Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25238 del 07/12/2016


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Cassazione civile sez. VI, 07/12/2016, (ud. 29/09/2016, dep. 07/12/2016), n.25238

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3837-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PASUBIO

15, presso lo studio dell’avvocato DARIO PICCIONI, rappresentato e

difeso dall’avvocato CARLOTTA MATTEI giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 118/2011 della COMMISSIONI TRIBUTARIA

REGIONALE dell’Emilia Romagna del 5/10/2011, depositata il

15/12/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/09/2016 dal Consigliere Relatore Dott. IOFRIDA Giulia.

Fatto

IN FATTO

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti di B.M. (che resiste con controricorso), avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna n. 118/08/2011, depositata in data 15/12/2011, con la quale – in controversia concernente l’impugnazione del silenzio-rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria ad istanza del contribuente (esercente l’attività di medico generico) di rimborso dell’IRAP versata negli anni dal 1999 al 2007 – è stata confermata la decisione di primo grado, che aveva accolto il ricorso del contribuente.

In particolare, i giudici d’appello, nel respingere il gravame dell’Agenzia delle Entrate, hanno sostenuto che il Collegio si doveva uniformare all’orientamento espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 12108/2009), secondo il quale ricorre il presupposto impositivo dell’Irap, l’autonoma organizzazione, soltanto quando il professionista sia “il responsabile dell’organizzazione e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse”.

A seguito di deposito di relazione ex art. 380 bis c.p.c., è stata fissata l’adunanza della Corte in camera di consiglio, con rituale comunicazione alle parti.

Diritto

IN DIRITTO

1. La ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, comma 1 e art. 3, comma 1, lett. c), non avendo i giudici della C.T.R. dato rilievo all’utilizzo di due studi medici al fine della verifica della sussistenza dell’autonoma organizzazione, presupposto impositivo dell’IRAP.

2. La prima censura è infondata.

Questa Corte ha affermato che l’IRAP coinvolge una capacita produttiva “impersonale ed aggiuntimi” rispetto a quella propria del professionista (determinata dalla sua cultura e preparazione professionale) e colpisce un reddito che contenga una parte aggiuntiva di profitto, derivante da una struttura organizzativa “esterna”, cioè da “un complesso di fattori che, per numero, importanza e valore economico, siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale sopportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al know-how del professionista (lavoro dei collaboratori e dipendenti, dal numero e grado di sofisticazione dei supporti tecnici e logistici, dalle prestazioni di terzi, da firme di finanziamento diretto ed indiretto etc.)”, cosicchè è “il surplus di attività agevolata dalla struttura organizzativa che coadiuva ed integra il professionista ad essere interessato dall’imposizione che colpisce l’incremento potenziale, o quid pluris, realizzabile rispetto alla produttività auto organizzata del solo lavoro personale” (Cass. 15754/2008).

In sostanza, a norma del combinato disposto del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, comma 1, primo periodo e art. 3, comma 1, lett. c), l’esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 49, comma 1, è escluso dall’applicazione dell’IRAP solo qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata ed il requisito della autonoma organizzazione – il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità solo se congruamente motivato – ricorre quando il contribuente, per quanto qui interessa, impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (Cass. S.U. n. 12109 del 2009; cfr., da ultimo, Cass. un. 23370 del 2010 e 16628 del 2011; Cass. 16406/2015). Con riguardo alla questione specifica che qui interessa dell’utilizzo di due studi (nella specie, trattandosi di medico, ambulatori), questa Corte ha già avuto modo di chiarire (Cass. 22878/2014; Cass. 2967/2014) che il solo fatto che il medico operi presso due strutture materiali “non è circostanza che possa dar luogo ad una “autonoma organizzazione” ove tali studi costituiscano semplicemente due luoghi ove il medico riceve i suoi pazienti” e quindi “soltanto fino strumento per il migliore (e pi” comodo per il pubblico, esercizio della attività professionale autonoma”. Questa Corte, da ultimo (Cass. 17569/2016), nel confermare l’assoggettabilità ad IRAP del professionista, ha ulteriormente precisato come fosse stato accertato, nel giudizio di merito, oltre al dato della pluralità di studi professionali, il possesso di beni strumentali eccedenti, in relazione all’attività medica svolta, il minimo indispensabile per l’esercizio della professione (cfr. Cass. 221103/2016, nonchè Cass. 19011/2016, nella quale si è evidenziato il dato, pacifico, dell’utilizzo della pluralità di studi professionali, da parte del professionista, non solo per lo svolgimento dell’attività convenzionata, ma anche per quella di consulenza professionale resa privatamente).

Nella specie, come riportato anche nel ricorso per cassazione, il contribuente aveva dedotto, sin dal primo grado, che, oltre allo studio in (OMISSIS), egli aveva aperto un secondo ambulatorio, nel Comune montano di (OMISSIS), per venire incontro alle esigenze dei pazienti, evitando loro “scomodi viaggi, specie in periodo invernale”.

D’altra parte, non emerge il possesso di beni strumentali eccedenti certamente il minimo indispensabile per l’esercizio della professione.

3. Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 5 (formulazione ante Novella del 2012), l’insufficiente e contraddittoria motivazione della decisione impugnata.

Anche detta censura è infondata.

Ora, la motivazione della sentenza non appare insufficiente, con riguardo sempre al requisito dell’autonoma organizzazione, in quanto, in ogni caso, il fatto asseritamente trascurato (la presenza di due studi professionali) non era comunque decisivo e rilevante ai fini del decidere, sulla base di quanto affermato sub par. 2.

Del pari, la motivazione non risulta contraddittoria, avendo i giudici d’appello esposto, nella prima parte, l’orientamento espresso da una parte della giurisprudenza di merito, secondo il quale l’autonoma organizzazione discenderebbe dal fatto stesso che il contribuente sia in grado di “svolgere da solo la sua attività” e non “dipenda dal committente”, per poi aderire al diverso orientamento espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte nel 2009, in ordine alla necessità di una verifica in concreto della sussistenza del presupposto impositivo dell’I.R.A.P..

4. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

In considerazione delle questioni di diritto trattate (sulle quali vi sono state anche recenti pronunce delle Sezioni Unire di questa Corte), ricorrono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Non sussistono i presupposti per il versamento del doppio contributo unificato da parte della ricorrente, poichè il disposto del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, non si applica all’Agenzia delle Entrate (Cass. SS.UU 9938/2014).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2016

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