Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25217 del 24/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 24/10/2017, (ud. 07/06/2017, dep.24/10/2017),  n. 25217

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2690-2012 proposto da:

FAPU SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAIO MARIO 7, presso

lo studio dell’avvocato MARIA TERESA BARBANTINI, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato GIANNANTONIO ALTIERI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI TRIESTE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMILIO DE’

CAVALIERI 11, presso lo studio dell’avvocato ALDO FONTANELLI,

rappresentato e difeso dagli avvocati MARITZA FILIPUZZI, MARIA

SERENA GIRALDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 506/2011 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 23/08/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/06/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

Fatto

RILEVATO

che la società F.A.Pu. s.r.l. ha proposto ricorso, sulla scorta di tre motivi, avverso la sentenza della corte d’appello di Trieste che, riformando la sentenza del tribunale della stessa città, ha liquidato in soli Euro 5.262,39 il credito della società ricorrente nei confronti del Comune di Trieste per la fornitura di beni destinati al servizio cimiteriale documentata dalla fattura n. (OMISSIS) di Lire 42.780.000;

che la corte giuliana – premesso che alla fornitura per cui è causa trovava applicazione la clausola penale presente nel capitolato generale dell’appalto aggiudicato alla F.A.Pu. all’esito della procedura d’asta – ha ritenuto che non sussistessero i presupposti della riduzione, ex art. 1384 c.c., di detta penale, alla cui stregua la società appaltatrice era tenuta a corrispondere, in caso di ritardo nelle consegne, una somma di denaro pari al 3% del valore della merce per ogni giorno di ritardo;

che secondo la corte distrettuale, peraltro, la società attrice non aveva assolto all’onere probatorio, sulla stessa incombente, circa l’eccessività della penale, avuto riguardo all’interesse del creditore;

che il Comune di Trieste ha depositato controricorso;

che per l’adunanza di camera di consiglio ex art. 180 bis c.p.c., comma 1 del 7.6.17, in cui la causa è stata decisa, non sono state depositate memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo la società ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 1384 c.c. e dell’art. 112 c.p.c., nonchè il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in cui la corte distrettuale sarebbe incorsa omettendo di esercitare il potere, anche ufficioso, di riduzione ad equità della clausola penale ed escludendo l’eccessività di una clausola penale che, in ragione di un ritardo complessivo nell’adempimento pari ad un mese e ventidue giorni, consentiva di ridurre il corrispettivo dovuto per la fornitura di oltre il 75% rispetto all’importo pattuito;

che, secondo la ricorrente, la pronuncia – ove vada ritenuta fondata sulla commisurazione dell’entità della penale all’intero rapporto contrattale e non, come pacifico tra le parti, al singolo ordinativo del 17 febbraio 1999 – risulterebbe viziata di ultrapetizione;

che la valutazione della corte circa l’interesse del creditore ad un adempimento tempestivo non terrebbe conto delle emergenze documentali attestanti che i beni oggetto della consegna ritardata erano destinati allo stoccaggio;

che il primo motivo va disatteso perchè – premessa la non pertinenza della denuncia di ultrapetizione (giacchè la sentenza gravata non fa alcun riferimento al valore complessivo rapporto contrattuale tra la società appaltatrice ed il Comune) – esso in sostanza si risolve in una censura dell’apprezzamento di merito operato dalla corte territoriale sulla eccessività della penale;

che detto apprezzamento è incensurabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo del vizio motivazionale (Cass. 3998/03, Cass. 6158/07), nella specie insussistente;

che, infatti, la sentenza gravata ha esaurientemente motivato sulle ragioni che l’hanno indotta a ritenere non eccessiva la penale, individuando tali ragioni nell’interesse del committente alla tempestività della fornitura (funzionale alla destinazione del materiale alle operazioni di estumulazione e traslazione) e nel rilievo del mancato assolvimento, da parte dell’odierna ricorrente, dell’onere di provare che la fornitura fosse destinata allo stoccaggio e che il ritardo fosse irrilevante ai fini della regolare erogazione del servizio di sepoltura;

che con il secondo motivo – riferito alla violazione dell’art. 1384 c.c., nonchè all’insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio – la ricorrente censura l’argomentazione della sentenza gravata secondo cui non sarebbe stata raggiunta la prova del fatto che la merce oggetto della fornitura fosse destinata allo stoccaggio;

che tale fatto, secondo la ricorrente, emergerebbe chiaramente sia dal capitolato generale d’appalto, sia dall’ordine stesso, in cui si richiede un preavviso per la consegna tale da garantire lo stoccaggio della merce;

che anche il secondo motivo va giudicato inammissibile, perchè anch’esso prospetta doglianze sostanzialmente di merito;

che, peraltro, la questione della destinazione della fornitura allo stoccaggio è priva del carattere della decisività, perchè anche per la destinazione allo stoccaggio la tempestività della consegna può essere astrattamente rilevante ai fini del regolare svolgimento delle operazioni di sepoltura;

che il terzo motivo, con cui si argomenta che dall’accoglimento del ricorso discenderebbe anche la riforma circa la statuizione della corte territoriale in punto di spese, non contiene alcuna censura alla sentenza gravata, risolvendosi in una sollecitazione, rivolta a questa Corte, a rivedere la regolazione delle spese di lite in caso di accoglimento delle doglianze di cui ai primi due motivi;

che quindi in definitiva il ricorso va rigettato;

che le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE

Condanna la ricorrente a rifondere al contro ricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.000, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2017

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