Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25242 del 07/12/2016


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Cassazione civile sez. VI, 07/12/2016, (ud. 19/10/2016, dep. 07/12/2016), n.25242

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16158/2015 proposto da:

COOPERATIVA AGRICOLA LATTERIE VICENTINE S.C., in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI 43, presso lo studio

dell’avvocato FRANCESCO D’AYALA VALVA, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MICHELE TIENGO, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE BRESSANVIDO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI MONTI PARIOLI 48, presso lo studio del

Prof. GIUSEPPE MARINI, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato LORIS TOSI giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2083/30/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di VENEZIA del 12/12/2014, depositata il 15/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIO NAPOLITANO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., all’esito della quale parte ricorrente ha depositato memoria, osserva quanto segue:

Con sentenza n. 2083/30/14, depositata il 15 dicembre 2014, non notificata, la CTR del Veneto (Venezia – Mestre) ha accolto l’appello proposto dal Comune di Bressanvido nei confronti della Cooperativa Agricola Latterie Vicentine S.C. (di seguito cooperativa) avverso la sentenza di primo grado della CTP di Vicenza, che aveva invece accolto il ricorso della contribuente avverso avvisi di accertamento ICI relativi agli anni dal 2008 al 2011, con i quali l’ente locale aveva contestato alla contribuente l’omesso versamento dell’imposta con riferimento ad unità immobiliare, adibita a caseificio per la raccolta e la trasformazione del latte conferito dai soci, classificato in categoria D/1, ritenuto pertanto privo del requisito di ruralità.

La sentenza della CTR, pur ritenendo che la domanda proposta dalla cooperativa in data 30.9.2011 ai sensi del D.L. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2 bis, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 106 del 2011, art. 1, comma 1, consentisse il riconoscimento del requisito della ruralità con decorrenza dal quinto anno antecedente alla proposizione della domanda, negava che nel caso di specie detta disposizione potesse trovare applicazione, in ragione del fatto che, rigettata in data 29.6.2010 dall’Agenzia del Territorio precedente domanda per l’attribuzione della categoria catastale D/10, quest’ultima poteva essere riconosciuta solo dal 20.5.2011, allorchè erano stati completati i lavori di ampliamento del fabbricato idonei a far sì che al fabbricato fosse attribuita natura rurale.

Avverso detta pronuncia la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso il Comune.

Con il primo motivo e secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2 bis, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 106 del 2011, art. 1, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: nell’ambito del primo rilevando che, prima ancora che frutto di evidente travisamento dei fatti e dei documenti prodotti nel giudizio di merito, la statuizione del giudice di merito collidesse con la specifica normativa di riferimento; quanto al secondo motivo, censurando l’impugnata pronuncia per violazione e falsa applicazione della succitata normativa per aver negato il riconoscimento della ruralità nel quinquennio anteriore alla presentazione della domanda per il solo fatto dell’ampliamento dell’immobile, senza che ne fosse mutata la destinazione.

Con il terzo motivo la ricorrente deduce infine violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, censurando la pronuncia impugnata per difetto assoluto di motivazione, non consentendo in alcun modo il generico riferimento agli “atti depositati” il riscontro del percorso logico seguito dal giudice tributario d’appello per approdare al convincimento che solo i lavori di ampliamento del caseificio avrebbero consentito allo stesso di ottenere le caratteristiche di ruralità per l’attribuzione della categoria D/10.

In primo luogo deve ritenersi infondata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso perchè volto a sollecitare alla Corte una diversa valutazione del materiale probatorio rispetto a quella resa dal giudice di merito, ciò che, come è noto, è precluso in sede di legittimità (cfr., tra le molte, Cass. sez. 5, 1 aprile 2016, n. 6348; Cass. sez. 2, 4 giugno 2014, n. 12574; Cass. sez. 2, 22 marzo 2013, n. 7330).

Quantunque nell’ambito dei primi due motivi sopra indicati siano contenute talune considerazioni che appaiono inerenti al merito della controversia, esse non pregiudicano il nucleo essenziale delle rispettive censure come sopra esposte e correttamente rubricate in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (sul discrimen tra vizio di violazione di legge e vizio di motivazione, cfr., tra le molte, Cass. sez. lav. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. sez. 5, 30 dicembre 2015, n. 26110), che, nei termini illustrati in ricorso, evidenziano un’incompleta ricognizione da parte della decisione impugnata della normativa applicabile e quindi degli effetti conseguenti alla sua stessa applicazione, indipendentemente dalla mediazione delle risultanze di fatto acquisite al processo.

Osserva ancora preliminarmente la Corte che con la memoria depositata ex art. 378 c.p.c., parte ricorrente ha dedotto la sopravvenienza, in pendenza del giudizio di legittimità, di giudicato esterno con riferimento all’annualità 2006 in forza della sentenza n. 746/16, depositata il 13 giugno 2016 e notificata il 20 giugno 2016, non impugnata nei termini, con la quale la CTR del Veneto, pronunciando quale giudice di rinvio a seguito della pronuncia intervenuta tra le stesse parti Cass. n. 13740/2015, ha affermato la sussistenza del requisito della ruralità riguardo all’unità immobiliare in ordine alla quale si controverte anche nel presente giudizio.

In particolare, nella citata sentenza della CTR del Veneto n. 746/16, munita di attestazione di passaggio in giudicato, allegata da parte ricorrente alla memoria depositata in atti, è dato, tra l’altro, leggere che “da nessun documento si rileva che il nuovo classamento è stato concesso solo a seguito di lavori di ristrutturazione, lavori che, in base alle prove fornite dalla società contribuente, sono consistiti esclusivamente in un ampliamento, senza alcuna modifica dell’attività svolta nell’immobile”, dando altresì atto il giudice tributario che “il nuovo classamento in D/10 non è stato impugnato dal Comune”, nè, a seguito della domanda proposta dalla cooperativa in data 30.9.2011 ai sensi del D.L. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2 bis, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 106 del 2011, art. 1, comma 1, “è stata posta in essere alcuna delle attività di verifica attribuite espressamente sia all’Agenzia del Territorio che al Comune dal Decreto 26 luglio 2012, art. 5”, e ricordando, infine, il giudice tributario che questa Corte “ha più volte affermato che in presenta di un classamento in D/10 non compete al giudice di merito l’accertamento della ruralità dell’immobile in questione”.

Nella succitata pronuncia è dato, quindi, riscontrare la soluzione da parte della CTR di questioni di fatto e di diritto comuni ad entrambe le cause e che costituiscono la premessa, sul piano logico – giuridico, in forza della quale l’accertamento del requisito della ruralità dello stesso fabbricato, ritenuto sussistente per l’annualità 2006, debba essere necessariamente affermato anche in relazione alle annualità successive (dal 2008 al 2011), oggetto dell’accertamento impugnato dalla contribuente nel presente giudizio, a ciò non ostando l’autonomia dei singoli periodi d’imposta, alla stregua dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 16 giugno 2006, n. 13916) e dalla successiva giurisprudenza conforme (tra le altre, più di recente, Cass. sez. 5, 1 luglio 2015, n. 13948), anche per quanto attiene alla legittimità della deduzione per la prima volta in sede di legittimità del giudicato esterno che si sia formato successivamente alla notifica del ricorso per cassazione.

In accoglimento del ricorso la sentenza impugnata va dunque cassata e, non occorrendo alcun ulteriore accertamento di fatto, stante l’applicabilità, anche all’annualità in contestazione, del succitato giudicato esterno, la causa può essere decisa nel merito con accoglimento dell’originario ricorso della cooperativa.

La sopravvenienza del giudicato esterno in sede di legittimità giustifica la compensazione delle spese di lite tra le parti quanto al doppio grado di merito, restando invece le spese del giudizio di legittimità disciplinate secondo soccombenza e liquidate come da dispositivo, previa verifica della nota spese depositata da parte ricorrente.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della contribuente.

Dichiara compensate tra le parti le spese del doppio grado di merito e condanna il controricorrente alla rifusione in favore della ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed in Euro 5500,00 per compenso, oltre rimborso spese forfettarie ed accessori, se dovuti.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2016

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