Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25214 del 29/11/2011

Cassazione civile sez. III, 29/11/2011, (ud. 14/10/2011, dep. 29/11/2011), n.25214

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.R.A. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLE QUATTRO FONTANE 10, presso lo studio

dell’avvocato PIVANTI ANDREA, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato GALLETTI CARLA giusta delega in atti;

– ricorrente –

e contro

M.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1763/2008 del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata

il 25/07/2008; R.G.N. 4592/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/10/2011 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il ricorso di B.R.A. è proposto avverso una decisione resa da giudice di rinvio a seguito di sentenza di questa Corte che ha cassato una prima decisione di appello per difetto di motivazione, essendosi limitata a definire come “persuasiva” una prima sentenza del giudice di pace, che aveva accertato la sussistenza della diffamazione senza alcun esame della fattispecie e decidendo secondo equità (peraltro erroneamente trattandosi di controversia nella quale la domanda era di valore superiore a L. due milioni). Decidendo dunque come giudice di rinvio, il Tribunale di Bologna (sentenza del 23 luglio 2008) confermava decisione del locale giudice di pace che aveva condannato il pilota commerciale B. al pagamento della somma di L. 1.500.000 oltre interessi a titolo di danno non patrimoniale in conseguenza del contenuto diffamatorio delle dichiarazioni rese ai Carabinieri ed al Direttore dell’Aeroporto di Bologna relative al funzionario aeroportuale M.G. (indicato dal B. come la persona che avrebbe riportato sul proprio titolo di volo – vale a dire sulla abilitazione al C/500 – anche la dicitura C/550, abilitazione della quale il B. non era tuttavia in possesso).

Osservava il giudice di appello che le dichiarazioni del B., pur non avendo contenuto calunnioso, offendeva comunque la reputazione del M., integrando quindi, gli estremi della diffamazione. Egli infatti aveva accusato il M. di avere effettuato le iscrizioni riportate sul suo titolo di volo: ciò aveva determinato la apertura a carico del M. di un procedimento penale ed amministrativo (conclusosi con la sua completa assoluzione).

Il Tribunale di Bologna, decidendo in grado di appello ed in sede di rinvio, osservava che la procedura prevista dalla direzione aeroportuale dell’aeroporto di Bologna prescriveva la presentazione da parte degli interessati di apposita domanda, con allegata documentazione, alla quale seguiva la apposizione sulla licenza di un apposito timbro da riempire con il tipo di aeromobile e la data. Il tutto con firma del direttore.

Del tutto irrilevante, pertanto, appariva la circostanza che il CESSNA 550 sia del tutti simile al CESSNA, come indicato dallo stesso costruttore ed il fatto che dunque la licenza di abilitazione al pilotaggio di aeromobile CESSNA 500 conseguita il 20 dicembre 1992 potesse estendersi, per similarità, secondo la tesi propugnata dal B., anche all’aeromobile CESSA C 550.

Nel caso di specie sussistevano tutti i requisiti del reato di diffamazione: il dolo generico (consistente nella coscienza e volontà della condotta offensiva, con la, consapevolezza della offensività dell’addebito per la reputazione e della percezione e comprensione da parte di almeno due persone).Le dichiarazioni del B. erano state rese in più riprese ai Carabinieri del Ministero dei Trasporti e non aveva alcun fondamento la tesi difensiva del convenuto originario, secondo la quale egli non era a conoscenza delle procedure amministrative seguite dall’Ufficio Brevetti per le annotazioni sulle licenze: la consapevolezza di avere attribuito al M. una condotta – quanto meno – irregolare rappresentava “il coefficiente psichico necessario e sufficiente ad integrare il dolo di diffamazione”.

Ricorre B. con cinque motivi. L’intimato non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia vizi della motivazione. Le dichiarazioni rilasciate dal M. in sede di sommarie informazioni dovevano considerarsi prive di qualsiasi valore probatorio, mancava la prova dell’elemento costitutivo del reato di diffamazione vale a dire della offesa alla altrui reputazione.

Il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c..

Il giudice di appello aveva ritenuto fatto notorio la procedura interna all’Ufficio Brevetto per la annotazione del tipo di velivolo sulla licenza di abilitazione. Il terzo motivo di ricorso sottopone a questa Corte il vizi di motivazione in ordine alla sussistenza della comunicazione con più persone, quale elemento costitutivo della diffamazione. Infatti i militari erano agenti di polizia giudiziaria tenuti al segreto istruttorio, ed avevano ricevuto le dichiarazioni del B. nell’esercizio delle proprie funzioni.

Tra l’altro (quarto motivo) il B. era interrogato come persona sottoposta ad indagini e la sua condotta doveva considerarsi scriminata ai sensi dell’art. 51 c.p. poichè egli aveva semplicemente esercitato il proprio diritto di difesa costituzionalmente garantito.

I primi quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente.

Essi sono manifestamente infondati.

Con motivazione che sfugge a qualsiasi censura, il Tribunale Bolognese ha spiegato le ragioni per le quali doveva ritenersi pienamente integrato il comportamento diffamatorio addebitato al B. ed ha sottolineato che la consapevolezza di aver attribuito al M. una condotta irregolare rappresentava il coefficiente psichico necessario e sufficiente ad integrare il dolo di diffamazione.

Quanto alle difese svolte dall’attuale ricorrente in ordine alla mancanza dell’elemento oggettivo, valgono le argomentazioni svolte dal Tribunale, che ha sottolineato, tra l’altro, che il B. rese analoghe dichiarazioni anche al direttore dell’aeroporto di Bologna, con conseguente apertura di un procedimento penale a carico del M..

Il quinto motivo pone invece la questione di diritto della omessa pronuncia sulla preliminare domanda di restituzione delle somme versate dal B. al M. (e dunque sul mancato pagamento di interessi sulle somme stesse dalla data del pagamento fino alla data della seconda sentenza di appello (quella emessa dal giudice di rinvio). Le censure non riguardano la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c. nè il difetto di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 bensì la violazione degli artt. 336 e 389 c.p.c. e dell’art. 149 disp. att. c.p.c. Il quesito di diritto posto con il motivo non si pone in diretta relazione con la pronuncia impugnata. Da qui la inammissibilità del motivo di ricorso.

In ogni caso, si rileva che sulla istanza di restituzione delle somme versate in esecuzione della decisione cassata – e di pagamento degli interessi sulle somme versate dal pagamento alla seconda sentenza di appello pronunciata dal giudice di rinvio – , di cui il ricorrente lamenta il mancato esame, il giudice del rinvio non era tenuto a pronunciarsi, in consonanza con il principio, pacifico nella giurisprudenza di questa Corte (Cass., n. 7750 del 27 marzo 2007, cfr. anche Cass. 1210/99; Cass., n. 11214/84; Cass., n. 6421/84;

Cass., n. 871/81), per il quale la pronuncia restitutoria o di ripristino di quanto una parte abbia dovuto eseguire, in, forza di una sentenza di condanna poi cassata, può esser omessa dal giudice di rinvio quando, con la sentenza che conclude il relativo giudizio, sia posto nuovamente in essere il titolo giustificativo di condanna ad eseguire la medesima prestazione.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato.

Nessuna pronuncia in ordine alle spese non avendo l’intimato svolto difese in questa fase del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2011

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