Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25235 del 10/11/2020

Cassazione civile sez. II, 10/11/2020, (ud. 21/07/2020, dep. 10/11/2020), n.25235

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23470-2019 proposto da:

O.A., ammesso al patrocinio a spese dello Stato e

rappresentato e difeso dall’avv. Maria Cristina Tarchini ed

elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv. Guglielmo

Pinto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del ministro p.t.

istituzionalmente rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale

dello Stato, ed elettivamente domiciliato ex lege presso la sede di

questa, in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 125/2019 della Corte d’appello di Brescia

pubblicato il 23/01/2019;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/07/2020 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– il presente giudizio trae origine dal ricorso che il sig O.A., cittadino (OMISSIS), ha presentato avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia, che ha rigettato il ricorso contro l’ordinanza del Tribunale di Brescia di diniego della protezione internazionale e umanitaria come già statuito da parte della competente commissione territoriale;

– a sostegno della propria richiesta, il sig. O.A. ha dichiarato di essere originario di (OMISSIS) e di essersi trasferito con la famiglia a (OMISSIS) perchè lì la terra per la coltivazione degli arachidi era migliore, e ha narrato di essersi allontanato dalla (OMISSIS) e di aver raggiunto la Libia per sfuggire a un attentato terroristico compiuto dai membri di (OMISSIS) nel quale erano stati uccisi il padre e un fratello;

– la Corte d’appello di Brescia ha negato al ricorrente il riconoscimento della protezione internazionale e quella umanitaria;

– la cassazione del provvedimento è chiesta dal richiedente con ricorso affidato ad un motivo cui resiste il Ministro con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con l’unico motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nella formulazione ratione temporis applicabile al presente ricorso (Cfr. Cass. Sez. Un. 29459/2019);

– secondo il ricorrente la corte territoriale avrebbe del tutto omesso l’esame dei requisiti di vulnerabilità del sig. O.A. in relazione alla domanda di protezione umanitaria e avrebbe trascurato di compiere qualsiasi integrazione officiosa salvo un generico richiamo ad un rapporto internazionale che peraltro non riguarda il caso dedotto dal ricorrente nella sua narrazione;

– il motivo è inammissibile perchè il ricorrente non specifica quale personale condizione di vulnerabilità sarebbe stata allegata in termini rilevanti e decisivi a tal fine e non esaminata dalla corte territoriale;

– infatti, per il riconoscimento della protezione umanitaria, il giudice è chiamato a verificare l’esistenza di seri motivi che impongano di offrire tutela a situazioni di vulnerabilità individuale, anche esercitando i poteri istruttori ufficiosi a lui conferiti, ma è necessario che il richiedente indichi i fatti storici costitutivi del diritto azionato e cioè fornisca elementi idonei a far desumere che il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza. nell’ambito delle situazioni riconducibili non risulta allegata alcuna condizione soggettiva di speciale vulnerabilità (cfr. Cass. 8819/2020; id. 13573/2020).

– poichè da questo punto di vista il motivo difetta di specificazione, così risultando impossibile la comparazione fra le condizioni di vita nel paese di accoglienza e quelle nel paese di provenienza in caso di rimpatrio forzato, il collegio conclude per l’inammissibilità della censura;

– atteso l’esito sfavorevole del motivo, il ricorso va respinto; -in applicazione del principio di soccombenza parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese di lite nella misura liquidata in dispositivo;

-ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente e liquidate in Euro 2100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile, il 21 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2020

 

 

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