Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25232 del 10/11/2020

Cassazione civile sez. II, 10/11/2020, (ud. 03/07/2020, dep. 10/11/2020), n.25232

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 20118 – 2019 R.G. proposto da:

A.O., – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato, con

indicazione dell’indirizzo p.e.c., in Ascoli Piceno, in Rua del

Papavero, n. 6, presso lo studio dell’avvocato Paolo Alessandrini,

che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, – c.f. (OMISSIS) – in persona del Ministro

pro tempore.

– intimato –

avverso il decreto n. 7166/2019 del Tribunale di Ancona;

udita la relazione nella camera di consiglio del 3 luglio 2020 del

consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. A.O., cittadino della (OMISSIS), formulava istanza di protezione internazionale.

Esponeva che nel suo paese d’origine all’età di quindici anni si era trasferito a (OMISSIS), ove lavorava come saldatore; che qui aveva rifiutato di aderire al gruppo, dedito ad attività di sabotaggio ai danni delle compagnie petrolifere, denominato “(OMISSIS)”; che era stato pertanto gravemente minacciato dagli appartenenti al gruppo, cosicchè si era determinato ad abbandonare la (OMISSIS); che aveva prima raggiunto la Libia, ove era stato imprigionato e ove era rimasto per tre anni, indi dalla Libia, nel luglio del 2017, si era trasferito in Italia.

2. La Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Ancona rigettava l’istanza.

3. Con decreto n. 7166/2019 il Tribunale di Ancona respingeva il ricorso proposto da A.O. avverso il provvedimento della commissione.

Evidenziava il tribunale che le dichiarazioni rese dal ricorrente non erano attendibili, siccome generiche, non circostanziate e contraddittorie.

Evidenziava altresì che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2014, ex art. 14.

Evidenziava infine che non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria.

Evidenziava invero, nel quadro della debita valutazione comparativa, che il ricorrente, qualora rimpatriato, non si sarebbe ritrovato in condizioni di elevata vulnerabilità.

4. Avverso tale decreto ha proposto ricorso A.O.; ne ha chiesto sulla base di quattro motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione.

Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

5. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’omessa motivazione in ordine ad un motivo di impugnazione ovvero in ordine a fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Deduce che il Tribunale di Ancona non ha tenuto conto che è giunto in Italia dalla Libia, ove è rimasto per ben tre anni e ove ha subito continue umiliazioni e vessazioni; che dunque il tribunale non ha tenuto conto della situazione sociopolitica della Libia.

6. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a), b) e c).

Deduce che sussistono i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. b) ed ex lett. c).

Deduce in particolare che il danno grave di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b può derivare anche da un potere non statuale.

Deduce in particolare che dal sito “(OMISSIS)” e dal rapporto di “Amnesty International” degli anni 2014/2015 si desume che l’intero territorio (OMISSIS) è sconvolto da conflitti locali in un contesto segnato da violenza generalizzata e dall’assenza delle condizioni minime di sicurezza.

7. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione dell’art. 4 della direttiva comunitaria 2004/83/CE, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, direttiva comunitaria 2005/85/CE, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 27, comma 1 bis dell’art. 8 della direttiva comunitaria 2004/83/CE.

Deduce che, allorquando ha reputato inattendibili le sue dichiarazioni, il tribunale ha violato la disciplina in tema di onere probatorio nonchè la disciplina in tema di poteri istruttori officiosi devoluti all’organo giudicante.

Deduce al contempo che il tribunale non ha esplicitato le ragioni per cui le sue dichiarazioni fossero inattendibili.

8. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1.

Deduce che ha errato il tribunale a disconoscere la protezione umanitaria.

Deduce invero che il tribunale, nel quadro della necessaria valutazione comparativa, non ha correttamente valutato la condizione di elevata vulnerabilità ovvero la significativa menomazione dei diritti fondamentali, tra cui il diritto alla salute, che patirebbe, qualora rimpatriato.

Deduce in particolare che il tribunale non ha considerato, per un verso, l’apprezzabile grado di integrazione nel tessuto socioeconomico italiano in dipendenza dell’attività lavorativa svolta e della frequentazione di corsi di lingua italiana e di formazione professionale, per altro verso, la grave situazione politica, economica e sociale del suo paese d’origine, cui correlare la vicenda personale che lo ha determinato ad espatriare.

9. Il primo motivo di ricorso è immeritevole di seguito.

10. Questa Corte spiega che, nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide (cfr. Cass. (ord.) 6.12.2018, n. 31676, ove si soggiunge tuttavia che il paese di transito potrà rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese; Cass. (ord.) 6.2.2018, n. 2861).

11. Su tale scorta si rimarca che il ricorrente non ha specificato che connessione vi è tra il pregresso transito in Libia e la domanda di protezione internazionale. Nè evidentemente rileva la mera circostanza per cui il ricorrente ha addotto di aver avuto in Libia l’ultima dimora ed un lavoro.

In questi termini il motivo in disamina è propriamente generico.

12. Si giustifica dapprima la disamina del terzo motivo di ricorso, che indubbiamente ha una valenza preliminare dal punto di vista e logico e giuridico. In ogni caso il terzo motivo di ricorso è privo di fondamento.

13. La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c); tale apprezzamento “di fatto” è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. (ord.) 5.2.2019, n. 3340).

14. Su tale scorta, nel segno del novello dettato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ed, ovviamente, nel solco dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte, si rappresenta quanto segue.

Da un canto, il Tribunale di Ancona ha dato compiutamente conto della incongruenza e della inverosimiglianza delle dichiarazioni rese dal ricorrente.

In particolare il tribunale ha non solo dato atto che “i riferimenti al gruppo che lo avrebbe voluto assoldare sono lacunosi, confusi e comunque non specifici” (così decreto impugnato, pag. 2), ma ha aggiunto che il ricorrente si era più volte contraddetto con riferimento al periodo ed alle modalità della sua fuga dal paese d’origine ed in ordine alle minacce di morte che aveva ricevuto.

D’altro canto, il ricorrente indubbiamente sollecita questa Corte a far luogo ad una “diversa lettura” delle sue dichiarazioni (” (…) nonostante che nel ricorso il difensore del ricorrente avesse dettagliatamente circostanziato e spiegato le risposte fornite”: così ricorso, pag. 13).

15. Si tenga conto che nel giudizio relativo alla protezione internazionale del cittadino straniero, la valutazione di attendibilità, di coerenza intrinseca e di credibilità della versione dei fatti resa dal richiedente, non può che riguardare tutte le ipotesi di protezione prospettate nella domanda, qualunque ne sia il fondamento; cosicchè, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (cfr. Cass. (ord.) 20.12.2018, n. 33096; Cass. 12.6.2019, n. 15794).

Su tale scorta del tutto ingiustificata è la prospettata violazione della disciplina in tema di onere probatorio, del tutto legittimo è il mancato esercizio, da parte del tribunale, dei poteri istruttori officiosi.

16. Il secondo motivo di ricorso del pari è destituito di fondamento.

17. E’ vero senza dubbio che i c.d. soggetti non statuali possono considerarsi responsabili della persecuzione o del danno grave, ove lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possano o non vogliano fornire protezione contro persecuzioni o danni gravi (cfr. Cass. (ord.) 1.4.2019, n. 9043).

18. E nondimeno la surriferita puntualizzazione è destinata a non esplicar valenza nel caso di specie.

In primo luogo, giacchè il tribunale ha reputato inattendibili le dichiarazioni rese dal ricorrente ed ha soggiunto che dalle dichiarazioni rese si desumeva che A.O. si era allontanato dalla (OMISSIS) per ragioni di ordine esclusivamente economico (cfr. decreto impugnato, pag. 2).

In secondo luogo, giacchè il tribunale ha specificato che nei territori (OMISSIS) del Sud, ove è ubicata (OMISSIS), non si registrano situazioni di violenza generalizzata ed indiscriminata, sicchè ha correttamente escluso (cfr. decreto impugnato, pag. 7) che le strutture di polizia e giudiziarie (OMISSIS) operanti – quanto meno – in tali territori siano inefficienti ed inadeguate, sì da non assicurare ai cittadini idonea protezione.

19. Ovviamente, in tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento “di fatto” rimesso al giudice del merito; il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. 21.11.2018, n. 30105; Cass. (ord.) 12.12.2018, n. 32064).

20. Cosicchè, nel segno della previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e nel solco del già menzionato insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite, si osserva quanto segue.

Per un verso, è da escludere che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla luce della citata pronuncia delle sezioni unite, possa scorgersi in relazione alle motivazioni alla stregua delle quali il Tribunale di Ancona ha disconosciuto la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, ex lett. c).

Invero il tribunale ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

In particolare ha evidenziato che, alla luce delle risultanze di talune fonti di informazione, quali quelle, pubblicate il 10.5.2019, del “Centro austriaco per la ricerca e la documentazione sui paesi d’origine e asilo”, i territori (OMISSIS) del sud, di provenienza del ricorrente, non sono interessati da conflitti armati o da violenze generalizzate, in guisa da comportare per i civili residenti nei medesimi territori un concreto rischio per la vita o l’incolumità personale (cfr. decreto impugnato, pag. 2 e ss).

Per altro verso, il tribunale ha di certo disaminato il fatto decisivo caratterizzante, in parte qua, la res litigiosa, ossia la concreta sussistenza dell’ipotesi astratta di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c.

Per altro verso ancora, il ricorrente, in fondo, non adduce – alla stregua delle risultanze del sito “(OMISSIS)” del Ministero degli Esteri e del rapporto di “Amnesty International” – a supporto delle sue prospettazioni fonti di informazioni più recenti sulla situazione sociopolitica attualmente esistente in (OMISSIS) (cfr. Cass. 18.2.2020, n. 4037, secondo cui, in tema di protezione internazionale, il motivo di ricorso per cassazione che mira a contrastare l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alle cd. fonti privilegiate, di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve evidenziare, mediante riscontri precisi ed univoci, che le informazioni sulla cui base è stata assunta la decisione, in violazione del cd. dovere di collaborazione istruttoria, sono state oggettivamente travisate ovvero superate da altre più aggiornate e decisive fonti qualificate).

21. Il quarto motivo di ricorso è destituito di fondamento.

22. Questa Corte senza dubbio spiega che, in tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di vulnerabilità del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che è invece atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello status di “rifugiato” o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione (cfr. Cass. 15.5.2019, n. 13079; cfr. Cass. 23.2.2018, n. 4455, secondo cui, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza).

23. E nondimeno il riconoscimento della protezione umanitaria si risolve in un giudizio “di fatto” inevitabilmente postulato dalla valutazione comparativa, caso per caso, necessaria ai fini del riscontro della condizione di vulnerabilità – e soggettiva e oggettiva – del richiedente.

24. Ebbene, in quest’ottica, nei limiti del novello n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1 ed alla luce della citata pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite, non può che opinarsi nel senso che nessuna ipotesi di “anomalia motivazionale” inficia, anche in parte qua, il dictum anconetano.

Più esattamente il tribunale ha, da un lato, posto in rilievo l’inattendibilità delle dichiarazioni del ricorrente, ha, dall’altro, posto in rilievo il mancato riscontro di una effettiva integrazione del ricorrente nel tessuto socioeconomico italiano, siccome a tal fine non potevano esplicare valenza gli attestati prodotti circa la partecipazione a corsi di formazione, di volontariato, di apprendimento della lingua italiana, ha, dall’altro ancora, posto in rilievo il mancato riscontro di un effettivo sradicamento del ricorrente dal paese d’origine, siccome in (OMISSIS) tuttora vive la sua famiglia.

25. D’altronde, il ricorrente – siccome si è anticipato – sollecita questo Giudice del diritto a riesaminare profili rilevanti sul piano del giudizio “di fatto”, la cui delibazione è evidentemente preclusa in questa sede, al pari del riesame delle risultanze istruttorie.

Ciò tanto più che l’asserito mancato esame di argomentazioni difensive neppure è riconducibile al paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. 14.6.2017, n. 14802; Cass. (ord.) 13.8.2018, n. 20718).

26. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese. Nessuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio va pertanto assunta.

27. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2020

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