Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2522 del 30/01/2019

Cassazione civile sez. III, 30/01/2019, (ud. 02/03/2018, dep. 30/01/2019), n.2522

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

Dott. SPAZIANI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

SGA spa, in persona del suo Amministratore Delegato – Legale

rappresentante Dott. R.R., elettivamente domiciliata in

ROMA TEL:(CONE IL FAX), V. ENRICO FERMI 80, presso lo studio

dell’avvocato SALVATORE PESCE, rappresentata e difesa dall’avvocato

ERNESTO SPARANO giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

e contro

F.P.S.;

– intimati –

Nonchè da:

M.M.L., F.P.S., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA CARLO CONTI FIORINI, 113, presso lo studio

dell’avvocato ELENA DE CESARE, rappresentati e difesi dall’avvocato

MARIO NAPOLEONE giusta procura in calce al controricorso e ricorso

incidentale;

– ricorrenti incidentali –

contro

SGA SPA, (OMISSIS), in persona del suo Amministratore Delegato Legale

rappresentante Dott. R.R., elettivamente domiciliata in

ROMA TEL:(CONE IL FAX), V.ENRICO FERMI 80, presso lo studio

dell’avvocato SALVATORE PESCE, rappresentata e difesa dall’avvocato

ERNESTO SPARANO giusta procura in calce al ricorso;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

INTESA SAN PAOLO SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 494/2015 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 21/07/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/03/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. BASILE TOMMASO, che ha concluso per il rigetto del

ricorso principale e dell’incidentale;

udito l’Avvocato ERNESTO SPARANO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La società per la Gestione di Attività – S.G.A. S.p.a. (d’ora in poi, “S.G.A.”) ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 494/15 del 21 luglio 2015 della Corte di Appello di Cagliari, che – accogliendo il gravame esperito da F.P.S. e M.M.L. contro la sentenza n. 2288/12 del 28 agosto 2012, resa dal Tribunale di Cagliari – ha rigettato le domande proposte da Intesa San Paolo S.p.a. (d’ora in poi, “Intesa”), oltre che in proprio anche in qualità di mandataria di S.G.A., volte alla condanna del F. al pagamento di ingenti somme di denaro, nonchè alla declaratoria di inefficacia, ex art. 2901 c.c., di atto di disposizione di bene immobile compiuto dal F. e dalla M. in favore di terzi.

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente che Intesa ebbe ad adire il Tribunale di Cagliari, in proprio e quale mandataria di S.G.A., per riscuotere dal F. crediti spettanti al Banco di Napoli per l’importo di Euro 685.736,00, dei quali S.G.A. si era resa cessionaria, avendo costui rilasciato fideiussione all’istituto di credito partenopeo a garanzia di esposizioni debitorie della società (OMISSIS) S.r.l. (d’ora in poi, “(OMISSIS)”). Inoltre, per quanto qui ancora di interesse, Intesa chiedeva, in proprio, la condanna del medesimo F. al pagamento dell’importo di Euro 180.759,91, versate dal Banco di Napoli alla curatela del fallimento (OMISSIS) quale corrispettivo di un accordo transattivo raggiunto con la procedura (e ciò in base al principio di reviviscenza della garanzia rilasciata dal F.), nonchè, infine, la declaratoria di inefficacia, ex art. 2901 c.c., di atto di disposizione di bene immobile compiuto dal predetto garante, e dalla di lui moglie M., in favore di terzi.

Soddisfatte integralmente dall’adito giudicante le pretese attoree, proposto appello dal F. e dalla M., la Corte cagliaritana, in accoglimento dello stesso, mandava assolti i medesimi da ogni domanda, compensando integralmente le spese di ambo i gradi di giudizio.

Il giudice di appello, in particolare, riteneva essersi estinta la fideiussione prestata dal F. per effetto dell’accordo transattivo suddetto, atteso che il Banco di Napoli (che agiva anche come mandataria di S.G.A.) e la curatela del fallimento (OMISSIS) si erano dati atto reciprocamente “di non aver più nulla da pretendere per nessun titolo o ragione comunque discendenti dai rapporti” intercorsi tra la società fallita e l’istituto di credito, nonchè operando, nella specie, l’art. 1304 c.c., che statuisce la liberazione del condebitore solidale (nella specie, il F.) che intende giovarsi di accordo transattivo tra altro debitore e il creditore.

3. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione S.G.A., sulla base di tre motivi.

3.1. In particolare, con il primo motivo, relativo alla “natura della fideiussione rilasciata dal F.” – motivo proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), – si deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto, ovvero gli artt. 1945 e 1304 c.c., nonchè omesso esame “della natura astratta della garanzia”, oltre che della “relativa eccezione in violazione del principio del chiesto e pronunciato”.

Si assume, infatti, che la Corte territoriale avrebbe dovuto esaminare la “rilevante questione sulla natura della fideiussione”, dovendo essa stabilire “se il F. avesse la legittimazione a giovarsi dell’accordo” transattivo, “ai sensi dell’art. 1945 c.c. e dell’art. 1304 c.c.”, atteso che, qualificata, invece, quella rilasciata come garanzia “astratta”, rimarrebbe “precluso il diritto ad avanzare eccezioni ai sensi dell’art. 1945 c.c.”.

Muovendo dalla constatazione che – in base alle clausole G) ed H) del contratto – era previsto che il fideiussore fosse “tenuto a pagare immediatamente, a semplice richiesta, anche nel caso di opposizione del debitore”, ovvero che “nessuna eccezione” potesse “essere opposta al fideiussore”, la ricorrente assume il carattere “astratto” della garanzia “de qua”. Di conseguenza, la sentenza impugnata avrebbe dovuto escludere che il F. potesse avanzare eccezioni ex art. 1945 c.c., donde l’inapplicabilità dell’art. 1304 c.c., che presuppone “l’accessorietà dell’obbligo del fideiussore, che nel caso di specie andava esclusa”.

3.2. Il secondo motivo – proposto anch’esso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), – concerne la “non riferibilità alla S.G.A. dell’accordo tra il fallimento ed il Banco di Napoli” e la “irrilevanza di detto accordo nei rapporti tra il F. e la S.G.A.”, denunciandosi violazione dell’art. 1304 c.c..

Si contesta la sentenza impugnata in quanto essa, nel trattare esclusivamente della disciplina di cui all’art. 1304 c.c.muoverebbe “da due presupposti errati”.

Per un verso, infatti, essa richiama una pronuncia, a Sezioni Unite, di questa Corte (Cass. Sez. Un., sent. 30 dicembre 2011, n. 30174), che non sarebbe conferente, giacchè relativa ad una “fattispecie particolare”, ovvero l’applicazione della norma suddetta qualora la transazione abbia investito solo la quota di uno dei condebitori, rendendo così lecito “chiedere solo il residuo debito gravante sui condebitori in solido”. Per altro verso, la decisione censurata ipotizza la natura non novativa dell’accordo stipulato dal Banco di Napoli con il fallimento.

Evidenziata, per contro, la necessità di esaminare con attenzione il testo dell’accordo, si assume che attraverso di esso il Banco di Napoli avrebbe inteso rinunciare all’opposizione allo stato passivo per la mancata ammissione di un proprio credito a fronte della rinuncia della curatela ad un giudizio per la revocatoria fallimentare di un bonifico di Lire 1.260.554.760, con versamento da parte dell’istituto di credito di Lire 350.000.000. Entro questi limiti, dunque, andrebbe intesa la clausola – che la ricorrente, peraltro, considera di stile – secondo cui “le parti dichiarano reciprocamente di non aver più nulla da pretendere per nessun titolo e/o ragione discendente dai rapporti intercorsi tra (OMISSIS) (id est: (OMISSIS)) e Banco di Napoli”, tanto che, con ulteriore pattuizione contrattuale, si stabilisce che il secondo “dichiara di non rinunziare a far valere l’originale credito nei confronti degli altri coobbligati, escludendo pertanto per essi il diritto di profittare della transazione, dovendosi intendere l’accordo di cui innanzi limitato nei confronti della procedura fallimentare”.

Orbene, la Corte di Appello, prima ancora di richiamare la citata sentenza della Corte di Cassazione aveva l’obbligo – proprio sulla scorta dei principi da essa enunciati – di svolgere “un’indagine sul contenuto della transazione”, che ha invece omesso sul presupposto che oggetto della stessa “fosse l’intero debito vantato dalla banca” nei confronti di (OMISSIS), omettendo di valutare se l’accordo fosse novativo, se tra l’accordo e l’obbligazione del F. vi fosse comunanza di oggetto, esaminando solo “un aspetto secondario e non pertinente”, ovvero se la transazione avesse riguardato o meno l’intero credito del Banco di Napoli.

Non irrilevanti sarebbero, inoltre, due aspetti: l’essere stata la transazione stipulata dal Banco di Napoli, solo indirettamente interessando la S.G.A.; l’avere riguardato il fallimento della (OMISSIS) e la curatela, che giammai può ritenersi “uno dei debitori in solido” ex art. 1304 c.c., data la sua figura di terzo nel rapporto debitore/creditore. In particolare, una conferma di tale ultimo assunto sarebbe offerta da quella giurisprudenza secondo cui l’ammissione o l’esclusione di un credito non ha alcuna efficacia fuori della procedura fallimentare, sicchè il creditore, dopo la chiusura del fallimento, può far valere le maggiori ragioni di credito nei confronti del debitore tornato “in bonis” e nei confronti del suo fideiussore.

3.3. Il terzo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), – ipotizza “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio”, e ciò “relativamente alle previsioni contenute nell’accordo intervenuto tra il Banco di Napoli e il Fallimento (OMISSIS)”.

Per l’esattezza, il fatto omesso sarebbe la precisazione contenuta nella transazione e secondo cui “veniva escluso per i coobbligati di profittare della transazione, dovendosi intendere l’accordo di cui innanzi limitato nei confronti della procedura fallimentare”. In particolare, era necessario, secondo la ricorrente, stabilire se fosse lecita tale previsione. Al riguardo, essa osserva che, nel dare vita a tale previsione, i legali delle parti ebbero ben presente che il principio secondo cui “la transazione, fatta dal creditore con uno dei debitori in solido, giova agli altri che dichiarino di volerne profittare, opera solo in mancanza di diversa e contraria manifestazione di volontà del creditore, contenuta nella stessa ovvero in una clausola aggiunta ad essa”. Scopo della clausola, dunque, era – secondo la ricorrente quello, del tutto lecito, di precisare che la transazione “aveva effetto solo per le parti e quindi per la sola procedura fallimentare”.

4. Hanno resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, il F. e la M., per chiedere che essa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata, svolgendo, altresì, ricorso incidentale, sulla base di un solo motivo.

Esso ipotizza violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), nonchè omesso esame su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per avere la Corte disposto l’integrale compensazione delle spese di lite.

Siffatta decisione è stata motivata sul rilievo che solo con la citata sentenza n. 30174 del 2011 delle Sezioni Unite di questa Corte è stato composto il contrasto di giurisprudenza in tema di fideiussione, senza, però, considerare che tale pronuncia è stata emessa in data abbondantemente anteriore alla decisione della controversia in primo grado e dell’instaurazione del giudizio di appello.

5. La società S.G.A. ha resistito, con controricorso, al proposto ricorso incidentale, sottolineando come il sindacato di questa Corte sulla disposta compensazione sarebbe possibile solo in caso di “marchiano errore di diritto”.

6. Ha depositato comparsa di costituzione datata 26 febbraio 2018 il nuovo difensore dei controricorrenti, con atto, tuttavia, non idoneo a tale scopo, atteso che nel giudizio di cassazione, “il nuovo testo dell’art. 83 c.p.c. secondo il quale la procura speciale può essere apposta a margine od in calce anche di atti diversi dal ricorso o dal controricorso, si applica esclusivamente ai giudizi instaurati in primo grado dopo la data di entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45 (ovvero, il 4 luglio 2009), mentre per i procedimenti instaurati anteriormente a tale data” (come quello presente, risalente all’anno 2006), “se la procura non viene rilasciata a margine od in calce al ricorso e al controricorso, si deve provvedere al suo conferimento mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata, come previsto dall’art. 83 c.p.c., comma 2” (cfr., “ex multis”, Cass. Sez. 3, sent. 27 agosto 2014, n. 18323, Rv. 632092-01; nello stesso senso anche Cass. Sez. 2, ord. 9 agosto 2018, n. 20692, Rv. 650007-01).

7. Ha presentato memoria ex art. 378 c.p.c. S.G.A., insistendo nelle proprie argomentazioni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

8. Il ricorso principale va rigettato.

8.1. I motivi primo e secondo, da trattare congiuntamente data la loro connessione, non sono fondati.

La questione, posta in particolare dal primo motivo, relativa alla natura – accessoria o autonoma – della garanzia prestata, è irrilevante, giacchè la sopravvenuta estinzione dell’obbligazione garantita, in forza della disposta transazione, non potrebbe comportare la sopravvivenza del debito del garante neppure nel caso in cui la garanzia fosse qualificata come “a prima richiesta”.

Ha ribadito, di recente, questa Corte (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 31 marzo 2017, n. 8342, Rv. 644298), che “lo schema negoziale della garanzia autonoma, riconosciuto meritevole di tutela ex art. 1322 c.c., comma 2, secondo la ricostruzione della fattispecie che è stata compiuta dalla elaborazione giurisprudenziale, assume, infatti, quale elemento fondamentale del rapporto di garanzia la inopponibilità da parte del garante di eccezioni di merito proprie del rapporto principale”, in quanto, con riferimento all’aspetto strutturale del negozio, “l’elemento caratterizzante della fattispecie in esame viene individuato nell’impegno del garante a pagare “illico et immediate”, senza alcuna facoltà di opporre al creditore/beneficiario le eccezioni relative ai rapporti di valuta e di provvista, in deroga agli artt. 1936,1941 e 1945 c.c., caratterizzanti, di converso, la garanzia fideiussoria”. Nondimeno, proprio “dalla ricostruzione dello schema della garanzia autonoma” come sopra proposto, emerge “che lo scollamento tra il rapporto di valuta e quello di garanzia non possa spingersi fino a reputare indifferente rispetto alla obbligazione del garante, oltre ai vizi di invalidità del contratto (diversi dalla illiceità della causa e dalla contrarietà a norme imperative) anche la inesistenza del rapporto principale”, giacchè, “ove non voglia travalicarsi il limite di meritevolezza dell’interesse perseguito dalle parti attraverso la causa del negozio autonomo di garanzia, non sembra in ogni caso potersi prescindere dalla “esistenza” del rapporto obbligatorio”. Esso, infatti, “costituisce termine di riferimento (ovvero il presupposto esterno) della garanzia autonoma, atteso che la inesistenza – originaria o sopravvenuta – del rapporto principale di valuta, venendo ad escludere la stessa (astratta verificabilità della) perdita patrimoniale che – dall’inadempimento di quel rapporto sarebbe potuta derivare al creditore beneficiario, priva la garanzia della sua stessa ragione giustificativa, con la conseguenza che tale inesistenza (originaria o sopravvenuta) bene può costituire oggetto di eccezione idonea a paralizzare la pretesa del beneficiario volta ad ottenere (quando anche non ricorrano nella condotta del creditore gli estremi della frode o della mala fede della “exceptio doli”) una attribuzione patrimoniale “sine causa””.

La medesima pronuncia, inoltre, chiarisce che “il contratto di transazione al quale debba ricondursi la efficacia novativa-sostitutiva del rapporto” (come assume parte ricorrente essere avvenuto nel caso di specie, lamentando – con il secondo motivo di ricorso l’erroneità della sentenza impugnata, proprio in relazione all’omessa considerazione di tale profilo), “ha effetto estintivo delle garanzie reali originariamente prestate, salvo che i contraenti non abbiano convenuto di conservarle anche in relazione al nuovo contratto (art. 1232 c.c.): ed in quest’ultimo caso vale rilevare che il patto con il quale le parti del negozio transattivo convengono di mantenere le garanzie, opera esclusivamente “inter partes” (art. 1372 c.c.), sicchè quando il patto abbia ad oggetto la conservazione di garanzie prestate da terzi occorre il necessario consenso del garante” (cfr. Cass. Sez. 3, sent. n. 8342 del 2017, cit.).

I motivi primo e secondo del ricorso principale sono, dunque, non fondati.

8.2. Il terzo motivo è, invece, inammissibile.

Trova applicazione, nella specie, il principio secondo cui “il motivo di ricorso con cui si denuncia l’omesso esame di un fatto (…) deve specificamente fare riferimento non ad una “questione”” (come quella prospettata da parte ricorrente) “o un “punto” della sentenza, ma almeno ad un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo” (cfr. Cass. Sez. 1, sent. 8 settembre 2016, n. 17761, in motivazione).

Ancor più in particolare, si è affermato che “l’omesso esame della questione relativa all’interpretazione del contratto non è riconducibile al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5), in quanto l’interpretazione di una clausola negoziale non costituisce “fatto” decisivo per il giudizio, atteso che in tale nozione rientrano gli elementi fattuali e non quelli meramente interpretativi” (da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 8 marzo 2017, n. 5795, Rv. 643401-01; in senso analogo anche Cass. Sez. 2, sent. 13 agosto 2018, n. 20718, Rv. 650016-02).

9. Anche l’unico motivo di ricorso incidentale non è fondato.

9.1. Trova, infatti, applicazione il principio secondo cui in “tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi”. (da ultimo, Cass. Sez. 6-3, ord. 17 ottobre 2017, n. 24502, Rv. 646335-01; nello stesso senso anche Cass. Sez. 1, ord. 4 agosto 2017, n. 19613, Rv. 645187-01).

10. In ragione del rigetto di entrambi i ricorsi, e dunque della reciproca soccombenza delle parti, le spese del presente giudizio vanno integralmente compensate tra le stesse.

11. A carico sia della ricorrente principale che dei ricorrenti incidentali sussiste l’obbligo di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale, compensando integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte sia della ricorrente principale che di quelli incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, all’esito di pubblica udienza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 2 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2019

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