Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25233 del 10/11/2020

Cassazione civile sez. II, 10/11/2020, (ud. 03/07/2020, dep. 10/11/2020), n.25233

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20489/2019 R.G. proposto da:

L.T., rappresentato e difeso dall’avv. Franco Beretti, con

domicilio in Reggio Emilia, via Malta n. 7;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio in Roma,

Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorso –

avverso il decreto del Tribunale di Bologna n. 2497/2019, depositato

in data 31.5.2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3.7.2020 dal

Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

L.T. ha chiesto la concessione della protezione internazionale, esponendo di provenire dal (OMISSIS) e di aver svolto nel paese di origine l’attività di contadino e di muratore ma di versare in gravi condizioni economiche per l’impossibilità di far fronte al sostentamento proprio e della propria famiglia con i proventi della coltivazione dei campi, ciò a causa delle periodiche siccità; di esser giunto in Italia per lavorare e mantenere la famiglia, priva di mezzi di sussistenza, di frequentare corsi di lingua e di informatica per tre giorni alla settimana.

Il tribunale di Bologna ha ritenuto credibili le dichiarazioni del ricorrente, rilevando tuttavia che l’abbandono del paese di origine era stato determinato da ragioni di carattere esclusivamente economico nonchè strettamente personali e familiari, ritenendo insussistente il rischio di persecuzioni o di esposizione al pericolo di lesione di diritti fondamentali della persona, sostenendo, infine, che non era stata allegata una condizione di difficoltà economica tale da tradursi in una vera e propria indigenza o idonea a far ritenere che, in caso di rientro in Patria, il richiedente avrebbe dovuto affrontare seri pericoli per la sua stessa sopravvivenza.

In base alle informazioni tratte da fonti aggiornate, ha ritenuto l’insussistenza – in (OMISSIS) – di un conflitto armato in corso o condizioni di pericolo per la popolazione civile, osservando che, dopo l’elezione del nuovo Presidente, si era aperta una fase di stabilità in cui era divenuto prioritario il risanamento dell’economia del Paese e il rispetto dei diritti umani, sussistendo tutte le condizioni affinchè la situazione evolvesse positivamente.

Quanto alla protezione umanitaria, il giudice ha escluso situazioni di peculiare vulnerabilità del ricorrente, osservando che questi aveva mantenuto in (OMISSIS) stabili punti di riferimento, affettivi e familiari, e che era irrilevante la partecipazione ad un tirocinio formativo in Italia, la partecipazione ad attività di volontariato e la frequenza di corsi scolastici, non essendo provato un effettivo radicamento sociale, giudicando infine privo di rilievo il periodo trascorso in Libia, non avendo il ricorrente addotto situazioni o peculiari conseguenze derivanti da tale permanenza (sotto il profilo psicofisico), tali da assumere rilievo per la valutazione di profili di vulnerabilità.

La cassazione del decreto è chiesta da L.T. con ricorso in due motivi.

Il Ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 5, comma 6 e art. 32, comma 3, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che il tribunale, pur affermando che le situazioni che possono dar luogo a tale protezione internazionale non sono tipizzate, abbia di fatto escluso che la mancanza dei mezzi di sostentamento economico, provocata dalla siccità, consentisse di configurare una situazione di vulnerabilità soggettiva e pregiudicare il godimento di diritti fondamentali della persona, avendo ridimensionato le stesse dichiarazioni del richiedente asilo circa la sussistenza, nel paese di provenienza, di una situazione gravissima di povertà, caratterizzata dalla penuria delle risorse ricavabili dall’attività lavorativa svolta dall’interessato. Si assume che il giudice, senza svolgere alcun accertamento sulla situazione del paese di provenienza, abbia indebitamente valorizzato circostanze – quale la condizione di acquisita stabilità politica del (OMISSIS) – del tutto disancorate dalle ragioni evidenziate nella richiesta e dal riscontro delle condizioni ambientali e produttive, risultanti dalle fonti internazionali e da numerosi precedenti di merito, omettendo la doverosa comparazione con il grado di integrazione conseguito in Italia.

Il secondo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1 e comma 1.1., D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, art. 10 Cost., comma 3, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, affermando che, anche ove difettino le condizioni per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato (per la presenza di una clausola di esclusione o per la mancanza del nesso causale con uno dei motivi convenzionali) o la protezione sussidiaria (per la mancanza di una sufficiente personalizzazione del danno grave), deve comunque ritenersi non praticabile l’espulsione; che le più recenti modifiche normative, in luogo dell’abrogato permesso di soggiorno per motivi umanitari D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6 hanno introdotto un permesso di soggiorno per “protezione speciale” o recante la dicitura “casi speciali”, che deve essere rilasciato nelle ipotesi specificamente disciplinate dal D.Lgs. n. 286 del 1998; che, con l’abrogazione dell’originario permesso per ragioni umanitarie, risulterebbe nuovamente applicabile l’art. 10 Cost., comma 3, e conseguentemente il margine di residuale e diretta attuazione dell’asilo costituzionale a tutela della garanzia dei diritti fondamentali dell’uomo, tra cui rientrano a pieno titolo il diritto di ogni individuo a condizioni di vita adeguate per sè e per la propria famiglia, situazione, quest’ultima, pienamente sussistente nel caso concreto.

2. Il primo motivo è infondato.

Il tribunale, pur ritenendo attendibile il racconto del richiedente asilo, ha approfondito le condizioni sociali e politiche del (OMISSIS) in base ad informazioni tratte da fonti internazionali accreditate, dando atto di una situazione di progressivo miglioramento, anche economico del paese, dopo le elezioni del nuovo Presidente ed evidenziando che non erano state neppure rappresentate – o comunque emerse difficoltà economiche che avessero il carattere dell’indigenza o tali da far ritenere che, in caso di rientro in patria, il ricorrente potrebbe affrontare seri pericoli per la sua stessa sopravvivenza (cfr. decreto, pag. 5).

Su tale generale premessa, il giudice di merito ha respinto anche la domanda di protezione umanitaria, escludendo la sussistenza di situazioni di peculiare vulnerabilità del ricorrente, cittadino (OMISSIS) di (OMISSIS) anni, in Italia dal 2016, che aveva conservato stabili ed effettivi punti di riferimento, affettivi e familiari, nel paese di origine, reputando del tutto irrilevante che egli avesse svolto un tirocinio formativo, partecipato ad attività di volontariato e oggi frequenti corsi scolastici – pur certamente meritevole – non è di per sè tale da evidenziare un radicamento del ricorrente sul territorio, ostativo al suo rientro in patria.

Risulta innegabile che, così argomentando, il Tribunale non abbia affatto escluso che – in linea di principio – i seri motivi di carattere umanitario, derivanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano (art. 5, comma 6, cit.) che giustificano la concessione del permesso di soggiorno, possano derivare anche dalla mancanza delle condizioni minime per condurre un’esistenza nella quale non sia radicalmente compromessa la possibilità di soddisfare i bisogni e le esigenze ineludibili della vita personale (quali quelli strettamente connessi al sostentamento e al raggiungimento degli standards minimi per un’esistenza dignitosa), avendo escluso in concreto, in relazione al particolare vissuto del ricorrente, la sussistenza di tali condizioni legittimanti. La pronuncia ha difatti osservato che il ricorrente aveva abbandonato il paese di provenienza per ragioni di carattere economico, strettamente legate alla propria condizione personale e familiare, neppure in un contesto caratterizzato da una comprovata condizione di una diffusa indigenza (cfr., decreto, pag. 5).

Tale accertamento – anche per quanto attiene alla situazione politica, sociale ed economica del (OMISSIS), che il tribunale ha esaminato alla luce di informazioni provenienti da fonti internazionali, acquisite d’ufficio in assolvimento del dovere di cooperazione istruttoria – attiene al fatto e a questioni il cui apprezzamento è riservato al giudice di merito, restando insindacabili in cassazione, sotto i profili denunciati in ricorso.

Il Tribunale ha poi valutato anche la situazione personale del ricorrente nel paese di approdo, negando, con motivato apprezzamento, un effettivo radicamento in Italia (cfr. decreto, pag. 10).

3. Il secondo motivo è infondato.

La domanda di protezione è stata proposta in data 11.1.2018, sicchè appaiono inconferenti le questioni vertenti sulle conseguenze che deriverebbero, a parere del ricorrente, dall’introduzione del permesso per ragioni speciali ex D.L. n. 113 del 2018 e dalla soppressione dell’originario permesso per motivi umanitari.

Come recentemente stabilito dalle Sezioni unite, il diritto alla protezione umanitaria, espressione di quello costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità, e la domanda attrae, quindi, il regime normativo applicabile.

La normativa introdotta con dal D.L. n. 113 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non trova applicazione alle domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge.

Tali domande devono essere scrutinate sulla base delle norme in vigore al momento della loro proposizione e in relazione ai relativi presupposti giustificativi (Cass. s.u. 29459/2019).

Per il resto il motivo è infondato, poichè postula la sussistenza di un’area di diretta applicabilità dell’art. 10 Cost. e la configurazione di situazioni soggettive attive in capo al migrante, ulteriori e diverse rispetto a quelle che si realizzano nelle tre forme di protezione contemplate per legge.

E’ – invece – principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che, nel regime normativo qui applicabile, il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali costituite dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, adottata in attuazione della Direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, e di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 comma 6.

All’infuori di tali ipotesi, non sussiste alcun margine di residuale e diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3, in chiave processuale o strumentale (Cass. 10686/2012; Cass. 13362/2016; Cass. 11110/2019).

Il ricorso è quindi respinto, con aggravio di spese secondo soccombenza.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 2100,00 per compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2020

 

 

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