Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25213 del 29/11/2011

Cassazione civile sez. III, 29/11/2011, (ud. 14/10/2011, dep. 29/11/2011), n.25213

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

F.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ARCHIMEDE 167, presso lo studio dell’avvocato FONZI MARINA,

rappresentato e difeso dall’avvocato FONZI GIORGIO giusta delega in

atti;

– ricorrente –

e contro

FR.MA., D.D.Q., D.D.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1061/2005 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 30/11/2005; R.G.N. 681/2001;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/10/2011 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo che ha concluso per rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 15-30 novembre 2005 (no 40 2006) la Corte d’appello di L’Aquila ha confermato la decisione del Tribunale di Teramo del 19 aprile 2001, che aveva rigettato la domanda dell’attore G. F. intesa ad ottenere la declaratoria di inadempienza dei concedenti, tutti eredi di D.D.C., al contratto di affitto di fondo rustico, stabilito per la durata di quindici anni, dal 5 marzo 1989.

Con la medesima decisione, il Tribunale dichiarava inammissibile la domanda riconvenzionale proposta in via autonoma da Q. e D. D.R., con ricorso del 19 febbraio 2000.

Il ricorrente F., nel ricorso introduttivo, aveva dedotto che D.D.C. (dante causa dei tre resistenti) gli aveva concesso in affitto un fondo rustico di sei ettari, coltivato a noccioleto, con la possibilità di raccolta dei tartufi ivi esistenti.

In forza di tale contratto egli doveva provvedere alla coltivazione del noccioleto e poteva usufruire della parte non abitativa della casa colonica e delle attrezzature agricole, ripartendosi tra concedente ed affittuario il cinquanta per cento delle spese e del raccolto delle nocciole.

Sotto il controllo del D.D. – proseguiva il ricorrente F. – egli aveva provveduto a piantare alberi tartufigeni.

Deceduto il concedente, gli eredi – subentrati nel contratto lo avevano estromesso senza preavviso dal fondo, chiudendo il recinto e le rimesse degli attrezzi.

Concludeva il ricorrente che egli aveva, invece, diritto di rimanere nel fondo per la durata di quindici anni. Conseguentemente richiedeva la reintegra nel possesso del fondo, della rimessa della casa colonica e dei macchinari e la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni o in subordine al pagamento della indennità per i miglioramenti da recinzione del fondo.

I convenuti, costituendosi in giudizio, chiedevano il rigetto della domanda, deducendo la inadempienza contrattuale del ricorrente per non avere questi coltivato il noccioleto nè consegnato la metà della raccolta dei tartufi.

In via riconvenzionale, chiedevano la risoluzione del contratto e la condanna del F. al pagamento della somma di L. 500 milioni, corrispondente alla metà dell’incasso della vendita dei tartufi effettuata in dieci anni.

Con ricorso autonomo, gli eredi di D.D.C. chiedevano l’accertamento della esistenza di un contratto agrario atipico della durata di cinque anni, con la previsione di recesso anticipato di tre mesi, in via subordinata la declaratoria di un affitto parcellare della durata di sei anni, con scadenza al 10 novembre 2001.

Riuniti i due giudizi, il Tribunale – come già precisato – aveva rigettato la domanda del F., dichiarando inammissibili la domanda riconvenzionale dei D.D. e quella proposta in via autonoma con separato ricorso.

Queste ultime – rilevava il primo giudice – avrebbero dovuto essere proposte, a pena di decadenza, con la comparsa di risposta.

La domanda del F. era respinto con la motivazione che non si trattava di affitto di fondo rustico ma di un contratto avente ad oggetto l’utilizzo del noccioleto ai soli fini della raccolta dei tartufi, il cui ricavato doveva essere diviso a metà.

L’obbligo di coltivazione del noccioleto era il corrispettivo per il godimento della già impiantata tartufaia, senza obbligo di corresponsione del canone quale corrispettivo per il godimento del terreno. Del resto, il tartufo costituisce produzione spontanea, il che esclude la costituzione di una impresa agricola su fondo altrui.

Confermando la decisione di primo grado, i giudici di appello osservavano che il contratto atipico del 5 marzo 1989 costituiva un contratto agrario di struttura associativa avente ad oggetto lo sfruttamento agricolo del fondo concesso dai danti causa degli appellati al F. perchè questi provvedesse alla coltivazione del noccioleto dove era impiantata una tartufaia, in modo da garantire la produttività della tartufaia in termini di produzione e raccolta di tartufi stabile e costante nel tempo.

Non era possibile la riconduzione del contratto all’affitto dei fondi rustici ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 27 per impossibilità giuridica di determinazione dell’oggetto del contratto.

1) Infatti, nel contrasto tra le parti, era impossibile determinare e identificare le superfici di terreno oggetto del contendere, poichè il contratto non indicava i metri quadrati di superficie nè indicazione del foglio o delle particelle catastali. Tra l’altro, il terreno ricompreso nella recinzione con pali di legno e rete metallica comprendeva particelle di terreno appartenenti ad altri proprietari, che non erano parti del giudizio.

2) La mancata identificazione della esatta superficie del terreno ceduto comportava anche la impossibilità ulteriore di determinazione del canone di affitto, da stabilire secondo i criteri di cui alla L. n. 203 del 1982, art. 8 e segg., art. 14, art. 62.

a) la classe catastale dei terreni risultava essere “seminativo di prima e seconda classe” e “seminativo erborato di seconda classe” con redditi dominicali appartenenti a ciascuna di queste qualità. Tali classi catastali erano completamente diverse da quelle, mai operate dagli uffici competenti, nel territorio in esame (relative ad un terreno adibito a tartufaia).

b) Non esisteva, presso la agenzia del territorio di Teramo, in quanto non censita, la qualità “tartufaia” nè la qualità “noccioleto” neppure nella ultima revisione degli estimi. Del resto gli interessati (proprietario/concedente e colono/affittuario) non avevano mai presentato istanza agli uffici competenti per un nuovo classamento, con la conseguente impossibilità di determinare il canone dovuto sulla base dei redditi dominicali, relativi alla nuove qualità e classi catastali e dei coefficienti per le categorie corrispondenti a decorrere dalla domanda di revisione catastale.

c) Nè poteva prendersi a base della determinazione del canone il reddito dominicale risultante dalla classe catastale del fondo, ai sensi della L. n. 203 del 1982, artt. 9 e 62 in quanto dichiarati incostituzionali dalla Corte Costituzionale, perchè quel catasto ha perso qualsiasi idoneità a rappresentare le effettive e diverse caratteristiche dei terreni agricoli (Corte Cost. 318 del 2002).

d) Peraltro, non poteva trovare applicazione neppure i meccanismo di cui alla L. n. 203 del 1982, art. 14 che prevede una richiesta alla Commissione tecnica provinciale per la determinazione del canone di affitto di fondi rustici, qualora manchino – come nel caso di specie – tariffe e redditi dominicali corrispondenti a particolari qualità di colture. Infatti, nessuno degli interessati aveva presentato istanze in tal senso e una volta estinto il contratto di affitto, l’affittuario non aveva più legittimazione a fare richiesta di determinazione del canone, ai sensi dell’art. 14, in relazione ad un contratto estinto (e privo di oggetto determinato al momento della scadenza).

e) Quanto ai miglioramenti, per i quali il F. aveva richiesto la liquidazione di un compenso, doveva escludersi il diritto agli stessi, in mancanza di autorizzazione scritta del concedente. La recinzione del fondo realizzata con opere stabili avrebbe avuto necessità di autorizzazione, se non addirittura di concessione edilizia, che poteva essere rilasciata solo al proprietario del fondo, unico legittimato a condonare la opera abusiva.

Avverso tale decisione il F. ha proposto ricorso per cassazione sorretto da otto motivi. Resistono gli eredi D. D. con controricorso. Nel ricorso per cassazione vi è richiesta di distrazione delle spese dell’avv. Fonzi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo si denunciano vizi di motivazione. Ad avviso del ricorrente, i giudici di appello non avevano tenuto conto di alcuni elementi essenziali, giungendo ad affermare la nullità di un contratto, che avevano escluso essere di natura agraria.

Il fondo adibito a noccioleto/tartufaia era bene identificato (del resto, lo stesso aveva formato oggetto di ordine del Tribunale di Teramo, di reimmissione nel possesso del terreno, del 20 maggio 1999) ed era bene individuato da un recinto in rete metallica.

2) Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, artt. 27, 58, artt. 1421, 2909 c.c., artt. 99, 112, 324 e 345 c.p.c., eccezione di giudicato. Il quesito di diritto è contenuto a pagg. p. 18/19. La decisione del Tribunale che aveva ritenuto la validità ed efficacia del contratto non era stata impugnata dai D.D., con la conseguenza che sul punto doveva ritenersi formato il giudicato.

La indagine dei giudici di appello avrebbe dovuto essere circoscritta alla natura agraria del contratto e conseguente applicabilità della L. n. 203 del 1982, art. 27.

3) Con il terzo motivo si deduce vizio di motivazione e violazione o falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, art. 27, L. 606 del 1966, art. 3, artt. 61 e 115 c.p.c., art. 2909 c.c..

Nel ricorso ex art. 700 c.p.c. il F. aveva dedotto di essere coltivatore diretto di un fondo rustico della estensione di sei ettari.

Poichè egli aveva dimostrato la qualità di coltivatore diretto, il possesso di tale qualità lo esimeva dall’onere di provare per iscritto la esistenza del contratto di affitto.

Tra l’altro, la consulente P. aveva individuato senza alcuna difficoltà la superficie di terreno utilizzata per la coltivazione del tartufo e del noccioleto.

La stessa aveva individuato una estensione di ettari 7.64,30 della tartufaia, indicando in 40 giorni per anno per ettaro la forza lavoro necessaria per le cure culturali del nocciolo e la raccolta del tubero e delle nocciole in impianti specializzati di tartufaie.

4) Il quarto motivo riguarda la falsa applicazione o violazione della L. n. 203 del 1982, art. 6, L. n. 606 del 1966, art. 3, artt. 61 e 115 c.p.c., artt. 346, 1418 e 2909 c.c., sin dalle prime difese il F. aveva dedotto di essere coltivatore diretto e tale circostanza, in mancanza di contestazioni doveva darsi per pacifica.

La qualità di coltivatore diretto esime dall’onere di provare per iscritto il contratto di affitto e può essere dedotta anche presuntivamente dalla sufficienza della capacità lavorativa dell’affittuario e della sua famiglia.

5) Con il quinto motivo si deducono vizi della motivazione e violazione o falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, artt. 27 e 58. Viene riportato il testo del contratto e si osserva che la Corte territoriale non aveva tenuto conto di quanto rilevato dalla ctu in merito alla esatta estensione della superficie coltivata a noccioleto (indicata in ettari 7.64,30).

La circostanza che non fosse indicato il corrispettivo dell’utilizzo del fondo non era rilevante considerato che questo è comunque definito dalla norma vigente con disposizioni inderogabili (L. n. 203 del 1982, art. 58). Non era necessario neppure la esatta determinazione di canone annuo in denaro, poichè in corrispettivo dell’utilizzo il F. si era impegnato a coltivare il noccioleto a perfetta regola d’arte.

La dichiarazione di nullità del contratto era, dunque, incompatibile con la realtà fattuale.

6) Il sesto motivo riguarda la violazione o falsa applicazione della L. n. 203 del 1982, artt. 1, 2, 27 e 58, artt. 1346, 1418 e 2909 c.c., art. 345 c.p.c..

Non può ritenersi causa di nullità del contratto di affitto la mancata indicazione di un canone annuo, qualora sia previsto – come nella specie – un corrispettivo in natura. In realtà, la decisione del Tribunale del 2001 (453), passata sul punto in giudicato, aveva stabilito che il ricavato del noccioleto doveva andare a totale godimento del proprietario – Il quesito di diritto viene formulato a pag. 31. Un contratto agrario stipulato dopo la entrata in vigore della L. del 1982 secondo uno schema contrattuale diverso dall’affitto – senza la osservanza delle forme prescritte – non può considerarsi nullo quando rientri nell’ambito delle disposizioni dell’art. 27 e ad esso devono applicarsi le norme che regolano il contratto di affitto con conseguente sostituzione di tali norme alle clausole difformi contenute nella convenzione conclusa dalle parti.

7) con il settino motivo si denunciano vizi della motivazione: il giudice di appello non si era pronunciato su tutte le istanze istruttorie rigettate dal primo giudice (prove per testi su spese a suo carico e sul suo violento spoglio, il ricorrente aveva chiesto di provare che per oltre dieci anni aveva allevato la tartufaia, rinvenuta perfettamente produttiva con le ulteriori piante aggiunte dal F., il quale aveva poi recintato tutta la zona. Tutte le spese di recinzione e coltivazione erano state sostenute dal F.) i capitoli di prova sono riportati a pag. 33.

8) L’ultimo motivo riguarda la violazione e falsa applicazione degli artt. 61, 112, 115 c.p.c., artt. 1453, 1218, 2909 c.c. sin dall’ottobre dell’annata 1997/98 (dunque 1998) i D.D. avevano allontanato dal fondo il F., cambiando le chiavi del recinto, e mettendo dei cani nel recinto, avvisando la Polizia. Dato che il contratto andava a scadenza il 5 marzo 2004, al F. competeva il risarcimento dei danni per tutti gli anni per i quali egli era astato allontanato con violenza dal posto di lavoro. Su questo punto i giudici di appello non avevano pronunciato (donde il vizio denunciato di ultrapetizione). Osserva il Collegio:

gli otto motivi, da esaminare congiuntamente in quanto connessi tra di loro, sono infondati.

Deve innanzi tutto rilevarsi la inesistenza di qualsiasi giudicato in ordine alla validità ed efficacia del contratto. La decisione del giudice di primo grado era stata di rigetto della domanda del F.. Deve escludersi, pertanto, che il rilievo officioso di nullità del contratto, operato dal giudice di appello, possa costituire vizio di ultrapetizione e violazione di giudicato interno.

Con motivazione adeguata, che sfugge a tutte le censure di violazione di legge e di vizi della motivazione, la Corte territoriale ha ritenuto che il contratto atipico stipulato tra le parti dovesse configurarsi come un contratto agrario a struttura associativa, avente ad oggetto lo sfruttamento agricolo del fondo concesso dal dante causa degli appellati al F.. La Corte ha ritenuto che il contratto atipico non era riconducibile all’affitto di fondi rustici, ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 27.

Vi era incertezza, innanzi tutto , sulla estensione dell’appezzamento di terreno concesso a quest’ultimo. Da ciò derivava, in concreto, la impossibilità di qualsiasi determinazione dal canone annuo.

Avverso tale statuizione, il ricorrente si limita a dedurre che la consulente tecnica di ufficio aveva bene individuato la estensione di terreno adibita alla coltivazione del noccioleto e che in ogni caso il possesso della qualifica di coltivatore diretto lo esimeva dall’onere di provare per iscritto il contratto di affitto, con la descrizione del fondo. Quanto al canone annuo, la circostanza che non fosse stato stabilito una somma di danaro non era sufficiente a giustificare la decisione di nullità del contratto, essendo sufficiente che fosse stabilita una utilità anche di altra natura.

Il F. si era impegnato alla coltivazione del noccioleto. I frutti di questi dovevano andare interamente al concedente, unitamente ad una parte dei tartufi, senza limitazioni se raccolti personalmente.

In ogni caso, osserva il ricorrente, la presenza di eventuali clausole nulle non comportava, di necessità, la dichiarazione di nullità del contratto, poichè le clausole nulle devono essere sostituite da quelle di legge.

Le censure formulate dal ricorrente non colgono nel segno.

I giudici di appello, sul punto, hanno osservato che non era possibile far riferimento al reddito catastale secondo le disposizioni di legge dichiarate incostituzionali dalla Corte Costituzionale.

Infatti, gli interessati non avevano avanzato richiesta alla Commissione tecnica provinciale, competente ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 14.

Tale rilievo, unitamente a quello della impossibilità di individuazione del fondo, conduceva di necessità alla nullità del contratto per impossibilità giuridica di determinazione del contratto.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato. Nessuna pronuncia in ordine alle spese, non avendo gli intimati svolto difese in questa sede.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2011

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