Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25215 del 10/11/2020

Cassazione civile sez. lav., 10/11/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 10/11/2020), n.25215

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17273-2017 proposto da:

D.G.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO

CESI 44, presso lo studio dell’avvocato MARCO ZUMMO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

UNICREDIT S.P.A., già BANCO DI SICILIA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DI RIPETTA 70, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO LOTTI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati FABRIZIO DAVERIO,

VINCENZO FERRANTE, SALVATORE FLORIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 991/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 28/12/2016 R.G.N. 277/2014.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. D.G.C. agiva nei confronti del Banco di Sicilia s.p.a. di fronte al Tribunale di Palermo, esponendo di essere stato dipendente del Banco sino al 30.9.1992 e di aver goduto della pensione integrativa a carico del Fondo interno sino al 30 giugno 2006, quando sottoscriveva un accordo in base al quale accettava la capitalizzazione della sua quota pensionistica attraverso il pagamento in unica soluzione della somma di Euro 129.122,10, in applicazione di quanto previsto da un accordo collettivo sottoscritto in data 26.4.2006 fra il Banco e le Organizzazioni sindacali dei lavoratori. Chiedeva l’accertamento del proprio diritto all’aggiornamento, ai sensi della L. n. 243 del 2004, art. 55 del trattamento percepito, e il pagamento delle differenze pari ad Euro 13.799,35; la declaratoria d’illegittimità/inefficacia dell’art. 16 del detto accordo sindacale, che individuava i parametri per la determinazione degli importi liquidati, e la condanna del Banco al pagamento delle differenze pensionistiche pari ad Euro 241.566,85; in subordine, previo accertamento dell’illegittimità dei criteri posti dall’art. 16 dell’accordo del 26.4.2006 e comunque dell’erroneità dei conteggi predisposti dalla controparte, la condanna del Banco al pagamento delle differenze pensionistiche espressamente indicate;

2. il Tribunale di Palermo rigettava il ricorso, accogliendo l’eccezione di decadenza sollevata da UniCredit s.p.a. (incorporante il Banco di Sicilia) in virtù del fatto che il ricorrente avesse accettato il 27/6/2006 la proposta di capitalizzazione del proprio trattamento pensionistico complementare in esecuzione dell’accordo sindacale del 26/4/2006, donde la ritenuta tardività ai sensi dell’art. 2113 c.c. dell’impugnativa del 28/12/2006;

3. La Corte d’appello di Palermo rigettava il gravame proposto da d.G.C., pur mutando la motivazione assunta dal Tribunale;

4. a fondamento del rigetto, la Corte territoriale escludeva in primo luogo che il ricorrente fosse incorso nella decadenza dall’impugnazione ex art. 2113 c.c. in considerazione del fatto che l’adesione del numero percentuale indicato come condizione per la validità dell’accordo si era verificata solo il 30/9/2006 e quindi l’impugnativa era intervenuta tempestivamente;

5. in merito alla contestata validità dei criteri assunti dell’accordo sindacale, la Corte territoriale rilevava che il relativo art. 20 prevedeva che la disciplina ivi dettata fosse unitaria ed inscindibile, sicchè la contestazione della validità delle clausole negoziali avrebbe potuto determinare la caducazione dell’intero negozio, e non l’integrazione del relativo contenuto secondo i desiderata del D.G.;

6. aggiungeva che quello del 26.4.2006 non era un accordo immediatamente efficace nei confronti della generalità dei pensionati, ma un’articolazione negoziata da proporre ai singoli per essere da questi accettata o meno, sicchè risultava infondata la pretesa del D.G. di modificare unilateralmente la proposta della Banca. Quanto ai profili di erroneità del calcolo in base ai criteri di cui all’art. 16 dell’accordo, aggiungeva che l’unica doglianza specifica era risultata infondata alla luce della CTU espletata in secondo grado, e che l’importo della capitalizzazione della prestazione integrativa era stato determinato con la corretta applicazione delle tavole di mortalità del 2000; l’affermazione di supposti errori contabili inoltre era stata formulata in termini del tutto generici e la richiesta di ricalcolo era meramente esplorativa;

7. riteneva infine infondato il rivendicato diritto a una perequazione automatica agganciata al pari grado di servizio (c.d. clausola oro) rispetto a quella applicata dal Banco di Sicilia per il periodo anteriore al 30/6/2006, richiamando la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 9023 del 2001 e le successive conformi;

8. per la cassazione della sentenza D.G.C. ha proposto ricorso, affidato a tredici motivi, cui ha resistito con controricorso UniCredit spa, che ha depositato anche memoria ex art. 380 bis. 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

9. i motivi di ricorso sono stati sintetizzati alle pagine 2, 3 e 4 come segue:

“1) violazione e falsa applicazione dell’art. 2113 c.c. (v. sub H7, H9, H12, H15, H16, H17) per il mancato riconoscimento degli effetti ablativi relativi alla impugnazione dell’atto transattivo intercorso tra il Banco di Sicilia s.p.a. e il ricorrente, per il riscatto della prestazione integrativa, il cui importo è stato calcolato erroneamente, in base alla metodologia prevista dalla matematica attuariale applicata a forme pensionistiche complementari c.d. a prestazioni definite;

2) violazione della normativa prevista dal D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 10 (v. sub H13) e/o nella impossibilità di applicare tale normativa, violazione delle norme previste dal codice civile per la capitalizzazione delle rendite vitalizie alla quale è assimilata la rendita pensionistica integrativa del ricorrente;

3) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1866 – 2123 c.c. (v. sub H1, H7, H17) e art. 39 Cost. (v. sub H7) riguardante il diritto al corretto riscatto della prestazione integrativa del ricorrente;

4) violazione dell’art. 1873 c.c. (v. sub H3, H17) riguardante la determinazione della “durata” della rendita vitalizia, legata all’esistenza in vita del titolare del diritto, da determinare con i dati statistici rilevati da tavole di mortalità ISTAT più vicine all’epoca in cui si vuole misurare il fenomeno valutativo e non quelle del 2000, arretrate di 6 anni, come ha fatto il Banco;

5) omessa pronuncia ex art. 360 c.p.c. sulla richiesta di aggiornamento della quota integrativa – prima della sua capitalizzazione – mediante il ripristino del meccanismo automatico della perequazione annuale secondo quanto prescritto dal D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 11 per manifesta illegittimità della L. n. 449 del 1997, art. 59, com. 32/b e in forma retroattiva per la sopravvenuta norma imperativa prevista dalla L. n. 243 del 2004, art. 1, comma 55 (v. sub H2, H21);

6) violazione degli artt. 1866 e 1284 c.c. riguardanti il tasso legale di capitalizzazione per la determinazione del valore del riscatto, in quanto tale tasso non è legato alle condizioni macro-economiche del mercato, nè tanto meno al rendimento di mercato di titoli di aziende primarie, in quanto la prestazione è di tipo integrativo e non complementare come, per motivi opportunistici, ha fatto il tecnico del Banco, tesi questa avallata dai Giudici della Corte d’appello (v. sub H1, H6, H17);

7) falsa applicazione della L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 32/b (v. sub H2, H11, H21) per manifesta illegittimità, dovuta a tardività, irrazionalità, irragionevolezza e incostituzionalità di tale norma, in quanto lesiva di diritti quesiti perfetti, (L. n. 218 del 1990, art. 3, comma 2 e comma 3/c) nascenti da leggi non espressamente abrogate, previsti da leggi ordinamentali di rango superiore a carattere generale di cui al D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 11;

8) violazione del principio di uguaglianza previsto dall’art. 3 Cost. avendo provocato un vulnus patrimoniale permanente ad una categoria ristretta limitata ai soli pensionati di due ex enti pubblici creditizi con l’applicazione della L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 32/b; ove non venisse riconosciuta l’incostituzionalità della norma in questione, e ritenuto ancora vigente la L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 32/b si chiede la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale per lesione degli artt. 3,53,36 e 38 Cost. (v. sub H21);

9) violazione e falsa applicazione della L. n. 243 del 2004, art. 1, comma 55, (v sub H2 e H19 e del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 11 (v. sub H2, H11, H21). Il presupposto ravvisato motivo di utilità del Banco di stipulare un nuovo contratto malgrado non si fossero verificate le condizioni imposte dalla L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 33 nonchè l’elusione dell’applicazione della norma imperativa di cui alla L. n. 243 del 2004, art. 1, comma 55, rappresentano un atto illecito e motivo di annullamento del contratto ai sensi dell’art. 1344 c.c.. In riferimento alla violazione e falsa applicazione alla L. n. 243 del 2004, art. 1, comma 55, si fa riferimento alla Corte Cost. con la Sent. n. 362/08, che ha riconosciuto l’interesse generale di riordino del sistema previdenziale del settore mediante la corretta interpretazione di leggi esistenti e gli effetti che detta normativa andava a produrre su tutti gli altri pensionati degli ex enti pubblici creditizi, oltre alla estinzione del contenzioso esistente per il riconoscimento del meccanismo di perequazione agganciato al 90% degli emolumenti dei pari grado, in servizio, c.d. clausola d’oro;

10) violazione e falsa applicazione della normativa del D.Lgs. n. 252 del 2005 (v. sub H6), della L. n. 218 del 1990 (v. sub H9) e in particolare del D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 5 (v. sub H5, H6, H19, H21) per essere stato effettuato il calcolo del valore del riscatto della prestazione integrative del ricorrente con la metodologia prevista dalla matematica attuariale applicata alle forme pensionistiche complementari a prestazioni definite, in quanto in primo luogo tale normativa non in vigore al 30/6/2006 ed inoltre perchè il Fondo Previdenziale del Banco di Sicilia in forza della L. n. 218 del 1990 e in particolare del D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 55 ha finalità, invero, di previdenza integrativa;

11) violazione dell’art. 2117 c.c. (v. sub H6) per illecito prelievo di riserve matematiche del Fondo Integrativo, a sua volta ripianate illegalmente con l’impiego delle somme emerse dalla verifica attuariale del 31/12/2006 (V. Verb. 18/3/2003 pag.9 – Verb. 18/12/2007).

12) violazione ex art. 111 Cost. (v. sub H3, H4, H6, H8, H10, H15, H17, H18, H19) art. 421, 437 (v. sub H5) e 99 (v. sub H10) e 115 -116 c.p.c. (v. sub H5, H18), omesse pronunce ex art. 360 c.p.c. (v. sub H1, H2, H5, H17, H21) in riferimento al travisamento di fatti essenziali, alla mancata ammissione e/o valutazione di prove, alle omesse pronunce che hanno determinato una violazione del principio del giusto processo;

13) violazione dell’art. 12 preleggi e/o degli artt. 1362-1367 e 1370 c.c. (v. sub H14) sull’interpretazione del contratto, in riferimento ai macroscopici errori di calcolo effettuati sul trattamento riconosciuto al ricorrente nulla scorta dell’accordo contrattuale Banco – Sindacati, con efficacia vincolante”;

10. la sintesi sopra riportata accorpa le critiche che sono state proposte in varie parti dello sviluppo argomentativo del ricorso, che si protrae per 160 pagine;

11. la struttura del ricorso impone di raggruppare l’esame di alcuni dei motivi proposti, che pongono questioni tra loro connesse;

12. in particolare, con riferimento ai motivi con i quali si richiede che l’accordo sindacale sia disatteso con riferimento all’applicazione di un diverso metodo attuariale e di diversi parametri nella determinazione della pensione capitalizzata (sintetizzati ai nn. 1, 2, 3, 4, 6 e 10), se ne rileva l’infondatezza;

13. l’art. 16 dell’accordo sindacale del 26.4.2006 ha individuato le ipotesi economiche assunte per la determinazione degli importi previsti dai precedenti artt. 9, 12, 13 e 14, nei seguenti termini: “tasso d’inflazione annuo al 2%; rendimento finanziario annuo 4, 75%; crescita annua delle retribuzioni per rinnovi contrattuali, automatismi e avanzamenti di carriera 3,50%; tavole di mortalità ISTAT 2000; età di pensionamento: età pensionabile di vecchiaia o, se inferiore, età di un anno maggiore a quella in cui è maturata la pensione di anzianità”;

14. la dedotta inopponibilità della clausola dell’accordo sindacale del 26.4.2006, la cui adesione ha determinato la liquidazione della quota residua di pensione integrativa capitalizzata, si pone in evidente contraddizione logica con la richiesta di riliquidazione della prestazione previdenziale in questione, la quale può trovare accoglimento solo applicando la regolamentazione negoziale con la quale è stata introdotta la possibilità, per il personale già collocato in pensione (quale il D.G., in pensione dal 30.9.1992) di percepire in unica soluzione detta prestazione (v. in tal senso, in fattispecie parzialmente assimilabile, che riguardava la determinazione della pensione integrativa capitalizzata spettante ai pensionati di altro istituto bancario, Cass. n. 28/09/2018, n. 23598);

15. a differenza di quanto assume il ricorrente, neppure sussisteva un diritto ad una determinata misura della pensione capitalizzata, o alla sua determinazione in applicazione di norme imperative che sostituissero di diritto le clausole pattizie che si assumono nulle (ex art. 1419 c.c., comma 2);

16. la possibilità di ottenere l’importo residuo della pensione integrativa già in godimento capitalizzato in unica soluzione non sussisteva infatti anteriormente all’accordo, che ne ha quindi definito i presupposti e la misura, individuando in via convenzionale, e sull’accordo delle parti sindacali, i parametri concordati di calcolo in relazione ad aspetti di per sè futuri ed incerti. E difatti, se il rateo in essere della pensione era un dato certo, non altrettanto potevano esserlo gli ulteriori parametri aventi ad oggetto la proiezione di vita del pensionato, l’andamento dei rendimenti finanziari (valorizzato per scontare dal complessivo valore nominale delle somme che sarebbero state pagate tempo per tempo in assenza di opzione, quanto costituiva possibile rendimento finanziario futuro della somma resa immediatamente disponibile nella sua interezza), il tasso di inflazione annuo e così tutte le variabili del conteggio afferenti lo sviluppo futuro;

17. nè, trattandosi di un istituto e di una possibilità introdotti dall’accordo sindacale e non in precedenza regolamentati, poteva configurarsi un diritto all’applicazione di normative e criteri dettati ad altri fini ed in relazione a diverse provvidenze (qual è la norma del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 10 valorizzata dal ricorrente, che prevedeva, prima dell’abrogazione ad opera del D.Lgs. n. 252 del 2005, l’ipotesi in cui per il lavoratore venissero meno i requisiti di iscrizione al fondo prima della maturazione del diritto a pensione);

18. sicchè con l’adesione volontaria all’accordo, dichiarato dalle parti inscindibile nelle sue clausole, il pensionato ha accettato la liquidazione così come convenzionalmente configurata;

19. neppure del resto viene dedotto che la quantificazione così come operata sia stata di importo tale da determinare un vulnus alla funzione previdenziale garantita dall’art. 38 Cost. del trattamento pensionistico, nè il ricorrente, nella domanda così come interpretata dal giudice di merito, intende ottenere l’annullamento della propria adesione con ripristino del regime pensionistico integrativo secondo le modalità precedenti;

20. parimenti infondati sono i motivi (nn. 5, 7, 8, 9), che attengono alla richiesta più vantaggiosa di perequazione del trattamento pensionistico, dovendosi dare seguito all’orientamento ribadito in più occasioni da questa Corte di legittimità (v. tra le altre Cass. n. 17823 del 8/8/2014 e, da ultimo, Cass. n. 19090 del 1.8.2017) secondo il quale “in tema di regime perequativo dei trattamenti pensionistici integrativi, la L. 23 agosto 2004, n. 243, art. 1, comma 55, pur di interpretazione autentica della L. 23 ottobre 1992, n. 421, art. 3, comma 1, lett. p), e del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 9, comma 2, non ha implicitamente abrogato la L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 59, comma 32, – con conseguente ripristino dei meccanismi perequativi sulla quota di pensione a carico del fondo aziendale integrativo degli istituti di credito in difficoltà economica – dovendosi escludere che l’inciso “attraverso il pieno riconoscimento di un equo e omogeneo trattamento a tutti i pensionati iscritti ai vigenti regimi integrativi” abbia, di per sè, una simile valenza precettiva senza tenere conto del contesto normativo in cui è inserito, tanto più che l’indicata omogeneità di trattamento ha carattere generale, per cui non potrebbe mai prevalere sull’anteriore norma speciale prevista dalla L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 32″;

21. si è in tali arresti argomentato che la natura di norma di interpretazione autentica della L. n. 243 del 2004, art. 1, comma 55, è stata più volte confermata dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 13/02/2007 n. 3098, Cass. 23/10/2006 nn. 22700 e 22701) e dalla Corte costituzionale (v. Corte Cost. n. 362/2008), quest’ultima investita dall’ordinanza 12/10/2007 n. 21439 di questa Corte Suprema sul presupposto, appunto, della sua natura di norma di mera interpretazione autentica;

22. nè – contrariamente a quanto suggerisce il ricorso – può supporsi che il citato art. 1, comma 55, pur di interpretazione autentica, abbia però anche implicitamente abrogato la L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 32 in forza dell’inciso “… attraverso il pieno riconoscimento di un equo e omogeneo trattamento a tutti i pensionati iscritti ai vigenti regimi integrativi…”. In realtà è tecnicamente impossibile ricavare un contenuto precettivo estrapolando un singolo inciso dal contesto normativo cui appartiene. E l’inciso di cui sopra non costituisce un periodo e neppure una singola proposizione, restando criptico anche l’eventuale predicato sottinteso. Occorre tenere presente poi che tale affermazione di omogeneità di trattamento è non solo generica, ma di carattere generale, di guisa che, ove pure le si volesse attribuire autonoma precettività giuridica (il che, come s’è detto, non è consentito), ad ogni modo non potrebbe mai prevalere, quantunque posteriore, sull’anteriore norma speciale di cui all’art. 59, comma 32 cit. (lex posterior generalis non derogat priori speciali) (così Cass. 17823 del 2014 cit.);

23. con la sentenza n. 16206 del 2009 citata, in tema di regime perequativo dei trattamenti pensionistici dei dipendenti del Banco di Napoli, questa Corte ha poi affermato che “il legislatore, con la L. n. 243 del 2004, art. 4, comma 55, ha sopperito alle aporie del sistema fornendo l’interpretazione del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 9 in virtù della quale, a partire dai ratei maturati dal primo gennaio 1994, la perequazione generale doveva applicarsi a tutte le pensioni integrative dei dipendenti degli enti pubblici creditizi, qualunque fosse la data del pensionamento, inclusi i già pensionati di cui al D.Lgs. n. 357 del 1990, art. 3 così avvalorando l’orientamento giurisprudenziale favorevole a ravvisare la “ratio legis” del citato D.Lgs. n. 503 del 1992 nella necessità di regole uniformi per la perequazione di tutte le pensioni in atto alla data della sua entrata in vigore, senza esentare da questo riassetto gli ex dipendenti degli enti creditizi già pensionati alla data del 31 dicembre 1990, onde evitare il deprecabile fenomeno delle “pensioni d’annata”. Conseguentemente, la citata L. n. 243 non ha toccato la sorte del personale di cui al D.Lgs. n. 357, art. 2 atteso l’esclusivo riferimento all’art. 3 del medesimo testo normativo, nulla innovando quanto al personale in servizio alla data del 31 dicembre 1990, la cui disciplina sulla perequazione si evince dal citato D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 9, comma 2, e non implica dubbi di illegittimità costituzionale sotto i profili della ragionevolezza, della lesione dell’autonomia della funzione giurisdizionale, della lesione del diritto di difesa, della difformità di trattamento tra posizioni giuridiche tra loro differenziate, della violazione dei parametri normativi ex artt. 36 e 38 Cost., della lesione dei principi di libertà sindacale, dell’eccesso di delega. Nè la disposizione è censurabile per violazione dell’art. 117 Cost., per violazione dell’obbligo internazionale assunto dall’Italia con la sottoscrizione e ratifica della CEDU, in riferimento al suo art. 6, comma 1, posto che il principio (a quella norma riconducibile) di non ingerenza del legislatore nell’amministrazione della giustizia allo scopo d’influire sulla singola causa o su una determinata categoria di controversie non opera ove l’ingerenza della norma retroattiva sia giustificata da motivi imperiosi di carattere generale (nella specie, il programma di razionalizzazione del nuovo sistema previdenziale conseguente alla privatizzazione degli enti pubblici creditizi ed al trasferimento dei regimi esclusivi o esonerativi al regime speciale INPS, con fissazione di regole uniformi per la perequazione di tutte le pensioni in atto alla data della sua entrata in vigore; nè, infine, appare desumibile, dalla giurisprudenza della Corte Europea di Strasburgo, un principio secondo cui la necessaria incidenza delle norme retroattive sui procedimenti in corso le porrebbe automaticamente in contrasto con la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU)”;

24. i motivi 11, 12 (in cui si critica la c.t.u.) e 13 sono infine inammissibili, in quanto l’illustrazione delle ragioni che giustificano le censure, al di là della sintesi riportata in premessa, mescola profili di diritto sostanziale con altri processuali, con altri attinenti alla ricostruzione delle emergenze probatorie, con principi e regole di matematica attuariale e di tecnica contabile, in modo indistinto e promiscuo;

25. non può ritenersi quindi soddisfatta la prescrizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, che, secondo la costante e consolidata giurisprudenza di questa Corte, stabilisce che i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza non possono essere affidati a deduzioni generali, poichè il giudizio di cassazione è a critica vincolata, sicchè la tassatività e specificità dei motivi di ricorso esige la formulazione del vizio in modo che esso possa rientrare nelle categorie logiche di censura enucleate dal codice di rito (per tutte, Cass., n. 17183 del 2003, n. 10420 del 2005, Cass. n. 15882 del 2007). Non è quindi consentita l’esposizione diretta e cumulativa delle critiche che si muovono alla sentenza, quando la sua formulazione non permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato, così rimettendo al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (v. Cass. n. 19443 del 23/09/2011, n. 15242 del 12/09/2012, n. 9793 del 23/04/2013, S.U. Sez. U, n. 9100 del 06/05/2015);

26. segue coerente il rigetto del ricorso;

27. le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza;

28. ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 7.300,00 per compensi professionali, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2020

 

 

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