 24 Cost. (esercizio del diritto difesa, declinato in termini di effettività della tutela giudiziaria), art. 25 Cost. (garanzia del giudice naturale precostituito per legge) e art. 111 Cost. (giusto processo, declinato in funzione della effettività della tutela giurisdizionale da realizzare attraverso una pronuncia di merito resa alle parti in un tempo ragionevole), alla stregua dei quali debbono interpretarsi le singole norme e più in generale l’intero sistema del processo civile, non avendo tenuto conto, il Giudice del merito, dell’oggettivo rapporto di progressione logica che presiede all’esame delle diverse eccezioni pregiudiziali, nella specie proposte dalla stessa parte convenuta, avendo illegittimamente deciso prioritariamente sulla competenza territoriale del Giudice statale, che è questione – per le ragioni che verranno esposte – necessariamente subordinata rispetto a quella della verifica della compromettibilità della controversia in arbitri.

Le ragioni sono le seguenti.

a) La esigenza di individuare un ordine interno alla trattazione delle questioni pregiudiziali, è stata ampiamente avvertita dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, non in quanto considerato fine a se stesso e meramente rispondente ad un astratto criterio logico, ma in quanto tale ordine risulta “funzionale ad assicurare la migliore qualità della decisione di merito” obiettivo al quale “si ispira pressochè costantemente – nel regolare questioni di rito – il vigente codice di procedura civile, ed in particolare vi si ispira la disciplina che all’individuazione del giudice competente – volta ad assicurare, da un lato, il rispetto della garanzia costituzionale del giudice naturale e, dall’altro lato, l’idoneità (nella valutazione del legislatore) a rendere la migliore decisione di merito non sacrifica il diritto delle parti ad ottenere una risposta, affermativa o negativa, in ordine al “bene della vita” oggetto della loro contesa.” (cfr. Corte costituzionale, sentenza del 12.3.2007 n. 77): tali principi enunciati dal Giudice delle Leggi in tema di questioni di giurisdizione tra ordini diversi – assumono valenza generale, in quanto espressivi della strumentalità delle disposizioni processuali (e della loro interpretazione) alla attuazione, nel giudizio, della effettività dell’ordinamento giuridico. La elaborazione giurisprudenziale sul tema si è spinta ad indagare il nesso di progressione logica tra questioni pregiudiziali di rito, con riferimento alla relazione tra la questione di giurisdizione e quella di competenza, avendo affermato le SS.UU. di questa Corte “che la pronuncia declinatoria della competenza presuppone, come antecedente logico giuridico, la positiva affermazione, ancorchè implicita, della giurisdizione, avendo ad oggetto un accertamento subordinato, rispetto al quesito pregiudiziale relativo all’esistenza della “potestas iudicandi” del giudice adito” (Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 26483 del 17/12/2007; id. Sez. U, Sentenza n. 10828 del 29/04/2008), dovendo ravvisarsi un rapporto di “continenza” tra la giurisdizione (intesa come distribuzione della potestas judicandi tra giudici appartenenti ad ordini giurisdizionali diversi) e la competenza, in quanto “frazione o misura” della prima (volta a disciplinare la distribuzione della potestas decidendi tra giudici appartenenti al medesimo ordine giurisdizionale), rapporto contraddistinto dalla implicazione necessaria della decisione sulla competenza, nel senso che, l’affermazione della giurisdizione non determina ex se anche la competenza del giudice adito, mentre l’affermazione della competenza comporta sempre e comunque l’accertamento positivo – eventualmente implicito – della potestà giurisdizionale. Da ultimo Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 29 del 05/01/2016 ha inteso ancorare il fondamento normativo del “rapporto di pregiudizialità” tra la questione di giurisdizione e la questione di competenza al complesso delle norme della Carta costituzionale che “in coerenza con l’art. 24, comma 1, art. 25, comma 1, e con i principi del “giusto processo” (art. 111, comma 1), individua “ogni magistratura” (ordinaria, amministrativa, speciali), stabilisce i principali criteri di attribuzione della giurisdizione a ciascuna di esse (art. 102, commi 1 e 2, art. 103, 6^, disp. trans. e fin.), ed istituisce la Corte di cassazione quale unico giudice legittimato a dirimere in via definitiva questioni e conflitti di giurisdizione (art. 111 Cost., comma 8),..”, enunciando il principio per cui il giudice adito, anche nel caso in cui sia posta in dubbio la sua competenza, deve sempre verificare innanzitutto la sussistenza della propria giurisdizione e, solo successivamente, in caso affermativo, della propria competenza (in relazione al giudizio di legittimità, la sentenza evidenzia come la pregiudizialità della questione di giurisdizione rispetto a quella di competenza, trovi aggancio anche nell’art. 382 c.p.c., comma 1, secondo cui la Corte “quando decide una questione di giurisdizione, statuisce su questa, determinando, quando occorre, il giudice competente”). Sulla stessa linea si pone Corte cass. Sez. U, Ordinanza n. 18567 del 22/09/2016, che, in tema di conflitto negativo di giurisdizione (L. n. 69 del 2009, art. 59, comma 3), ha affermato che “le Sezioni Unite, se ravvisano l’esistenza della giurisdizione ordinaria, devono ritenersi investite anche del potere di indicarne specificamente il corrispondente ufficio competente secondo i detti tre criteri (ndr competenza per materia, per territorio inderogabile e per valore), sempre che gli elementi “ex actis” lo consentano e non sia necessaria, per le ragioni di cui all’art. 38 c.p.c., u.c., una sommaria istruzione sulla relativa questione”, venendo quindi a riconoscere una implicazione diretta tra le diverse questioni pregiudiziali (nella specie relative all’esame di ciascuno dei criteri di radicamento della competenza, rilevabili ex officio) dettata da “evidenti ragioni di economica processuale sottese ad un’interpretazione della disciplina conforme al principio di ragionevole durata del processo” (idem, in motivazione paragr. 4.2).

b) La possibilità di istituire un ordine di gradazione all’interno dell’esame delle diverse questioni pregiudiziali, trova conforto in alcuni recenti arresti delle Sezioni Unite di questa Corte in tema di rapporti tra l’appello incidentale e la riproposizione delle domande ed eccezioni “non accolte” ex art. 346 c.p.c., ove è stata esaminata, sia pure “per obiter”, la questione che interessa. Nella prima sentenza (Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 7700 del 19/04/2016) si è dato rilievo alla ipotesi in cui la parte vittoriosa abbia proposto “un cumulo di domande…. in nesso di subordinazione tra loro”, ovvero una pluralità di eccezioni “indicando un nesso di gradata subordinazione fra esse”, ed il giudice di merito abbia pronunciato violando tale nesso di subordinazione (non sta qui a rilevare se con decisione esplicita od implicita di rigetto delle “altre” domande/eccezioni, ovvero omettendone del tutto l’esame), ritenendo che la scelta dell’ordine di esame delle questioni prospettata dalla parte, in quanto espressiva di un proprio interesse oggettivo rispetto alla materia del contendere, vincola in ogni caso l’attività processuale del Giudice di merito tenuto a seguire l’ordine indicato, in difetto incorrendo in un vizio censurabile con i rimedi impugnatori (cfr., per quanto concerne specificamente le eccezioni: paragr. 5.6.3 della motivazione). Nella seconda sentenza (Corte cass. Sez. U -, Sentenza n. 11799 del 12/05/2017), l’esempio viene ripreso precisando che “l’ordine di preferenza” delle difese, indicato al Giudice dalla parte convenuta – con riferimento ad eccezioni di merito -, appare giustificato “dal criterio dell’interesse, eventualmente apprezzato anche con riferimento alle possibili ricadute della decisione su altre controversie fra le parti o su controversie tra il convenuto e terzi”, e se l’art. 276 c.p.c. istituisce un preciso vincolo di sequenza soltanto tra le questioni pregiudiziali di rito ed il merito, non intervenendo a disporre criteri ordinatori all’interno di ciascun gruppo di questioni, tuttavia “se la parte eccipiente richieda l’esame gradato di eccezioni inerenti al merito, si deve ritenere che il potere del giudice ne risenta, sicchè egli dovrebbe osservare nell’esame tale gradazione, se risponda ad un interesse” (cfr. motivazione paragr. 9.3.3.2.), venendo ad essere estesa tale conclusione anche alla ipotesi di proposizione cumulativa con ordine di gradazione di più eccezioni pregiudiziali di rito (idem paragr. 9.4.6.).

e) E’ dunque possibile rinvenire nell’ordinamento processuale – interpretato alla stregua delle norme costituzionali sopra richiamate – il fondamento di un vincolo per il Giudice di merito nell’ordine di esame delle questioni pregiudiziali e di merito, non limitato al disposto dell’art. 276 c.p.c., ma esteso anche all’interno di ciascun gruppo di questioni, in quanto risulta funzionale alla realizzazione del “giusto processo” ed alla attuazione dei principi di economica processuale e di ragionevole durata del processo, dovendo perciò stigmatizzarsi il frazionamento delle decisioni sulle questioni pregiudiziali di rito e preliminari di merito (ritualmente dedotte o rilevate), laddove venga a tradursi, tanto più rendendo del tutto inutile e controproducente il meccanismo della “translatio judici” ex art. 50 c.p.c., in una ingiustificata dilazione dei tempi connessi alla realizzazione dello scopo del processo che è quello di assicurare alle parti una valida e tempestiva decisione sul merito del rapporto controverso, obiettivo del tutto fallito nel caso in cui il predetto frazionamento, alterando l’ordine dell’esame delle questioni, dia luogo a pronunce “inutiliter datae” in quanto, ad esempio, la pronuncia sulla competenza territoriale, venga di fatto ad essere posta nel nulla, dal giudice – indicato come competente ed avanti al quale la causa sia stata riassunta – che poi abbia dichiarato inammissibile la domanda, accogliendo la eccezione di rinuncia all’azione per convenzione arbitrale irrituale, ovvero abbia declinato la propria competenza in favore degli arbitri, in accoglimento della eccezione di compromesso o di clausola per arbitrato rituale. Tanto premesso il criterio tassonomico da utilizzare nella gradazione dell’esame delle questioni pregiudiziali di rito e preliminari di merito deve tener conto, non soltanto dell’interesse manifestato dalla parte nella scelta preferenziale accordata alle diverse eccezioni formulate (che è espressione del potere dispositivo che informa il processo civile), ma anche delle esigenze connesse all’interesse pubblico ad una valida instaurazione del rapporto processuale tra le parti e tra queste ed il Giudice adito, in quanto l’organo giudicato adito risulti effettivamente titolare della “potestas judicandi” ed idoneo a soddisfare alle garanzie richieste dall’art. 25 Cost.: la scelta compiuta dalla parte non può, infatti, non essere coordinata con il potere attribuito al giudice di rilevazione “ex officio” delle eccezioni non rilevabili esclusivamente ad istanza di parte (art. 112 c.p.c.), tanto più nel caso in cui la selezione della priorità di trattazione delle questioni operata dalla parte appaia recessiva rispetto a fatti “litis ingressum impedientes” consistenti nella mancanza di requisiti minimi essenziali richiesti per la configurazione di un rapporto processuale (cfr. Corte cass. SU n. 26019/2008 cit. che – nell’ambito delle stesse questioni rilevabili ex officio – ritiene recessiva la verifica della giurisdizione rispetto ai vizi insanabili inerenti la violazione del contraddittorio, ed all’assoluta carenza di “potestas judicandi” determinata dal difetto di “legitimatio ad causam”, dalla decadenza sostanziale e dalla improponibilità dell’azione, dalla violazione del divieto dei “nova”. Conforme: Corte cass. SU n. 29/2016 secondo cui l’obbligo di verifica pregiudiziale della giurisdizione, può essere derogato “soltanto in forza di norme o principi della Costituzione o espressivi di interessi o di valori di rilievo costituzionale, come, ad esempio, nei casi di mancanza delle condizioni minime di legalità costituzionale nell’instaurazione del “giusto processo” oppure nella formazione del giudicato, esplicito od implicito, sulla giurisdizione”).

d) Con riferimento alla peculiare fattispecie sottoposta all’esame di questa Corte, la individuazione dell’ordine di esame delle questioni pregiudiziali, è circoscritta al gruppo delle “questioni di competenza”, nell’ambito del quale si inseriscono le eccezioni di “incompetenza per arbitrato rituale” e di “incompetenza territoriale”, proposte gradatamente da USI Sud s.r.l.. Ritiene il Collegio che il criterio ordinatore debba essere rinvenuto nell’art. 38 c.p.c. che, tanto in relazione alla eccezione della parte (comma 1), quanto del rilievo officioso della incompetenza (comma 3), scandisce una sequenza di esame (materia-valore-territorio) rispondente ad una progressiva riduzione dell’oggetto della verifica processuale (analoga a quella evidenziata tra giurisdizione e competenza), per cui la individuazione del “tipo” di Giudice (Giudice di Pace, Tribunale, Corte d’appello), cui presiede il criterio della materia ed in via concorrente o residuale quello del valore, precede il criterio di distribuzione territoriale tra i Giudici appartenenti al medesimo “tipo” (con l’ulteriore limite della inderogabilità di cui all’art. 28 c.p.c.). In tale quadro si inserisce anche la (nuova) “eccezione di incompetenza” per compromesso o per clausola arbitrale ex art. 819 ter c.p.c., il cui regime di deducibilità è sostanzialmente assimilato a quello della eccezione di incompetenza territoriale semplice, ma che opera funzionalmente ad un livello superiore rispetto al criterio per materia e valore, trattandosi di eccezione che si pone in relazione alternativa-escludente rispetto alla applicazione di tutti gli altri criteri individuatori della competenza giurisdizionale, in quanto precede ed esclude la distribuzione della “potestas decidendi” tra magistrati di diverso “tipo” appartenenti al medesimo ordine giudiziario (Giudice di pace; Tribunale; Corte d’appello), venendo a sottrarre, la convenzione per arbitrato rituale, la stessa competenza del giudice ordinario statale (di qualsiasi tipo) per devolverla agli arbitri nominati dalle parti, e cioè a soggetti privati (art. 813 c.p.c., comma 2) investiti negozialmente dell’esercizio di funzioni analoghe a quelle – giurisdizionali. Se sussiste la competenza arbitrale, non può esservi luogo, quindi, ad alcuna verifica – che risulta pertanto del tutto superflua ed inutile – della distribuzione territoriale della inesistente – competenza tra i giudici statali appartenenti al medesimo ordine giurisdizionale.

Pertanto, essendo state le eccezioni pregiudiziali di incompetenza per clausola arbitrale e – subordinatamente – per territorio entrambe sollevate dalla parte, ed avendo la parte convenuta, nella comparsa di costituzione e risposta ritualmente depositata, indicato al Giudice adito (Tribunale di Bari) l’ordine secondo il quale intendeva che tali eccezioni fossero esaminate, il frazionamento della decisione su dette eccezioni disposto dal Tribunale Ordinario di Bari che ha inteso esaminare ritenendola fondata- soltanto la eccezione di competenza territoriale, denegando espressamente di provvedere sull’altra questione pregiudiziale che avrebbe dovuto invece essere trattata prioritariamente (tanto per espressa indicazione della parte, quanto alla stregua di una interpretazione sistematica degli artt. 38 e 819 ter c.p.c.) attesa la evidenziata connessione per “pregiudizialità” tra le due questioni di rito che si pongono in relazione di reciproca alternatività ed esclusione, viene a risolversi in una pronuncia affermativa della “potestas decidendi” dell’AGO, in quanto necessario presupposto logico-giuridico della applicazione del criterio di individuazione della competenza territoriale tra giudici statali, pronuncia che si configura come decisione implicita di rigetto dell’altra eccezione di clausola arbitrale. Il Giudice “ad quem”, infatti, avanti il quale il giudizio è stato riassunto, non avrebbe in nessun caso potuto (ri)esaminare la eccezione di incompetenza per clausola arbitrale, attesi gli invalicabili limiti posti dall’art. 45 c.p.c. alla disputa sulle questioni di competenza, potendo essere sollevato il regolamento di ufficio esclusivamente in caso di assunta violazione del criterio della materia o del criterio cd. funzionale, rimanendo pertanto esclusa la possibilità di contestare la incompetenza per arbitrato rituale. Con la ulteriore conseguenza che la parte convenuta, che si è vista rigettare la eccezione pregiudiziale in rito formulata in via principale ed accogliere quella proposta soltanto in via gradata – subordinata, intendendo contestare il provvedimento declinatorio – non solo della competenza territoriale ma anche – della competenza arbitrale, era tenuta ad impugnarlo esclusivamente attraverso il regolamento necessario di competenza ex art. 42 c.p.c..

Il regolamento di competenza sottoposto all’esame del Collegio può dunque essere risolto alla stregua del seguente principio di diritto

Proposte cumulativamente dalla parte convenuta le eccezioni pregiudiziali in rito di clausola per arbitrato rituale e di incompetenza territoriale del giudice adito, e specificata la graduazione dell’esame delle due questioni nel senso sopra indicato, il giudice di merito è vincolato all’osservanza dell’ordine predetto, che trova fondamento tanto nel potere dispositivo della parte, libera di regolare le scelte processuali secondo i propri interessi, quanto nel criterio di progressione logico-giuridica dell’esame delle questioni in rito che è dato ricavare – relativamente alle questioni di competenza – alla stregua di una interpretazione dell’art. 38 c.p.c., commi 1 e 3 e art. 819 ter c.p.c., comma 1, costituzionalmente orientata alla attuazione del principio costituzionale del “giusto processo” ex art. 111 Cost., nella duplice articolazione della economia dei mezzi processuali e della ragionevole durata del processo, nonchè del principio di effettività della tutela giurisdizionale ex art. 24 Cost., quale diritto delle parti di pervenire in un tempo adeguato ad una definitiva decisione sul merito della controversia.

Ne consegue che il giudice di merito, non ha il potere di alterare la sequenza logica di esame delle questioni di rito, per cui qualora ritenga di non pronunciare sulla eccezione di clausola arbitrale – omettendo di verificare in via prioritaria se sussista o meno la competenza giurisdizionale dell’autorità giudiziaria statale – e si limiti a pronunciare, sulla eccezione subordinata di incompetenza territoriale – in tal modo affermando la potestas decidendi del giudice statale e ritenendo con decisione implicita insussistente la competenza arbitrale -, il relativo provvedimento in rito, non è contestabile ex officio dal Giudice ad quem, stante i limiti invalicabili dell’art. 45 c.p.c., ed è suscettivo di impugnazione esclusivamente attraverso il rimedio del regolamento necessario di competenza ex art. 42 c.p.c., sicchè ove la istanza di regolamento non sia proposta avverso il provvedimento declinatorio della competenza territoriale e la causa sia stata ritualmente riassunta avanti al giudice indicato come territorialmente competente, la questione relativa alla clausola arbitrale non può essere nuovamente sollevata dalla parte e rimane preclusa all’esame del giudice di merito presso il quale rimane radicata definitivamente la competenza ai sensi dell’art. 44 c.p.c.”.

Non avendo UCI Sud s.r.l. tempestivamente impugnato con l’istanza di regolamento il provvedimento del Tribunale Ordinario di Bari nella parte in cui, decidendo in rito, ha affermato la potestas judicandi del giudice statale implicitamente rigettando la eccezione di incompetenza per clausola arbitrale, la questione relativa alla clausola compromissoria non poteva essere riproposta dalla parte, nè esaminata dal Giudice del Tribunale di Trani avanti il quale la causa era stata riassunta ai sensi dell’art. 50 c.p.c., dovendo in conseguenza dichiararsi inammissibile il regolamento necessario di competenza proposto dalla ricorrente avverso la ordinanza di rigetto della eccezione di arbitrato emessa in data 15.12.2016 dal Tribunale Ordinario di Trani.

La novità della questione di diritto, consente di dichiarare interamente compensate tra le parti le spese del giudizio.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso per regolamento necessario di competenza Compensa integralmente le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2017

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