Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25239 del 09/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 09/10/2019, (ud. 08/05/2019, dep. 09/10/2019), n.25239

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10462-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

G. P. DA PALESTRINA 19, presso lo studio dell’avvocato FABIO

FRANCESCO FRANCO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario

della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI INPS – SCCI SPA,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli

avvocati GIUSEPPE MATANO, CARLA D’ALOISIO, ESTER ADA VITA SCIPLINO,

LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, ANTONINO SGROI;

– controricorrente –

e contro

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato NICOLA LONOCE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3055/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 15/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’08/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCA

SPENA.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 5- 15 dicembre 2017 n. 3055 la Corte d’Appello di Lecce confermava la sentenza del Tribunale di Brindisi, che aveva parzialmente accolto l’opposizione proposta da MADARO GIOVANNI, nei confronti di EQUITALIA SUD S.p.A., poi AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE, dell’INPS e della Società di cartolarizzazione dei Crediti INPS (in prosieguo: SCCI) spa avverso l’estratto di ruolo acquisito presso EQUITALIA, dichiarando, per quanto ancora in discussione, la prescrizione dei contributi sottesi a sette delle undici cartelle esattoriali indicate nel medesimo estratto;

che a fondamento della decisione la Corte territoriale osservava che la questione di causa riguardava il termine di prescrizione applicabile nel periodo successivo alla definitività per mancata opposizione della cartella esattoriale. L’appellante EQUITALIA assumeva essere applicabile il termine decennale di prescrizione in luogo del termine quinquennale previsto dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9 e seguenti; tale deduzione era infondata, per quanto affermato dalla Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, nell’arresto del 17 novembre 2016 numero 23397.

che avverso la sentenza ha proposto ricorso la AGENZIA DELLE ENTRATE- RISCOSSIONE, articolato in un unico motivo, cui hanno resistito con controricorso l’INPS, anche quale mandatario di SCCI spa ed M.G.;

che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti -unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che la parte ricorrente ha dedotto con l’unico motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione dell’art. 2946 c.c..

Pur nella consapevolezza del principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte nell’arresto n. 23397/2016, sotto diverso profilo ha assunto che con la trasmissione del ruolo all’Agente della riscossione si determinerebbe un effetto novativo dell’obbligazione posta in riscossione: le singole obbligazioni per contributi, sanzioni, accessori e spese – dovute a separate ragioni di credito – verrebbero inglobate in un unico credito, senza che sia possibile scorporarne le voci; con la conseguenza che la prescrizione non seguirebbe il regime originario dei crediti contributivi portati dal ruolo.

Ferma la inapplicabilità dell’art. 2953 c.c., (come enunciata da Cass., SU, sentenza n. 23397/2016), il diritto ad azionare il credito da parte dell’Agente della riscossione, in assenza di disposizioni speciali, sarebbe dunque soggetto alla generale prescrizione di cui all’art. 2946 c.c..

A riscontro della rinnovata natura della obbligazione la parte ricorrente ha indicato vari indici normativi.

Ha dedotto che una univoca indicazione nel senso dell’applicazione ai crediti esattoriali della prescrizione ordinaria si trarrebbe dal D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 20, a tenore del quale l’ente creditore, dopo il discarico dell’Agente della riscossione per inesigibilità del credito iscritto, può riaffidarlo in riscossione ove individui significativi elementi reddituali e patrimoniali riferibili ai debitori, a condizione che non sia decorso il termine di prescrizione “decennale”. La norma era applicabile alla generalità dei crediti da iscriversi a ruolo e da essa emergeva la individuazione in dieci anni del termine di prescrizione dopo l’affidamento del ruolo all’agente della riscossione. Il legislatore delle leggi esattoriali si era ispirato al criterio dell’adozione di una disciplina uniforme della riscossione a mezzo ruolo e quando aveva inteso limitare l’ambito di applicazione di talune disposizioni alle sole entrate tributarie -ovvero alle imposte sui redditi – lo aveva previsto espressamente. Gli artt. 19 e seguenti, erano tra l’altro contemplati nel capo secondo del D.Lgs. n. 112 del 1999, relativo ai principi generali dei diritti e degli obblighi del concessionario ed erano, dunque, applicabili alla generalità dei crediti da iscriversi a ruolo.

Da ultimo la Agenzia ricorrente ha osservato, secondo un criterio di ragionevolezza, che la riscossione era svolta dall’agente in modo unitario, agendo nei confronti del debitore per tutti i carichi iscritti a ruolo, cumulativamente (il credito per cui si procede, secondo il testo del citato D.P.R. n. 602, artt. 76 e 77). Di qui l’efficacia e l’economicità della azione di riscossione, che evitava la pluralità delle azioni di ciascun ente creditore; sarebbe stato irrazionale pretendere dall’agente di riscossione di frazionare la azione avendo riguardo al regime di prescrizione dei singoli crediti.

Divenuta irretrattabile la pretesa, con la notifica della cartella di pagamento, il termine di prescrizione sarebbe dunque unico, riferibile al diritto alla riscossione, come unica è l’azione affidata all’agente della riscossione.

che ritiene il Collegio si debba dichiarare il ricorso inammissibile a mente dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1;

che le censure svolte con l’unico motivo non pongono in discussione il principio, enunciato dalle sezioni Unite di questa Corte nell’arresto del 17 novembre 2016 n. 23397, secondo cui la scadenza del termine per proporre opposizione avverso la cartella esattoriale non determina la conversione del termine di prescrizione breve (nella specie quinquennale, L. n. 335 del 1995, ex art. 3, commi 9 e 10), in termine decennale, secondo il regime dell’art. 2953 c.c.; si assume, piuttosto, che lo stesso effetto derivi dalla novazione della obbligazione prodotta dalla iscrizione a ruolo, in ragione della disciplina prevista dal D.P.R. n. 602 del 1973.

L’assunto non è condivisibile.

Questa Corte si è già pronunciata in relazione ad analoghi ricorsi proposti dalla medesima Agenzia con ordinanze del 4.12.2018 n. 31352 e 6.12.2018 n. 31658 e successivamente con ordinanze numeri 6888, 10025, 10595, 10796, 10797 del 2019; il ricorso non offre elementi per la rimeditazione dei principi ivi espressi.

Non si individuano, in primo luogo, tratti di novità nella disciplina del credito iscritto a ruolo tali da far ritenere la estinzione del credito originario e la costituzione di un nuovo credito avente titolo nel ruolo.

Il legislatore individua i crediti per cui si procede come “credito” iscritto a ruolo a meri fini descrittivi, che non attestano alcun effetto giuridico.

Il preteso effetto di novazione “ex lege” dovrebbe trovare riscontro in una diretta disposizione normativa o, comunque, in una disposizione inequivoca, nella specie carente.

Le deduzioni svolte dalla parte ricorrente, in riferimento alla disciplina del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 20, comma 6, – nella parte in cui prevede il riaffidamento della riscossione del credito “a condizione che non sia decorso il termine di prescrizione decennale” – non valgono a porre in dubbio quanto già osservato in riferimento alla norma dalle Sezioni Unite di questa Corte nell’arresto n. 23397/2016.

Invero – anche a voler ammettere, come sostiene parte ricorrente, la applicabilità della procedura di discarico alla riscossione dei crediti previdenziali e la sua rilevanza anche esterna ai rapporti tra ente impositore ed agente della riscossione – resterebbe preclusivo il rilievo (cfr. sentenza citata, in motivazione, punto 19.6 e 19.7) che la norma fa riferimento al termine di prescrizione decennale, con espressione ellittica, unicamente in quanto trattasi del termine che si applica ordinariamente per la riscossione delle imposte, senza alcun possibile riferimento all’art. 2953 c.c., ed, a maggior ragione, ad un effetto novativo derivante dalla iscrizione a ruolo dei crediti (fiscali e previdenziali).

Da ultimo, l’effetto di novazione della obbligazione previdenziale non può farsi discendere dai principi di efficienza ed economicità della azione amministrativa, perchè tali principi si prestano, all’opposto, a sorreggere la ratio acceleratoria sottesa alla fissazione del termine breve di prescrizione oltre che alla generalizzazione per i crediti degli enti pubblici previdenziali del regime della riscossione mediante ruolo;

che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, il ricorso deve essere respinto con ordinanza in camera di consiglio, ex art. 375 c.p.c.;

che le spese seguono la soccombenza nei confronti dei controricorrenti INPS e M.G.;

che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater), – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte dichiara la inammissibilità del ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 2.000 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, in favore di ciascuna delle parti costitutite.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 8 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2019

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