Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25226 del 07/12/2016


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Cassazione civile sez. VI, 07/12/2016, (ud. 29/09/2016, dep. 07/12/2016), n.25226

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6862/2015 proposto da:

AIR ONE S.P.A, in persona dell’Amministratore Unico e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

PO 25-B STUDIO PESSI, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO

SANTORI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ROBERTO PESSI, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

R.C.G., elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa unitamente e

disgiuntamente dagli avvocati LUIGI PAU e ALESSANDRO MELONI, giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 768/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

emessa il 06/08/2014 e depositata il 10/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29/09/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato Daniele Mariani (delega Avvocato Maurizio Santoni),

per la ricorrente, che si riporta al ricorso;

udito l’Avvocato Meloni Alessandro, per la controricorrente, che si

riporta al controricorso.

Fatto

EATTO E DIRITTO

La causa è stata chiamata all’adunanza in Camera di consiglio del 29 settembre 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Con sentenza del 10.9.2014, la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa città – che aveva dichiarato la nullità del termine apposto al primo dei contratti di lavoro stipulati tra AIR ONE spa e R.C.G. accertando la sussistenza tra le stesse parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con decorrenza dal 1.1.2008 e condannato la società al ripristino dello stesso ed al pagamento di un’indennità risarcitoria pari a 6 mensilità retribuzione globale di fatto – riduceva l’ammontare dell’indennità forfetizzata L. n. 183 del 2010, ex art. 32, ad un importo pari a 4 mensilità. Rilevava la Corte, per quel che rileva nella presente sede, che, contrariamente a quanto evidenziato dall’appellante, la ricorrente avesse in primo grado dedotto l’illegittimità della causale apposta al primo dei contratti sia sotto il profilo della genericità, sia per la carenza della sua effettività, espressamente contestando l’assenza di ragioni idonee a giustificare la propria assunzione a tempo determinato e che la stessa formulazione della clausola appositiva del termine, riferita ad incremento dell’organico “stabile” in relazione all’attività di continuità territoriale indicata rendeva inidonea la clausola a giustificare un’assunzione a t.d.. Osservava che, limitandosi la detta clausola a menzionare in modo generico l’incremento dei volumi di traffico in assenza di ogni riferimento a dati numerici concernenti le relative proporzioni nonchè l’entità del conseguente fabbisogno di risorse aggiuntive rispetto a quelle già in forza presso l’azienda, la stessa dovesse ritenersi inidonea ai fini considerati. Non potevano le evidenziate lacune essere, infatti, sanate ex post, in corso di causa, cosa peraltro neppure ipotizzabile sulla base delle allegazioni probatorie offerte dall’appellante, nessuna indicazione essendo stata fornita in ordine all’entità del proprio organico con riguardo ai periodi di riferimento. Non era, pertanto, consentito desumere dai dati offerti alcun collegamento causale fra l’incremento dei voli e l’assunzione della R. a tempo determinato. Tale carenza doveva ritenersi assorbente di ogni ulteriore aspetto, rendendo superflua la verifica in ordine all’affermata natura non prevedibile nè definitiva dell’asserito incremento dei voli, non potendo poi farsi ricorso all’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio in funzione sostitutiva degli oneri delle parti.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la società affidando l’impugnazione ad un unico motivo, articolato in differenti profili, cui resiste, con controricorso, la R..

La società denunzia la violazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento al principio della corrispondenza tra il chiesto e pronunciato, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 1, dell’art. 2697 c.c., degli artt. 414, 421, 115 e 116 c.p.c., sostenendo che, diversamente da quanto affermato dalla Corte di appello, risultava per tabulas che, sia nella parte in fatto, che in quella in diritto dell’avverso ricorso, la controparte non aveva contestato la sussistenza delle esigenze poste a fondamento della stipulazione del contratto a termine e che erronea doveva ritenersi l’asserita carenza allegatoria della società. Assume che, in ogni caso, la copiosa produzione documentale risultava sufficiente a dimostrare il nesso causale tra l’assunzione a tempo determinato della lavoratrice e le esigenze dedotte nel contratto e che nulla è richiesto dalla disciplina vigente in ordine a dati quali la consistenza dell’organico aziendale e del personale aggiuntivo necessario a far fronte all’incremento dei voli.

Conclusivamente, ritiene che la Corte del merito sia incorsa nella dedotta violazione di legge per avere esteso il proprio esame e la propria decisione oltre i limiti della domanda introduttiva del giudizio, che era affetta da insanabili carenze allegatorie.

Con riguardo al concetto di stabilità dell’organico cui si riferiva la clausola contrattuale rileva che le motivazioni espresse dal giudice del gravame erano in contrasto con l’indicazione delle esigenze per loro natura non suscettibili di consolidamento e riporta, per il principio di autosufficienza, quanto dedotto nella memoria difensiva di primo grado in ordine all’esercizio dell’attività sulle rotte, temporalmente limitato, come evincibile dalla copiosa produzione documentale, asseritamente idonea a comprovare un incremento straordinario di voli, mai contestato dalla controparte. Infine, osserva che le prove offerte erano idonee a provare il nesso di causalità e che in ogni caso ben avrebbe potuto il giudice del merito dare corso ad accertamenti d’ufficio.

Il ricorso è infondato.

La doglianza di ultrapetizione è inammissibile, in quanto dalla lettura della sentenza impugnata e dello stesso ricorso si evince che con i motivi di appello l’odierna ricorrente non ha censurato sotto il profilo della extrapetizione la sentenza di primo grado, nella parte in cui ha escluso che fosse stata offerta idonea dimostrazione della causale giustificatrice dell’apposizione del termine al primo contratto di lavoro, riferita all’incremento straordinario di voli cagionato dall’attività di continuità territoriale sulla Sardegna e su Trapani.

Si rammenta, al riguardo, che il vizio di ultrapetizione in cui sia incorso il giudice di primo grado determina una nullità relativa della decisione non rilevabile d’ufficio, ma denunciabile solo con gli ordinari mezzi di impugnazione (Cass. 4-9-2000 n. 11559; Cass. 7/5/2009 n. 10516). Tale vizio, pertanto, non può essere utilmente dedotto come mezzo di ricorso per cassazione, neppure se riferito alla sentenza di secondo grado confermativa della precedente, quando non abbia costituito oggetto di motivo di appello (Cass. Sez. Un. 4/11/2001 n. 15277). Ed al riguardo non risulta nella specie adeguatamente precisato dalla ricorrente in che termini fosse stata avanzata in sede di gravame la doglianza di ultrapetizione, limitandosi la stessa a richiamare generici stralci del ricorso di primo grado con riguardo alla dedotta illegittimità del primo contratto a termine ed a negare che fosse stato dedotto alcunchè in relazione all’effettivo verificarsi dell’incremento straordinario dei voli. Tale circostanza non attiene neanche all’ulteriore aspetto, suscettibile di necessaria verifica, della ricorrenza del nesso causale tra esigenze dedotte e necessità di assunzione del singolo lavoratore.

invero, in tema di apposizione del termine al contratto di lavoro, il legislatore ha imposto, con il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, l’onere di specificazione delle ragioni giustificatrici “di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” del termine finale, il che comporta che le stesse debbano essere sufficientemente particolareggiate così da rendere possibile la conoscenza della loro effettiva portata e il relativo controllo di effettività (cfr. Cass. 27.1.2011 n. 1931). Tale scelta è in linea con la direttiva comunitaria 1999/70/CE e dell’accordo quadro in essa trasfuso, come interpretata dalla Corte di Giustizia (sentenza del 23 aprile 2009, in causa C-378/07 ed altre; sentenza del 22 novembre 2005, in causa C-144/04), la cui disciplina non è limitata al solo fenomeno della reiterazione dei contratti a termine (ossia ai lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato successivi) ma si estende a tutti i lavoratori subordinati con rapporto a termine indipendentemente dal numero di contratti stipulati dagli stessi, rispetto ai quali la clausola 8, n. 3 (cosiddetta clausola “di non regresso”) dell’accordo quadro prevede – allo scopo di impedire ingiustificati arretramenti di tutela nella ricerca di un difficile equilibrio tra esigenze di armonizzazione dei sistemi sociali nazionali, flessibilità del rapporto per i datori di lavoro e sicurezza per i lavoratori – che l’applicazione della direttiva “non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito coperto dall’accordo” (cfr., in tali termini, Cass. 1931/2011 cit.).

La necessità del controllo di effettività in concreto e la necessità che il datore di lavoro adempia pertanto l’onere probatorio posto a suo carico con riferimento alla sussistenza delle ragioni dedotte con riguardo alla realtà organizzativa interessata dalla necessità di ricorrere alla stipulazione di contratti a termine induce a disattendere il motivo proposto.

Va, poi, osservato, con riferimento alle ulteriori doglianze, che, come affermato da questa Corte (cfr. Cass. 10 gennaio 2006 n. 154), in ogni caso, l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio in grado d’appello presuppone la ricorrenza di alcune circostanze: l’insussistenza di colpevole inerzia della parte interessata, con conseguente preclusione per inottemperanza ad oneri procedurali, l’opportunità di integrare un quadro probatorio tempestivamente delineato dalle parti, l’indispensabilità ufficiosa, volta non a superare gli effetti inerenti ad una tardiva richiesta istruttoria o a supplire ad una carenza probatoria totale sui fatti costitutivi della domanda, ma solo a colmare eventuali lacune delle risultanze di causa.

Nella specie, non risulta riprodotta alcuna capitolazione della prova orale della quale sia stata eventualmente chiesta l’ammissione, ulteriore rispetto a quella che si risolve in una mera riproduzione del contenuto dei documenti prodotti, in tal modo non essendo possibile verificare la correttezza o meno dell’affermazione della Corte del merito secondo cui la prova articolata era improduttiva, per la ragione che non era indicata la situazione complessiva dell’organico al fine della verifica di effettività secondo i criteri suindicati.

Nè rileva la censura prospettata con richiamo alla violazione delle regole sul riparto dell’onere probatorio, atteso che, a fronte della deduzione della illegittimità del termine apposto al contratto, è onere della società provare la esigenza organizzativa dedotta, non dovendo tale circostanza essere oggetto di contestazione da parte del lavoratore. Quanto alla denunciata violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., parte ricorrente incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge, sostanziale o processuale, dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio. Al contrario, un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., può porsi, rispettivamente, solo allorchè il ricorrente alleghi che il giudice di merito: 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente, apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione; 3) abbia invertito gli oneri probatori. E poichè, in realtà, nessuna di queste tre situazioni è rappresentata nei motivi anzi detti, le relative doglianze sono mal poste.

pur vero che la ricorrente si duole della mancata attribuzione di rilevanza ai documenti richiamati (timetables, prospetto dellèattività di volo concretamente effettuata dalla R.) – peraltro neanche riprodotti in sede di ricorso per cassazione – ritenuti sufficienti a dare contezza dell’effettività delle ragioni dell’assunzione. Tuttavia, quanto ai suddetti profili di violazione di legge, è costante l’insegnamento di questa Corte per cui il vizio di violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena di inammissibilità, dedotto non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (così e per tutte, Cass. n. 16038/13).

E’ di tutta evidenza che, tanto con riguardo alle sopra indicate violazioni di legge quanto con riguardo al preteso malgoverno delle risultanze istruttorie, pur sotto un’intitolazione evocativa dei casi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, parte ricorrente non ha formulato altro che pure questioni di merito, il cui esame è per definizione escluso in questa sede di legittimità.

Si propone, pertanto, il rigetto del ricorso, essendone possibile la trattazione in sede camerale”.

Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di consiglio.

La società ricorrente ha depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Preliminarmente, va in questa sede rilevata la tardività del controricorso, notificato oltre il terne previsto dell’art. 370 c.p.c., comma 1 (ricorso notificato il in data 11.3.2015 – controricorso notificato il 25.4.2015).

Il Collegio ritiene di condividere il contenuto e le conclusioni della riportata relazione, osservando che i rilievi svolti nella memoria di parte ricorrente non siano capaci di scalfire il contenuto della suddetta relazione, sia sotto il profilo logico giuridico che con riguardo alla corretta applicazione di orientamenti giurisprudenziali consolidati nella stessa richiamati. Si osserva, in particolare, che il contenuto della memoria non si pone in chiave critica rispetto al contenuto della relazione quanto piuttosto si limita a ribadire le censure espresse nel ricorso per cassazione nei riguardi di quanto argomentato nella sentenza impugnata.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno poste a carico di quest’ultima nella misura indicata in dispositivo, dovendo aversi riguardo unicamente alla partecipazione dei difensori del controricorente, cui è stata rilasciata procura, alla udienza di discussione, con attribuzione di quanto liquidato ai predetti, dichiaratisi antistatari (cfr. Cass. 22269/2010).

La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce un atto dovuto, poichè l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n. 22035/2014).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro 1000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese generali in misura del 15%, con attribuzione agli avv.ti Luigi Pau e Alessandro Meloni.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2016

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