Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25242 del 08/11/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 25242 Anno 2013
Presidente: ROVELLI LUIGI ANTONIO
Relatore: SAN GIORGIO MARIA ROSARIA

SENTENZA

sul ricorso 14596-2012 proposto da:
TURCHI

CINZIA

TROCNZ71A69D704C,

TURCHI

CLARA

TRCCLR37E60F104Z, TURCHI UGO MARIO TRCGMR39B04H307D,
BERGAMINI JOHNNY BRGJNN82B14D704E, TURCHI FIORELLA
TRCFLL57E67D704H, TURCHI ROSALBA TRCRLB73C59D7041, DE
BELLIS BARBARA DBLBBR69S69C933W, DE BELLIS ILARIA
2013
1121

DBLLRI73M69C933H, LOBASCIO ROSINA LBSRSN47D70G793Z,
A-9520gt CNSMR066D41D704V,
CANESTRINI 44&selft
TRCNNA47C53H307D,

TURCHI ANNA

GRILLI DENISE GRLDNS77D51D704M,

TURCHI OTTAVIO TRCTTV53R04H307Y, DOGARI ANTONELLA
DGRNNL61C51704Q, TURCHI PIERINA TRCPRN51C70H307A,

Data pubblicazione: 08/11/2013

GRILLI

EMANUELE GRLMNL71L10D704C,

TURCHI NELLO

TRCNLL44S02H307V, elettivamente domiciliati in ROMA,
PIAZZA DEI GERANI 6, presso lo studio dell’avvocato
DIEGO MARRA, rappresentati e difesi dagli avvocati
ZAULI CARLO > ZAULT MENOTTO;

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e
difende;
– resistente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ANCONA,
depositatG)il 30/01/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/04/2013 dal Consigliere Dott. MARIA
ROSARIA SAN GIORGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

– ricorrenti –

Svolgimento del processo
Ottavio, Pierina, Anna, Ugo Mario, Nello, Clara e Fiorello
Turchi, Rosina Lo Bascio, Cinzia e Rosalba Turchi, Moira
Canestrini, Antonella Dogari, Johnny Bergamini, Barbara e Ilaria
De Bellis, Denise ed Emanuele Grilli hanno impugnato per

memoria nei confronti del Ministero della giustizia, il
decreto, depositato in data 30 gennaio 2012, con il quale la Corte
d’appello di Ancona, pronunciando sui ricorsi degli stessi, poi
riuniti, volti ad ottenere l’equa riparazione dei danni non
patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, coma
l, in contumacia del Ministero della giustizia, aveva condannato
quest’ultimo al pagamento in favore dei ricorrenti dell’equa
riparazione, oltre agli interessi dalla pronuncia al saldo,
condannandolo altresì alle spese del giudizio, previa
compensazione per la metà.
In particolare, la domanda di equa riparazione per
l’irragionevole durata del processo presupposto era fondata sui
seguenti fatti: a) gli odierni ricorrenti avevano promosso causa
di risarcimento di danni innanzi al Tribunale di Forlì con atto di
citazione del maggio 1998, conclusasi in primo grado con sentenza
del 6 settembre 2002, e in secondo grado con sentenza della Corte
d’appello di Bologna depositata il 15 dicembre 2009.
La Corte di merito, dopo aver precisato che il giudizio non
presentava profili di particolare spessore giuridico, ma di una
certa complessità fattuale in considerazione del numero delle

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cassazione – deducendo sei motivi di censura, illustrati con

parti, condannò il Ministero al pagamento in favore di ciascuno
dei ricorrenti di somme diversificate in relazione alla differente
durata del procedimento per ognuno di essi in ragione della data
della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio o
dell’intervento, sulla base di una valutazione in ordine alla

giudizio di primo grado e due per il secondo. Sulle somme,
liquidate in valori monetari attuali, era stato poi disposto il
pagamento degli interessi dalla pronuncia al saldo.
Il giudice di merito aveva, poi, compensato per un mezzo le
spese di lite (ponendole per il residuo cinquanta per cento a
carico dell’Amministrazione soccombente), in considerazione del
ridimensionamento nel quantum della domanda.
Motivi della decisione
Il Collegio, all’esito della odierna Camera di consiglio, ha
deliberato di adottare la motivazione semplificata.
Con i motivi di censura, i ricorrenti sottopongono a critica
il decreto impugnato, sostenendo che il giudice di merito: a) ha
considerato, ai fini dell’equa riparazione, il solo periodo
eccedente la ragionevole durata del processo presupposto, anziché
l’intera durata di esso (primo motivo); b) ha liquidato un
indennizzo inferiore ai parametri utilizzati dalla Corte EDU,
facendo inoltre illegittimamente decorrere gli interessi dalla
data della deliberazione del decreto, anziché da quella della
proposizione della domanda (secondo, terzo, quarto motivo); c) ha
liquidato le spese senza tenere conto delle singole posizioni dei

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durata fisiologica del processo di sei anni, di cui quattro per il

ricorrenti (quinto motivo); d) ha illegittimamente ridotto la
liquidazione delle spese rispetto alla richiesta del ricorrente,
di cui alla nota debitamente allegata (sesto motivo).
La censura sub a) è infondata.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema

termine di durata ragionevole del processo, ai sensi della L. 24
marzo 2001, n. 89, l’indennizzo non deve essere correlato alla
durata dell’intero processo, bensì solo al segmento temporale
eccedente la durata ragionevole della vicenda processuale
presupposta, che risulti in punto di fatto ingiustificato o
irragionevole, in base a quanto stabilito dall’art. 2, comma 3, di
detta legge, conformemente al principio enunciato dall’art. 111
Cost., che prevede che il giusto processo abbia comunque una
durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari,
seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza. Questo
parametro di calcolo, che non tiene conto del periodo di durata
ordinario e ragionevole, non esclude la complessiva attitudine
della L. n. 89 del 2001, a garantire un serio ristoro per la
lesione del diritto in questione, come riconosciuto dalla stessa
Corte europea nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso n,
36813/97, e non si pone, quindi, in contrasto con l’art. 6, par.
l, della Convezione europea dei diritti dell’uomo” (Sez. 1″,
Ordinanza n. 3716 del 14/02/2008, 13 gennaio 2011, n. 727). Nè
rileva il contrario orientamento della giurisprudenza della Corte
europea dei diritti dell’uomo, poiché il giudice nazionale è

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di diritto ad un’equa riparazione in caso di violazione del

tenuto ad applicare le norme dello Stato e, quindi, il disposto
dell’art. 2, comma 3, lett. a) della citata

legge;

non può,

infatti, ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dei criteri
di determinazione della riparazione della Corte europea dei
diritti dell’uomo, attraverso una disapplicazione della norma

sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, che la Convenzione europea dei
diritti dell’uomo non crea un ordinamento giuridico sopranazionale
e non produce quindi norme direttamente applicabili negli Stati
contraenti, essendo piuttosto configurabile come trattato
internazionale multilaterale, da cui derivano obblighi per gli
Stati contraenti, ma non l’incorporazione dell’ordinamento
giuridico italiano in un sistema più vasto, dai cui organi
deliberativi possano promanare norme vincolanti,

omisso medio, per

tutte le autorità interne (v., per tutte, Cass., sent. n. 9258 del
2011);
Anche le censure sub b) sono infondate.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, sussistendo
il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di
cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, si considera equo, in linea di
massima, l’indennizzo di Euro 750,00 per ciascuno dei primi
tre anni di irragionevole durata e di Euro 1.000,00 per ciascuno
dei successivi anni.
Nella specie, il giudice di merito ha fatto corretta
applicazione di tali parametri.

6

nazionale, avendo la Corte costituzionale chiarito, con le

Quanto alla questione degli interessi su detta somma, l’equa
riparazione è stata determinata dalla Corte d’appello con
liquidazione espressamente effettuata all’attualità, sicché
l’importo riconosciuto è da ritenere comprensivo degli interessi
maturati dalla domanda al momento del decreto (v. Cass., sent. n.

Infondata è altresì la censura sub c).
Questa Corte (Sez. l, 3 maggio 2010, n. 10634) ha già
affermato che, in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89
del 2001, la condotta di più soggetti che, dopo aver agito
unitariamente nel processo presupposto, in tal modo dimostrando la
carenza di interesse alla diversificazione delle rispettive
posizioni, propongano contemporaneamente distinti ricorsi per equa
riparazione, con identico patrocinio legale, dando luogo a cause
inevitabilmente destinate alla riunione, in quanto connesse per
l’oggetto ed il titolo, si configura come abuso del processo,
contrastando con l’inderogabile dovere di solidarietà, che
impedisce di far gravare sullo Stato debitore il danno derivante
dall’aumento degli oneri processuali, e con il principio

29312 del 2012).

costituzionale della ragionevole durata del processo, avuto
riguardo all’allungamento dei tempi processuali derivante dalla
proliferazione non necessaria dei procedimenti. Tale abuso impone
per quanto possibile l’eliminazione degli effetti distorsivi che
ne derivano, e quindi la valutazione dell’onere delle spese come
se il procedimento fosse stato unico fin dall’origine.
Fondata è invece la censura sub d).

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t\

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema
di liquidazione delle spese processuali, il giudice, in presenza
di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, non può
limitarsi ad una globale determinazione dei diritti di procuratore
e degli onorari di avvocato in misura inferiore a quelli esposti,

della riduzione di voci da lui operata (v., tra le altre, Cass.,
n. 7293 del 2011, n. 4404 del 2009).
Il decreto impugnato deve essere pertanto cassato in
riferimento alla liquidazione delle spese del giudizio di merito.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, questa
Corte può decidere nel merito riliquidando dette spese come da
dispositivo.
Infine, le spese del presente grado di giudizio seguono la
soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa il
decreto limitatamente alla statuizione relativa alla liquidazione
delle spese del giudizio di merito, che riliquida in complessivi
euro 1647.90, di cui euro 600,00 per diritti, 1000,00 per onorari
e 47,90 per spese. Condanna il Ministero della Giustizia al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in
complessivi Euro 505,75, oltre agli accessori come per legge. Le
spese devono essere distratte in favore dell’Avv. Carlo Zauli, che
se ne è dichiarato antistatario.

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ma ha l’onere di dare adeguata motivazione dell’eliminazione e

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Soeba

Sezione Civile, il 18 aprile 2013.

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