Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25243 del 07/12/2016


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Cassazione civile sez. VI, 07/12/2016, (ud. 19/10/2016, dep. 07/12/2016), n.25243

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21560-2015 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE DELLE

BELLE ARTI 1, presso lo studio dell’avvocato STEFANO MOSILLO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRO PIANIGIANI

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– copntroricorrente –

avverso la sentenza n. 213/35/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di FIRENZE dell’1/12/2014, depositata il 04/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIO NAPOLITANO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte,

costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., all’esito della quale parte ricorrente ha depositato memoria, osserva quanto segue:

La CTR della Toscana, con sentenza n. 213/35/15, depositata il 4 febbraio 2015, non notificata, accolse l’appello dall’Agenzia delle Entrate nei confronti del sig. B.S. avverso la sentenza della CTP di Grosseto, che aveva accolto il ricorso proposto dal contribuente avverso avviso di accertamento per Irpef ed Addizionale regionale e comunale per l’anno 2008, emesso sul presupposto dell’omessa dichiarazione di reddito d’impresa, derivante dalla detenzione, quale socio accomandante, della partecipazione societaria per la quota del 55% della società C.N. & C. S.a.s.

La CTR, nel riformare la pronuncia di primo grado, ritenne sostanzialmente inopponibile all’Amministrazione finanziaria il giudicato di cui alla sentenza del Tribunale di Grosseto n. 851 del 4 novembre 2012 intervenuto nella controversia civile tra il B. ed Il C.N., che aveva accertato che ” B.S. non è socio della società C.N. & C, s. a. s. e che perciò non ha diritto agli utili di tale società”. Ciò sulla base di controdichiarazione (non è contestato che essa sia stata resa in pari data alla costituzione della società, quantunque, presumibilmente per un refuso, nella sentenza della CTR la data della controdichiarazione sia indicata “21/09/1991”, mentre quella della costituzione della società è quella, così riportata, del 21/09/1999) sottoscritta dal B., che la quota da lui sottoscritta era di piena proprietà del C..

Avverso la pronuncia della CTR il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, al quale l’Amministrazione finanziaria resiste con controricorso.

Con il primo motivo, il contribuente denuncia violazione e falsa applicazione (“disapplicazione”) dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la decisione impugnata ha escluso che potesse acquisire efficacia di giudicato esterno, rilevante nel processo in oggetto, la succitata sentenza civile resa in diverso giudizio dal Tribunale di Grosseto nella controversia tra coloro che dall’atto costitutivo risultavano essere soci dell’anzidetta società di persone.

Il motivo è privo di fondamento.

Non è in dubbio che la sentenza invocata sia stata resa in giudizio civile al quale è rimasta estranea l’Amministrazione finanziaria.

Ciò in primo luogo porta ad escludere che possa essere invocata nel presente giudizio l’autorità della succitata pronuncia quale giudicato esterno favorevole al contribuente, atteso che dal principio stabilito dall’art. 2909 c.c., secondo cui l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa, si evince, a contrario, che l’accertamento contenuto nella sentenza non estende i suoi effetti e non è vincolante rispetto ai terzi (cfr., tra le molte, Cass. sez. 5, 18 febbraio 2015, n. 3187; Cass. sez. 5, 13 gennaio 2011, n. 691; Cass. sez. 2, 27 marzo 2007, n. 7523).

A ciò va aggiunto che se è pur vero che il giudicato, quale affermazione obiettiva di verità, è in grado di esplicare efficacia riflessa anche nei confronti di soggetti estranei al rapporto processuale, tuttavia il prodursi di detta efficacia riflessa è impedita quando il terzo sia titolare di un rapporto autonomo ed indipendente rispetto a quello in ordine al quale il giudicato interviene, non essendo ammissibile nè che egli ne possa ricevere un pregiudizio giuridico, nè che se ne possa avvalere a fondamento della sua pretesa, salvo che tale previsione sia stabilita espressamente dalla legge, come nella disciplina dell’art. 1306 c.c., comma 2, in tema di obbligazioni solidali (cfr., oltre alla citata Cass. n. 691/11, tra le altre, più di recente, Cass. sez. 1, 2 dicembre 2015, n. 24558).

Invero la stessa parte ricorrente espone detti principi, che tuttavia, nel suo argomentare, non troverebbero nella fattispecie applicazione perchè l’accertamento compiuto con efficacia di giudicato in punto d’insussistenza della qualità di socio in capo ad esso ricorrente avrebbe natura pregiudiziale quanto all’esclusione della stessa sussistenza del presupposto impositivo.

Sennonchè, tale affermazione postula che, affinchè possa dirsi che l’invocato giudicato esterno si sostanzi in affermazione obiettiva di verità, occorre che esso non possa ammettere un diverso accertamento (cfr. Cass. sez. 6-2, ord. 8 ottobre 2013, n. 22908; Cass. sez. 2, 15 marzo 2010, n. 6238).

Ciò è senz’altro da escludere nel caso di specie, in cui la statuizione resa dal giudice civile nella controversia tra coloro i quali risultavano dall’atto costitutivo essere soci è frutto di un accordo simulatorio tra le parti del contratto di società, ritenuto comprovato dal giudice civile in forza di scrittura privata (c.d. controdichiarazione) sottoscritta dal B. che affermava la piena proprietà delle quote in capo al C..

Del tutto pertinente è, quindi, il richiamo nella difesa erariale al principio espresso da questa Corte nella pronuncia Cass. sez. 5, 30 maggio 2002, n. 7938, con riferimento all’inopponibilità di giudicato civile intervenuto in controversia alla quale era rimasta estranea l’Amministrazione finanziaria. Detta pronuncia metteva in rilievo il carattere dispositivo del processo civile in relazione al quale è anche possibile che “eventuali collisioni delle parti” (…) “o la semplice inerzia di una di esse, possano danneggiare gli interessi dell’Amministrazione”. Da tale affermazione occorre muovere anche nella disamina del secondo motivo, col quale il ricorrente denuncia omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ovvero difetto di motivazione in relazione alla formulazione previgente “al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 in relazione all’art. 116 c.p.c.”, per non avere la pronuncia impugnata tenuto adeguatamente conto delle ragioni, esposte dal contribuente nelle proprie controdeduzioni in appello e riportate in controricorso, che nella fattispecie in esame dovevano condurre ad escludere che potesse essere ipotizzata qualsivoglia collusione tra le parti.

Detto motivo è inammissibile, in primo luogo nella sua seconda parte, atteso che nella fattispecie in esame, relativa a sentenza della CTR depositata il 4 febbraio 2015, trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella sua formulazione attualmente vigente.

Lo è comunque anche nella prima parte, nella quale sostanzialmente il contribuente si duole del fatto che ogni possibile collusione doveva escludersi in radice, essendo l’oggetto della propria domanda volto al riconoscimento della qualità di socio, donde alcun pregiudizio sarebbe potuto derivare per le ragioni poste a base dell’accertamento tributario. In realtà la ragione dell’inopponibilità all’Amministrazione della suddetta pronuncia resa dal Tribunale di Grosseto riposa sul fatto che l’esclusione della qualità di socio del B. è frutto di accordo simulatorio riconosciuto valido e cogente tra le parti, ma che, in ragione del disposto degli artt. 1415 e 1416 c.c., non è opponibile ai terzi acquirenti in buona fede (per un’estensione, anzi, d’inopponibilità tout court della pretesa simulazione del rapporto societario di un socio illimitatamente responsabile alla massa dei creditori in caso di fallimento di società di persone, cfr. Cass. sez. 1, 24 novembre 1998, n. 11912).

Nessun ulteriore più approfondito accertamento di fatto può, dunque, essere invocato dal contribuente.

Il collegio condivide le osservazioni di cui sopra esposte nella relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c., che non sono incise in modo persuasivo dalla memoria depositata in atti da parte ricorrente. Ad esse va solo aggiunto che non si pone in questa sede un problema di litisconsorzio, atteso che la causa petendi addotta a sostegno dell’impugnazione dell’avviso di accertamento notificato al B. è proprio la dedotta insussistenza della qualità di socio in forza dell’invocato giudicato esterno, dunque, di una specifica qualità personale del contribuente; peraltro, in difetto di autosufficienza, nulla è detto in ricorso in punto di eventuale impugnazione dell’avviso di accertamento notificato alla società ed al socio C..

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4100,00 per compenso, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2016

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