Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25213 del 17/09/2021

Cassazione civile sez. II, 17/09/2021, (ud. 03/11/2020, dep. 17/09/2021), n.25213

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24205/2019 proposto da:

E.P., elettivamente domiciliato ROMA, VIA DEI CASALE STROZZI,

31 sc. B, presso lo studio dell’avvocato LAURA BARBERIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO TARTINI, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

Avverso il decreto di rigetto n. cronol. 5787/2019 del TRIBUNALE Di

Venezia, depositato il 11/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/11/2020 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

 

Fatto

PREMESSO

Che:

1. E.P., cittadino della Nigeria, adiva il Tribunale di Venezia, sezione specializzata in materia di immigrazione, in seguito al rigetto da parte della decisione della Commissione territoriale di Verona, sezione di Treviso, della sua domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o, in subordine, di protezione c.d. sussidiaria o di diritto all’asilo ex art. 10 Cost., comma 3, ovvero di rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. A sostegno della domanda, aveva dichiarato di avere lavorato in una officina e che membri di una setta che andavano a trovare il suo capo gli avevano chiesto di fare parte della setta e che, a fronte del suo rifiuto, era stato minacciato da membri della setta e per difendersi aveva ucciso un aggressore.

Il Tribunale di Venezia, con decreto 11 luglio 2019, n. 5787, ha rigettato il ricorso.

2. Avverso la decisione del Tribunale di Venezia E.P. propone ricorso per cassazione.

L’intimato Ministero dell’interno si è costituito, decorso il termine di cui all’art. 370 c.p.c., “al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa”.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

I. Il ricorso è articolato in cinque motivi.

1) I primi tre motivi, unitariamente trattati dal ricorrente, denunciano:

a) “violazione o falsa interpretazione di legge nella valutazione delle dichiarazioni del ricorrente e per omessa collaborazione nell’accertamento dei fatti, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3,D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, art. 27, comma 1-bis”;

b) “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio” in relazione “alla dedotta non credibilità della vicenda personale, travisamento della prova”;

c) motivazione apparente in relazione alla “dedotta non credibilità della vicenda personale”.

I tre motivi sono inammissibili. Il Tribunale non ha violato le disposizioni richiamate e in particolare il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in quanto ha correttamente applicato i parametri indicati dalla disposizione, avendo analiticamente evidenziato le contraddizioni e le incongruenze della vicenda narrata dal ricorrente. Quanto alla diffusione e al radicamento delle sette, che peraltro il motivo focalizza nelle regioni del Delta del Niger – regioni dalle quali il ricorrente non proviene (v. p. 4 del ricorso) – il fenomeno è considerato dal Tribunale, che sottolinea l’attuale esistenza in Nigeria di una disciplina di contrasto al cultismo e di sforzi delle forze dell’ordine di indagine sui casi che vedono coinvolti i gruppi cultisti. Quanto infine all’omesso esame di fatti, va rilevato che si tratta di fatti non decisivi ai fini del giudizio operato dal Tribunale di non credibilità della vicenda narrata dal ricorrente (v. p. 28 del ricorso).

2) Il quarto e il quinto motivo, che sono unitariamente trattati dal ricorrente, contestano:

a) erronea applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

b) omesso esame di un fatto decisivo “in relazione ai presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria”.

I motivi sono inammissibili. Nel parlare di visione riduttiva della protezione umanitaria, ancorata unicamente alla situazione personale del ricorrente e non anche a quella del paese di origine, lo svolgimento dei motivi fa riferimento ad una zona di origine, il Delta del Niger, diversa da quella di provenienza del ricorrente (v. p. 4 del ricorso) senza nulla dire circa i rilievi operati dal Tribunale sulla zona di provenienza del medesimo e sulla sua insufficiente integrazione sociale, e in particolare sulla non stabilità delle attività lavorative svolte e sulla mancanza di prova della adeguatezza e sufficienza della retribuzione percepita (v. p. 11 del provvedimento impugnato).

II. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.

Nessuna statuizione deve essere adottata sulle spese, non avendo il Ministero svolto attività difensiva.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Sussistono, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale della Sezione Seconda Civile, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2021

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