Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25216 del 24/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 24/10/2017, (ud. 06/06/2017, dep.24/10/2017),  n. 25216

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12888-2012 proposto da:

C.F., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO PLACIDI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTO BARBERIO;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO FABBRICATO (OMISSIS), T.L., T.M.R.,

T.B.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 369/2011 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 04/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/06/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del settimo motivo e per il rigetto dei restanti motivi di

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Condominio del fabbricato (OMISSIS), conveniva con atto del 1983 innanzi al Tribunale di quella Città C.F., quale costruttore-venditore del medesimo fabbricato e T.L., M.R. e B., quest’ultimi tutti quali eredi del de cuius T.G., costruttore-venditore dell’edificio stesso.

Parte attrice esponeva nell’atto introduttivo del giudizio che, sin dal 1974, vi erano state denunce, di cui in atti, nei confronti degli anzidetti costruttori venditori per gravi difetti del fabbricato in narrativa e chiedevano la condanna dei convenuti, in solido fra loro, all’esecuzione – a loro cura e spese – dei lavori necessari per eliminare i lamentati vizi e difetti.

Si costituiva in giudizio il solo C. che eccepiva la decadenza e la prescrizione della svolta azione attorea, essendo stato il fabbricato, nel 1970, ultimato e,a suo dire, realizzato regolarmente.

Nel merito il convenuto costituito chiedeva il rigetto dell’avversa domanda per infondatezza.

L’adito Tribunale, con sentenza del 9 giugno- 12 luglio 2015, accoglieva, per quanto di ragione, la domanda e condannava i convenuti, in solido, al pagamento in favore del Condominio attore della somma complessiva di Euro 121.476,95, oltre rivalutazione.

Regolava le spese di lite secondo il principio di soccombenza.

Avverso la suddetta decisione del Giudice di prime cure, della quale chiedeva la riforma, interponeva appello il C. con atto fondato su cinque motivi di gravame, resistito dal condominio appellato,che chiedeva il rigetto dell’avversa impugnazione.

Si costituivano, altresì, in giudizio gli anzidetti eredi del T.G., che instavano per la riforma della sentenza di primo grado.

La Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza n. 369/2011, in parziale riforma della prima decisione, accoglieva l’appello incidentale ritenendo non provata la responsabilità del T., rigettava l’appello principale del C., che veniva condannato al pagamento delle spese del giudizio e compensava integralmente le spese del doppio grado del giudizio quanto al rapporto processuale fra gli appellanti incidentali e l’appellato.

Per la cassazione della succitata sentenza della Corte territoriale ricorre il C. con atto affidato a sette ordini di motivi.

Non hanno svolto attività difensiva le parti intimate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta la carenza motivazionale della gravata decisione “circa fatti controversi e decisivi per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”. La doglianza è svolta con riferimento alla valutazione del riconoscimento dei vizi ed all’impegno, assunto per la loro eliminazione, dal C..

Il motivo non può essere accolto.

L’impugnata sentenza, con logica ponderazione delle circostanza di fatto, ha valutato correttamente il riconoscimento dei vizi effettuato dal C. con conseguente obbligo all’effettuazione delle riparazioni.

La valutazione svolta dalla Corte distrettuale appare viepiù corretta ove si pensi che, in punto, la Corte distrettuale si è attenuta al principio, più volte già enunciato da questa (Cass. n.ri 13/93 e 567/2005), secondo cuì il termine decennale di prescrizione, nell’ipotesi di riparazioni eseguite dall’appaltàtore a seguito di denuncia di vizi dell’opera e costituente riconoscimento dei vizi, “inizia a decorrere nuovamente dall’esecuzione dei lavori”.

In conclusione il motivo va respinto.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, nonchè violazione degli artt. 1230 e 1669 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

In particolare parte ricorrente espone che la “Corte catanzarese avrebbe sovvertito l’impianto della domanda” poggiata su collegamento funzionale fra scoperta dei vizi (1974) e perizia giurata (1983).

La censura, tuttavia, non appare fondate ed elude disinvoltamente taluni rilevati risultanze di causa.

Il collegamento causale, nella fattispecie, conseguiva ai risultati peritali ovvero alle conclusioni ed alla “acquisizione della perizia giurata del 1983”, elementi – tutti – che consentivano indubbiamente una più apprezzabile conoscenza dei vizi.

Orbene la necessità di tali elementi era già invocata dal Condominio nella conclusionale del giudizio di primo grado. Non vi è stato, quindi, alcun “sovvertimento dell’impianto della domanda” svolto dalla Corte Catanzarese, come pretestuosamente postulato dal ricorrente.

Per di più, sotto altro ulteriore profilo, poichè già la sentenza di primo grado aveva collegato funzionalmente, quanto all’aspetto della sua efficace promozione, la domanda al succitata perizia e, quindi, all’apprezzabile conoscenza dei vizi, incombeva all’odierno ricorrente l’onere di svolgere apposito motivo di gravare in appello.

In conclusione in motivo va respinto.

3.- Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1988 c.c., nonchè erronea e falsa applicazione dell’art. 2394 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La censura, comunque infondata, deve ritenersi nuova. Quella posta col motivo qui in esame, costituisce – allo stato degli atti – questione nuova (non risultante come già svolta nei pregressi gradi del giudizio) o comunque, come tale, ritenuta in difetto di ogni altra dovuta opportuna allegazione.

Il motivo è, pertanto, del tutto inammissibile.

Infatti “i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito nè rilevabili d’ufficio.” (Cass. civ., Sez. Prima, Sent. 30 marzo 2007, n. 7981 ed, ancora e più di recente, Sez. 6 – 1, Ordinanza, 9 luglio 2013, n. 17041).

4.- Con il quarto motivo del ricorso si prospetta il vizio di violazione degli artt. 115 e 167 c.p.c., art. 2697 c.c. e art. 14 preleggi in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La censura è del tutto incentrata sulla valutazione della missiva del 25 giugno 1976 da parte del C..

Il contenuto di quella missiva fu, come innanzi accennato, già valutato dal Tribunale di prima istanza e ritenuto come “impegno novativo idoneo a sostituire l’originaria garanzia ex art. 1669 c.c.”.

La Corte distrettuale ha, in punto, ribadito nella propria sentenza oggetto dell’odierno gravame il riportato orientamento di questa Corte alla cui stregua sorge una nuova obbligazione dal riconoscimento dei vizi ad opera dell’appaltatore.

Il motivo è, quindi, infondato e va rigettato.

5.- Con il quinto motivo del ricorso si censura il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 2393 e 1669 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè carenza motivazionale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il motivo qui in esame riprende espressamente il primo e terzo motivo di appello a suo tempo svolti dall’odierno contro ricorrente.

Quei motivi furono ritenuti e devono essere anche oggi correttamente ritenuti come assorbiti e preclusi dalla svolta valutazione circa la fonte di responsabilità in relazione alla quale veniva svolta la domanda.

In proposito non può che rammentarsi, ancora una volta, che la succitata missiva del C. costituiva riconoscimento dei vizi, che – con l’effettuazione degli ulteriori lavori – comportava conseguentemente il differimento dei termini di decadenza e prescrizione della domanda attorea.

Il motivo, in quanto infondato, va – dunque – respinto.

6.- Con il sesto motivo del ricorso si deduce il vizio di insufficiente e carente motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 2397 e 2944 c.c. in relazione all’art. 360 cp.c., n. 3.

Si lamenta, sotto il mero profilo del fatto, la pretesa mancanza dei presupposti del riconoscimento dei difetti nella lettera del 25.10.1976 da parte del C..

La censura non è ammissibile in quanto tesa ad una revisione del corretto ragionamento decisorio del Giudice del merito, che – con corretta valutazione – ha ritenuto che la citata missiva costituiva riconoscimento dei vizi.

Al riguardo non possono che ribadirsi i principi, già enunciati da questa Corte, alla stregua dei quali è stato affermato che “il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 non può equivalere e risolversi nella revisione del “ragionamento decisorio” (Cass. civ., Sez. L., Sent. 14 no novembre 2013, n. 25608); ed, ancora, che “la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito emerga una totale obliterazione di elementi” (Cass. civ., S.U., Sent. 25 ottobre 2013 n. 24148).

Quanto alla parte del motivo con cui si lamenta la violazione delle indicate norme ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 deve osservarsi quanto segue.

La svolta censura non è ammissibile in quanto carente sotto il profilo della prescritta specificità.

Parte ricorrente non specifica, nè indica in quali parti la sentenza gravata e le sue affermazioni in diritto si pongono in contrasto con disposizioni normative o con l’interpretazione delle stesse date da orientamenti e principi giurisprudenziali.

Al riguardo va ribadito ribadito il principio che questa Corte ha già avuto modo di enunciare per cui “difetta, pertanto, di specificità dei motivi il ricorso in cui, pur denunciando violazione e falsa applicazione della legge, con richiamo di specifiche disposizioni normative, non siano indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le disposizioni indicate – o con un’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina – per cui il motivo è inammissibile perchè non consente alla Corte di Cassazione di adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della denunciata violazione” (Cass. n. 10475/2001 e Cass. 1317/2004).

In conclusione può affermarsi il principio per cui, in particolare, parte ricorrente deve sempre adempiere l’onere di dare concretezza alla censura mossa esponendo in quali specifici passaggi la sentenza impugnata si presenti errata o in violazione di specifiche norme e principi, di guisa che il ricorso per motivi di legittimità in Cassazione (che è ricorso a critica vincolata) non finisca per essere contrassegnato da una vasta gamma di censurabilità tale da configurare una maglia ancor pii larga dì quella oggi legislativamente prevista per la proposizione dei motivi di appello”.

Il motivo è, quindi, inammissibile nel suo complesso.

7.- Con il settimo motivo del ricorso si prospetta il vizio di carenza motivazionale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè violazione e falsa applicazione – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – degli artt. 1669, 1130, 1131 e 1123 c.c. e art. 81 c.p.c.

La censura in esame riprende il quarto motivo di appello relativo alla pretesa carenza di legittimazione all’azione del condominio.

Parte ricorrente adduce che, nella fattispecie, non era possibile per il Condominio azionare “rivendicazioni singoli condomini” e proprie solo di tali ultimi.

Quello che è stato denunciato col motivo quì in esame è, in sostanza, un “travalicamento” che sarebbe stato compiuto con la decisione (e secondo parte ricorrente) da parte della Corte di Appello.

La censura non è fondata per un duplice ordine di ragioni. Innanzitutto, in punto di fatto, la tinteggiatura di appartamenti di singoli condomini per infiltrazioni provenienti dalla mal realizzata facciata condominiale costituiscono comunque danni effetti conseguenti a danni di parti comuni dell’edificio condominiale.

Le lavorazioni suddette erano state, peraltro, ritenute – dal CTU – come “dovute”.

Inoltre (e decisivamente al fine di smentire il ventilato “travalicamento” della Corte territoriale) deve rammentarsi il principio estensivo alla cui stregua va correttamente perimetrato l’ambito di applicazione dell’art. 1130 c.c., n. 4. Per costante giurisprudenza di questa Corte, che oggi appare necessario ribadire, “l’art. 1130 c.c., n. 4, che attribuisce all’amministratore del condominio il potere di compiere atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio deve interpretarsi estensivamente nel senso che, oltre agli atti conservativi necessari ad evitare pregiudizi a questa o a quella parte comune, l’amministratore ha il potere – dovere di compiere analoghi atti per la salvaguardia dei diritti concernenti l’edificio condominiale unitariamente considerato. Pertanto rientra nel novero degli atti conservativi di cui al citato art. 1130 c.c., n. 4 l’azione di cui all’art. 1669 c.c. intesa a rimuoverei gravi difetti dì costruzione, nel caso in cui questi riguardino l’intero edificio condominiale ed i singoli appartamenti, vertendosi in una ipotesi di causa comune di danno che abilita alternativamente l’amministratore del condominio ed i singoli condomini ad agire per il risarcimento, senza che possa farsi distinzione tra parti comuni e singoli appartamenti o parte di essi soltanto” (Cass. civ., Sez. Seconda, Sent. 23 marzo 1995, n. 3366 e Sent. 18 giugno 1996, n. 5613).

Il motivo, in quanto infondato, va dunque respinto.

8.- Alla stregua di quanto innanzi esposto, affermato e ritenuto, il ricorso va rigettato.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2017

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