Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25250 del 09/10/2019

Cassazione civile sez. trib., 09/10/2019, (ud. 03/07/2019, dep. 09/10/2019), n.25250

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 25967/2014 R.G. proposto da:

Continental Mare S.r.l., in persona del legale rapp.te p.t., elett.te

domiciliata in Roma alla via F. Paulucci dè Calboli n. 9, presso lo

studio dell’avv. Piero Sandulli, unitamente all’avv. Massimo

Basilavecchia da cui è rapp.ta e difesa come da procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Ischia, in persona del Sindaco p.t., elett.te domiciliato

in Roma, al Lungotevere dei Millini n. 17, presso lo studio

dell’avv. Giuseppe Vitolo, che lo rappresenta e difende come da

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2631/50/14 della Commissione Tributaria

Regionale della Campania, depositata il 17/3/2014, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 3

luglio 2019 dalla Dott.ssa D’ORIANO Milena;

udito per la ricorrente l’avv. Basilavecchia Massimo che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa

Tassone Kate, che ha concluso per l’accoglimento del quarto e quinto

motivo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 2631/50/14, depositata il 17 marzo 2014, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Campania, rigettava l’appello proposto dalla Continental Mare s.r.l. avverso la sentenza n. 755/19/12 della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, con compensazione delle spese di lite.

Il giudice di appello rilevava:

a) che il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento, relativo al pagamento dell’ICI per l’anno 2003, emesso dal Comune di Ischia in riferimento ad un complesso alberghiero termale di categoria D/2, con cui veniva contestato l’insufficiente versamento dell’imposta, liquidata in Euro 42.450,00 in luogo di quella versata pari ad Euro 16.577,74, di cui la contribuente aveva chiesto l’annullamento lamentando un difetto di motivazione dell’atto, l’inapplicabilità delle sanzioni la L. n. 212 del 2000, ex art. 10 e rilevando che con altra decisione della CTP di Napoli era stata confermata la rendita dichiarata in luogo di quella accertata.

b) che la Commissione di primo grado aveva accolto parzialmente il ricorso limitatamente alle sanzioni, ritenendo l’atto adeguatamente motivato ed applicabile alla fattispecie la L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 41, in presenza di una rendita catastale attribuita a seguito di procedura di condono.

Tanto premesso, la CTR aveva rigettato il gravame rilevando che, avendo la parte presentato la dichiarazione DPCFA nel 2005, a seguito di una richiesta di sanatoria edilizia del 10-12-2004, correttamente l’imposta era stata liquidata a decorrere dall’I. gennaio 2003, in applicazione la L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 41, sulla base della rendita attribuita all’esito della regolarizzazione.

2. Avverso la sentenza di appello, la Continental Mare s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, consegnato per la notifica in data 30 ottobre 2014, affidato a cinque motivi; il Comune di Ischia ha resistito con controricorso. La contribuente ha poi depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, la Continental Mare s.r.l. censura la sentenza impugnata, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per l’omessa pronuncia sul vizio di motivazione dell’atto nonchè sulla sua indebita integrazione in sede processuale, ove per la prima volta, con atto di controdeduzioni tardivo, era stato specificato che l’attribuzione della nuova rendita era collegata all’istanza di regolarizzazione edilizia, vizi ritenuti erroneamente assorbiti benchè riproposti in appello;

2. con il secondo motivo, subordinato al primo, denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, in combinato disposto con il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23, in relazione all’art. 112 c.p.c. ed all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver posto a fondamento della decisione circostanze addotte solo in sede processuale non presenti nella motivazione originaria;

3. con il terzo motivo, subordinato ai primi due, lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 41, nonchè del D.M. n. 701 del 1994, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver ritenuto l’applicabilità della norma pur in presenza di un immobile già sottoposto a tassazione, e non totalmente abusivo, rispetto al quale era stata presentata una richiesta di regolarizzazione edilizia del tutto marginale, sicchè in applicazione della normativa generale la nuova rendita non poteva che avere efficacia dal 2006, anno successivo alla sua attribuzione;

4. con il quarto motivo deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per l’omessa pronuncia sulla richiesta di sospensione del processo per pregiudizialità della lite concernente l’accertamento catastale, al momento pendente in sede di legittimità, la cui definizione costituisce il presupposto logico del presente giudizio, avendo ad oggetto un presupposto di fatto necessario per la determinazione della pretesa tributaria;

5. con il quinto motivo, subordinato al quarto, denuncia violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39 ed dell’art. 295 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non aver disposto la sospensione del giudizio in attesa della definizione della questione pregiudiziale sulla rendita catastale.

6. Il primo ed il secondo motivo, da trattarsi congiuntamente, in quanto entrambi relativi al difetto di motivazione dell’atto impugnato, risultano inammissibili per difetto di specificità.

6.1 Nel giudizio tributario, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso ne riporti testualmente i passi che si assumono erroneamente interpretati o preterrnessi, al fine di consentirne la verifica esclusivamente in base al ricorso medesimo, essendo il predetto avviso non un atto processuale, bensì amministrativo, la cui legittimità è necessariamente integrata dalla motivazione dei presupposti di fatto e dalle ragioni giuridiche poste a suo fondamento.(vedi Cass. n. 9536 del 2013 e n. 16147 del 2017).

In contrasto con il suddetto principio, negli stralci del ricorso introduttivo e dell’atto di appello riportati nel ricorso per cassazione non risulta indicato il testo dell’avviso impugnato; analogamente nel ricorso per cassazione il motivo è stato riproposto senza riportare il contenuto dell’atto, rendendo così impossibile la verifica dell’assolvimento dell’obbligo di motivazione ed anche se effettivamente è stata posta in essere la dedotta integrazione tardiva della parte motiva in sede processuale.

7. Il terzo motivo risulta infondato.

7.1 La contribuente sostiene l’inapplicabilità della retrodatazione prevista dalla L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 41, sul presupposto di aver presentato una richiesta di condono edilizio per opere abusive marginali, rispetto ad un immobile non ancora iscritto al catasto, ma già sottoposto a tassazione ai fini ICI, secondo i criteri di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3.

Tale assunto non merita di essere condiviso in quanto la norma suindicata detta un regime speciale che va applicato, in presenza di immobili oggetto di condono edilizio, senza alcuna differenziazione in ordine alla minore o maggiore gravità, entità od estensione dell’illecito edilizio, nè tanto meno in riferimento alla presenza o meno di una precedente iscrizione al catasto.

Secondo tale peculiare disciplina, derogatoria rispetto a quella generale secondo cui la rendita opera a decorrere dall’anno successivo a quello dell’annotazione negli atti catastali, l’imposta comunale sugli immobili di cui al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, è dovuta, in ogni caso, con decorrenza retroattiva dal 10 gennaio 2003, sulla base della rendita catastale attribuita a seguito della procedura di regolarizzazione, sempre che la data di ultimazione dei lavori o quella in cui il fabbricato è comunque utilizzato sia antecedente.

Tale disposizione opera per tutti i fabbricati che siano stati oggetto della regolarizzazione degli illeciti edilizi di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 32, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, avendo la norma la chiara finalità di non premiare ulteriormente chi ha già usufruito della sanatoria degli abusi edilizi, avvantaggiandosi anche del tempo necessario al completamento della procedura.

7.2. Nella specie la contribuente non ha mai contestato di aver presentato una istanza di regolarizzazione il D.L. n. 350 del 2003, ex art. 32, per cui tale disposizione risulta correttamente applicata dall’ente comunale.

8. Il quarto e quinto motivo, da trattarsi congiuntamente per connessione, meritano invece accoglimento.

Il Comune di Ischia ha proceduto alla liquidazione dell’imposta ICI sulla base del classamento attribuito dall’Agenzia del Territorio, che ha assegnato all’immobile oggetto di causa una rendita maggiore di quella dichiarata dalla contribuente in sede di procedura DOCFA.

Sia nel primo che nel secondo grado la contribuente ha dedotto la pendenza di un giudizio con l’Agenzia del Territorio in merito alla rendita attribuita dall’ufficio; tale giudizio, recante n. 25898/2016, è stato trattato in questa sede di legittimità alla stessa udienza e deciso con la cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla CTR, in diversa composizione, per una nuova valutazione del merito dell’accertamento in relazione ai motivi accolti.

8.1 A questo punto si pone il problema dei rapporti tra questi due giudizi.

Tra la controversia che oppone il contribuente all’Agenzia del territorio in ordine all’impugnazione della rendita catastale attribuita ad un immobile e la controversia, che oppone lo stesso contribuente al Comune, avente ad oggetto l’impugnazione della liquidazione dell’ICI gravante sull’immobile cui sia stata attribuita la rendita contestata sussiste indubbiamente un rapporto di pregiudizialità in senso tecnico-giuridico che impone la sospensione del secondo giudizio, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., fino alla definizione del primo con autorità di giudicato, in quanto la decisione sulla determinazione della rendita si riflette necessariamente, condizionandola, sulla decisione sulla liquidazione dell’imposta (cfr. Cass. n. 421 del 2014; n. 25678 del 2008; n. 9203 del 2007; n. 13082 e n. 26380 del 2006).

Il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 39, che limita i casi di sospensione del giudizio tributario all’eventualità sia presentata querela di falso o debba essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle persone, va interpretato infatti nel senso che esso disciplina i rapporti esterni con la giurisdizione civile, ma non anche i rapporti interni tra processi tributari, per i quali valgono le disposizioni del c.p.c., tra cui l’art. 295 c.p.c. (Vedi Cass. n. 17937 del 2004 e n. 3420 del 2005).

Dunque, se è vero che l’avviso di liquidazione può essere impugnato per vizi propri (dal momento che le questioni di merito e di valutazione devono essere fatte valere con l’impugnazione dei provvedimento di attribuzione della rendita ritualmente notificato), è altrettanto vero che quando però un giudizio sull’attribuzione della rendita esiste già ed è ancora pendente, o si riuniscono i due giudizi (se ciò è possibile), oppure diventa doveroso attendere, prima di decidere sul problema della liquidazione dell’imposta (che sono sempre consequenziali), che il giudizio relativo all’attribuzione della rendita, che è pregiudiziale, venga definito con un giudicato” posto che “una terza soluzione non è praticabile proprio per non vanificare le esigenze sottese alla disciplina prevista dall’art. 295 c.p.c., che contiene principi generali sicuramente applicabili”.

Indubbiamente il rilievo costituzionale del principio della ragionevole durata del processo può giustificare il fatto che sia cresciuto il disfavore del legislatore per l’istituto della sospensione per pregiudizialità; tuttavia l’effettività della tutela giurisdizionale non può risolversi esclusivamente nella celerità del giudizio, ma richiede l’operatività di strumenti processuali capaci di garantire la realizzazione di una omogenea disciplina sostanziale dei rapporti giuridici: e uno di questi strumenti è la “sospensione necessaria” prevista dall’art. 295 c.p.c., nelle ipotesi preordinate ad una armonizzazione dei giudicati intesa ad evitare l’emanazione di decisioni ingiuste e, quindi, la concretizzazione di situazioni non coerenti con il principio del giusto processo.

8.2 Nè ai fini all’operatività della sospensione ex art. 295 c.p.c., è necessario che i due giudizi legati dal rapporto di pregiudizialità si svolgano tra le stesse parti.

Se condizione necessaria e sufficiente perchè operi l’istituto della sospensione necessaria è l’esistenza di una “relazione tra rapporti giuridici sostanziali distinti ed autonomi, uno dei quali (pregiudiziale) integra la fattispecie dell’altro (dipendente), in modo tale che la decisione sul primo rapporto si riflette necessariamente, condizionandola, sulla decisione del secondo”(vedi Sez. U n. 14060 del 2004), non si può negare la sospensione qualora il giudizio “dipendente” si svolga tra soggetti (parzialmente) diversi da quelli tra i quali si svolge il giudizio “pregiudiziale”. Se, infatti, è vero che nell’ipotesi di identità di parti il giudicato formatosi in ordine alla pronuncia sul rapporto pregiudiziale fa stato in modo vincolante rispetto alla pronuncia sul rapporto dipendente, non si giustifica che quel giudicato sia sempre inoperante quando i processi si svolgano tra parti (parzialmente) diverse: per restare al caso che qui si discute, nel quale sussiste questa parziale differenza delle parti coinvolte nei diversi giudizi, si tratterà di stabilire preventivamente, sulla base delle regole sui limiti soggettivi di efficacia del giudicato, se la sentenza che sarà pronunciata nel giudizio “pregiudiziale” tra il contribuente e l’Agenzia del Territorio farà stato anche nei confronti del Comune e, quindi, nel giudizio relativo al rapporto dipendente che si svolge tra l’ente locale ed il medesimo contribuente. Se la risposta a tale quesito è positivo come nel caso di specie per il vincolo esistente tra base imponibile dell’imposta liquidata dal Comune e rendita catastale attribuita dall’Agenzia del Territorio – allora la sospensione opera.

8.3 Del resto è stato più volte ribadito che la sospensione necessaria di cui all’art. 295 c.p.c. è applicabile anche in ordine ai rapporti tra processi tributari quando risultino pendenti procedimenti legati tra loro da un rapporto di pregiudizialità tale che la definizione dell’uno costituisce indispensabile presupposto logico-giuridico dell’altro, nel senso che l’accertamento dell’antecedente venga postulato con effetto di giudicato, in modo che possa astrattamente configurarsi l’ipotesi di conflitto di giudicato. (Vedi Cass. n. 16210 del 2018; n. 21765 del 2017; n. 4485 del 2016; n. 16615, n. 22673 e n. 25468 del 2015; n. 8053, n. 10501 e n. 23323 del 2014; n. 12520 del 2013; n. 2396 e n. 1865 del 2012; n. 18540 del 2010).

8.4 Indubbiamente sussiste altro orientamento secondo cui quando tra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato può essere disposta soltanto ai sensi dell’art. 337 c.p.c., comma 2, sicchè, ove il giudice abbia provveduto ex art. 295 c.p.c., il relativo provvedimento è illegittimo e deve essere, dunque, annullato, ferma restando la possibilità, da parte del giudice di merito dinanzi al quale il giudizio andrà riassunto, di un nuovo e motivato provvedimento di sospensione in base al menzionato art. 337 c.p.c., comma 2, (Vedi tra le tante Cass. n. 80 del 2019; n. 17936 del 2018; n. 26251 del 2017; n. 13823 del 2016; n. 798 e n. 17473 del 2015; n. 10027 e n. 21348 del 2012).

In passato per il giudizio tributario sussisteva contrasto sull’applicabilità dell’art. 337 c.p.c., comma 2, stante il disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 49, che, nell’operare un rinvio, quanto alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie, alle disposizioni del titolo III, Capo I, libro II c.p.c., salvo quanto disposto dal decreto stesso, escludeva l’operatività dell’art. 337 c.p.c.; secondo alcuni, infatti, la deroga all’operatività nel processo tributario riguardava il solo art. 337 c.p.c., comma 1 e non anche il comma 2 (contenente la disciplina dell’efficacia, nel giudizio pregiudicato, del precedente, non definitivo, intervenuto, nel giudizio pregiudicante).

In particolare per Cass. n. 11441 del 2016 e n. 26429 del 2018 “Ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 49, nella formulazione anteriore al D.Lgs. n. 156 del 2015, applicabile “ratione temporis”, nel processo tributario non opera la sospensione ex art. 337 c.p.c., sicchè il giudizio pregiudicato, in caso di decisione non ancora passata in giudicato della causa pregiudiziale, è suscettibile di sospensione ex art. 295 c.p.c., restando ammissibile, avverso la relativa ordinanza, regolamento di competenza ai sensi del combinato disposto di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1 e art. 42 c.p.c.”.

Di contro per Cass. n. 17613 del 2016 “In tema di contenzioso tributario, secondo la disciplina vigente “ratione temporis”, anteriormente al 1 gennaio 2016 ed alle modifiche di cui al D.Lgs. n. 156 del 2015, la sospensione necessaria del processo civile di cui all’art. 295 c.p.c., non è applicabile allorchè la ipotetica causa pregiudicante penda in grado di appello potendo in tal caso trovare applicazione solo l’art. 337 c.p.c., comma 2, in forza del quale il giudice ha facoltà di sospendere il processo ove una delle parti invochi l’autorità di una sentenza a sè favorevole e non ancora definitiva”.

Tale contrasto ha trovato tuttavia soluzione normativa dopo il 1 gennaio 2016, data di entrata in vigore del testo novellato del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 49, ove è stato soppresso l’inciso “escluso l’art. 337” (c.p.c.) e quindi eliminata l’inclusione dell’art. 337 tra le disposizioni c.p.c., non applicabili al processo tributario, per cui è stato affermato che “In tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 49, secondo la formulazione vigente “ratione temporis”, successiva alle modifiche di cui al D.Lgs. n. 156 del 2015, art. 9, comma 1, lett. u)) allorchè l’ipotetica causa pregiudicante penda in grado di appello trova applicazione l’art. 337 c.p.c., comma 2, in forza del quale il giudice ha facoltà di sospendere il processo ove una delle parti invochi l’autorità di una sentenza a sè favorevole e non ancora definitiva.(vedi Cass. n. 23480 del 2017).

Nella specie, va tuttavia esclusa l’applicabilità dell’art. 337 c.p.c., comma 2, in quanto non solo la parte contribuente non aveva invocato l’autorità dell’altra sentenza, di cui anzi aveva proceduto all’impugnazione, ma soprattutto perchè tale pronuncia risulta allo stato cassata con rinvio alla CTR, in, diversa composizione, per un nuovo esame.

9. Per le suesposte considerazioni, fondati il quarto e quinto motivo, va ritenuto che il giudice di merito avrebbe dovuto sospendere ai sensi dell’art. 295 c.p.c., il giudizio relativo alla liquidazione dell’imposta ICI di cui era stato investito, in attesa della definizione del giudizio sulla determinazione della rendita catastale, e decidere solo all’esito, sulla base della rendita definitivamente accertata.

In relazione ai motivi accolti, la sentenza impugnata deve essere pertanto cassata, con rinvio della causa ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania che provvederà ad un nuovo esame, anche in ordine alle spese della presente fase del giudizio.

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibili i primi due motivi, rigetta il terzo, accoglie il quarto e quinto, cassa la sentenza gravata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, che, sospeso il presente giudizio fino alla formazione del giudicato sull’impugnativa dell’avviso di classamento, provvederà all’esito, regolando anche le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 3 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2019

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