Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25247 del 25/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 25/10/2017, (ud. 11/04/2017, dep.25/10/2017),  n. 25247Vedi massime correlate

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 78-2016 proposto da:

S.M.B., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FABIO MASSIMO 33, presso lo studio dell’avvocato FRANCA FAIOLA,

rappresentata e difesa dall’avvocato MARIO STEFANIZZI;

– ricorrente –

contro

COMUNE GALATINA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1946/2015 del TRIBUNALE di LECCE, depositata

il 16/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 11/04/2017 dal Consigliere Dott. ULIANA ARMANO.

Fatto

FATTI DEL PROCESSO

S.M.B. propone ricorso avverso la sentenza del Tribunale di Lecce del 16-4-2015 che, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda da lei proposta per ottenere il risarcimento del danno subito per una caduta a causa di un avvallamento del manto stradale.

Non presenta difese il Comune di Galatina.

Il ricorso è stato trattato nella camera di consiglio non partecipata della sesta sezione civile a seguito di proposta di manifesta infondatezza del ricorso.

Il collegio invita a redigere una motivazione semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione dell’art. 2051 c.c. nonchè illogica apodittica e omessa motivazione su punti decisivi della controversia, avendo il Tribunale erroneamente ritenuto che al caso di specie non potesse applicarsi il disposto di cui all’art. 2051 c.c..

2.Con il secondo motivo si denunzia violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla presunzione di colpa di cui all’art. 2051 c.c. e dell’onere probatorio del custode, anche ai sensi dell’art. 2697 c.c., comma 2 nonchè dell’obbligo del giudice di sentenziare ai sensi dell’art. 115 c.p.c. iusta alligata et probata.

3.I due motivi si esaminano congiuntamente per la stretta connessione logico giuridica che li lega e sono infondati.

La Corte di merito ha fatto corretta applicazione dell’art. 2051 c.c. ed ha escluso che la lieve asperità della strada, teatro della caduta, poteva costituire un’anomalia sufficiente da configurare da un lato il nesso causale tra cose in custodia e caduta e dall’altro un’insidia ascrivibile a colpa del comune, e che il fatto dannoso era da ascriversi alla grave negligenza della conduttrice del ciclomotore Malagutti, a bordo del quale si trovava la S., che aveva omesso di usare la minima attenzione al fine di non imbattersi nell’evitabilissimo dissesto stradale, per cui il nesso causale tra cosa e danno poteva essere escluso alla luce della grave colpa della medesima danneggiata da ritenersi unico fattore eziologico determinante.

Con tale motivazione la Corte di merito ha accertato il superamento della presunzione di responsabilità che grava a carico del custode e la esclusiva efficienza causale della condotta del terzo.

4.Tale accertamento in fatto non è più rivalutabile in sede di legittimità applicandosi al giudizio la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 alla luce del quale è rilevante in sede di legittimità solo l’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione fra le parti. La formulazione della censura non corrisponde al modello legale di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 in quanto non è individuato il fatto decisivo di cui è stata omessa la valutazione e, di contro, la motivazione esamina tutte le circostanze della vicenda in oggetto.

5.Non è pertinente nè il richiamo all’art. 115 cod. proc. civ. nè quello all’art. 2697 cod. civ.. Il primo, infatti, rileva, sotto il profilo del vizio di violazione di legge, soltanto quando il giudice dia ingresso a prove non fornite dalle parti od erri sulla nozione di fatto notorio o sulla configurabilità o meno di una prova legale; per ogni altro aspetto, l’omessa valutazione delle prove proposte dalla parti o dei fatti non contestati ovvero il cattivo uso del “prudente apprezzamento” rilevano soltanto quali vizi di motivazione (cfr., tra le altre, Cass. n. 14267/06), deducibili in Cassazione nei limiti posti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nei testi via via vigenti ratione temporis). L’art. 2697 cod. civ. è violato soltanto quando il giudice sbagli nell’attribuzione dell’onere probatorio, attribuendolo ad una parte diversa da quella che ne sarebbe gravata ai sensi della stessa norma, non anche quando si assuma che abbia erroneamente valutato le risultanze istruttorie, essendo questo vizio della sentenza rilevante soltanto ai sensi dell’appena menzionato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. già Cass. n. 2707/04, nonchè Cass. n. 15107/13).

Nella specie il giudice non ha dato ingresso a prove diverse da quelle proposte dalle parti noi ha invertito l’onere della prova.

6.Con il terzo motivo si censura violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione alla mancata declaratoria di nullità ed improcedibilità dell’appello,relativamente alla domanda di ripetizione delle spese di lite liquidate al procuratore distrattario ai sensi dell’art. 92 c.p.c., degli artt. 342,101 e 102c.p.c.. Sostiene la ricorrente che il procuratore distrattario è parte rispetto alla pronuncia con la quale gli sono state attribuite le spese e che di conseguenza, per validamente proporre la domanda di ripetizione delle spese di lite liquidate con distrazione, l’impugnazione deve proporsi anche nei confronti del medesimo.

7. Il motivo è infondato alla luce della seguente giurisprudenza: l’istanza di distrazione delle spese processuali consiste nel sollecitare l’esercizio del potere/dovere del giudice di sostituire un soggetto (il difensore) ad altro (la parte) nella legittimazione a ricevere dal soccombente il pagamento delle spese processuali e non introduce, dunque, una nuova domanda nel giudizio, perchè non ha fondamento in un rapporto di diritto sostanziale connesso a quello da cui trae origine la domanda principale; ne consegue da un lato che non sono applicabili le norme processuali sui rapporti dipendenti e che l’impugnazione della sentenza non deve essere rivolta anche contro il difensore distrattario, benchè il capo della sentenza reso sull’istanza di distrazione sia destinato a cadere nello stesso modo in cui cade quello sulle spese reso nell’ambito dell’unico rapporto processuale; dall’altro che il difensore distrattario subisce legittimamente gli effetti della sentenza di appello di condanna alla restituzione delle somme già percepite in esecuzione della sentenza di primo grado, benchè non evocato personalmente in giudizio. Cass. Sentenza n. 9062 del 15/04/2010Cass. N. 13736 del 2004; Cass. N. 10827 del 2007.

Nulla per le spese in assenza dell’intimato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2017

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