Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25244 del 07/12/2016


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Cassazione civile sez. VI, 07/12/2016, (ud. 19/10/2016, dep. 07/12/2016), n.25244

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. GUIDO Federico – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21687-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

C.E.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 658/39/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di ROMA SEZIONE DISTACCATA di LATINA del 18/12/2014,

depositata il 05/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIO NAPOLITANO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte,

costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., osserva quanto segue:

La CTR del Lazio – sezione staccata di Latina – con sentenza n. 658/39/15, depositata il 5 febbraio 2015, non notificata, rigettò l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Frosinone, avverso la decisione della CTP di Frosinone, che aveva accolto il ricorso proposto dal sig. C.E. avverso il provvedimento di diniego di condono ex L. n. 289 del 2002, art. 12 emesso dall’ufficio, poichè, pur avendo il contribuente aderito al condono nel 2003, il condono non si era perfezionato in assenza dell’integrale versamento delle somme dovute.

Avverso detta sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo.

L’intimato non ha svolto difese.

Con l’unico motivo, l’Amministrazione denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 12, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, osservando come, – pur avendo la stessa pronuncia impugnata dato atto che il contribuente, dopo aver aderito nel 2003 al condono di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 12 per ruoli afferenti ad imposte e tasse non versate per gli anni 1993 e 1994, non aveva poi versato l’intero importo dovuto – erroneamente abbia poi ritenuto ugualmente perfezionato il condono medesimo.

Il motivo è manifestamente fondato, essendosi posta la pronuncia impugnata in contrasto con il consolidato indirizzo espresso da questa Corte, secondo cui “in tema di condono fiscale, la L. n. 289 del 2002, art. 12, applicabile esclusivamente con riferimento a cartelle esattoriali relative ad IRPEF ed ILOR, nel disciplinare una speciale procedura per la definizione dei carichi inclusi in ruoli emessi da uffici statali e affidati ai concessionari del servigio nazionale della riscossione fino al 31 dicembre 2000, mediante il pagamento del 25% dell’importo iscritto a ruolo, oltre alle spese eventualmente sostenute dal concessionario, non prevede alcuna attestazione di regolarità del condono e del pagamento integrale dell’importo dovuto, gravando integralmente sul contribuente l’onere di provare la corrispondenza tra quanto versato e il ruolo oggetto della controversia. Ne consegue che tale forma di sanatoria costituisce una forma di condono clemenziale e non premiale come, invece deve ritenersi per le fattispecie regolate dalla L. n. 289 del 2002, artt. 7, 8, 9, 13 e 16, le quali attribuiscono al contribuente il diritto potestativo di chiedere un accertamento straordinario, da effettuarsi con regole peculiari rispetto a quello ordinario, con la conseguenza che, nell’ipotesi di cui al citato art. 12, non si determina alcuna incertezza in ordine alla determinazione del “quantum”, esattamente indicato nell’importo normativamente indicato da versarsi da parte del contribuente per definire favorevolmente la lite fiscale. L’efficacia della sanatoria, è, pertanto condizionata all’integrale pagamento dell’importo dovuto, mentre l’omesso o anche soltanto il ritardato versamento delle rate successive alla prima regolarmente pagata, escludono il verificarsi della definizione della lite pendente” (Cass. sez. 6-5, ord. 2015, n. 4151, confermativa di orientamento già più volte espresso dalle ulteriori pronunce richiamate dalla ricorrente Agenzia delle Entrate; tra le altre successive conformi si vedano ancora Cass. sez. 5, 11 agosto 2016, n. 16970; Cass. sez. 5, 13 gennaio 2016, n. 379).

Il ricorso va pertanto accolto e, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con rigetto dell’originario ricorso del contribuente.

Avuto riguardo all’andamento del processo, possono essere compensate tra le parti le spese del doppio grado di merito, restando a carico dell’intimato, secondo soccombenza, le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente.

Dichiara compensate tra le parti le spese del doppio grado di merito e condanna l’intimato alla rifusione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1500,00 per compenso, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2016

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