Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25213 del 07/12/2016


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Cassazione civile sez. VI, 07/12/2016, (ud. 06/10/2016, dep. 07/12/2016), n.25213

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16727/2015 proposto da:

G.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AGOSTINO

DEPRETIS 86, presso lo studio dell’avvocato LEONARDA SILIATO, che la

rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ROMA CAPITALE, C.F. (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL TEMPIO DI GIOVE 21,

presso lo studio dell’avvocato ANTONIO CIAVARELLA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DOMENICO ROSSI giusta

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2826/14/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di ROMA, emessa il 15/04/2014 e depositata il 07/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIO NAPOLITANO;

udito l’Avvocato Domenico Rossi, per il controricorrente, che si

riporta al controricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., osserva quanto segue:

Con sentenza n. 2826/14/14, depositata il 7 maggio 2014, non notificata, la CTR del Lazio ha accolto l’appello proposto dal Comune di Roma Capitale per la riforma della sentenza di primo grado della CTP di Roma, che aveva invece accolto il ricorso proposto dalla contribuente avverso avvisi di accertamento ICI relativi agli anni dal 2003 al 2005.

La sentenza della CTR affermò la legittimità degli impugnati avvisi di accertamento, contestata dalla contribuente quanto all’osservanza del requisito motivazionale, ritenendo che la delibera comunale che fissava l’aliquota del tributo, in quanto atto soggetto a pubblicità legale, non dovesse essere allegata agli atti impositivi.

Avverso detta pronuncia la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui resiste con controricorso il Comune.

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ribadendo la necessità di allegazione agli atti impositivi della delibera comunale che aveva fissato l’aliquota del tributo, sostenendo che, diversamente da quanto esposto nella sentenza impugnata, l’orientamento di questa Suprema Corte in materia fosse tutt’altro che univoco nel senso di escludere, per gli atti di normazione secondaria, soggetti a pubblicità legale, la necessità di allegazione all’atto impositivo onde soddisfare il requisito motivazionale, secondo il disposto di cui della L. n. 212 del 2000, citato art. 7, comma 1, richiamando, tra le altre pronunce, in particolare, a sostegno della propria tesi, il decisum di Cass. sez. 5, 1 ottobre 2010, n. 20535.

Il motivo è manifestamente infondato. La decisione impugnata, infatti, si è attenuta al principio di diritto affermato in materia in misura largamente prevalente da questa Corte (oltre alle pronunce richiamate nella decisione impugnata, si vedano, tra le altre, più di recente, Cass. sez. 5, n. 1295, 1296, 1297 e 1298 del 26 gennaio 2015 e Cass. sez. 6-5, ord. 18 luglio 2016, n. 14676).

Peraltro le pronunce citate dalla ricorrente a sostegno del proprio assunto, tra le quali, in primis, quella innanzi menzionata, che inerisce a delibera di giunta che fissa il valore per aree omogenee ai fini della determinazione della base imponibile del tributo, non appaiono sovrapponibili alla fattispecie in esame nel quale oggetto della Delib. era la fissazione dell’aliquota.

Nè, comunque, parte ricorrente ha prospettato nuovi argomenti idonei a giustificare il mutamento dell’indirizzo largamente prevalente di questa Corte al quale si è attenuto il giudice di merito.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la nullità della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per violazione o falsa applicazione degli artt. 100, 333 e 346 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, per omesso esame dell’eccepita nullità dell’atto impositivo quanto all’annualità 2003, per intervenuta prescrizione, ritenuta assorbita nella decisione di primo grado favorevole alla contribuente e reiterata, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, nel ricorso in appello.

Il motivo è inammissibile in relazione ad un duplice profilo: in relazione alla modalità della sua deduzione, trattandosi di tipico error in procedendo, che avrebbe dovuto essere denunciato, quale omessa pronuncia, per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, non avendo neppure la ricorrente, di là dall’erroneo riferimento formale, esplicitato sul piano sostanziale la relativa censura quale omessa pronuncia (cfr. Cass. sez. unite 24 luglio 2013, n. 17931); per carenza di autosufficienza, atteso che, affinchè la Corte adita, nell’ambito della denuncia di un error in procedendo, possa procedere al controllo diretto degli atti per la verifica di quanto lamentato, occorre pur sempre che, con specifico riferimento alla fattispecie in esame, nel ricorso per cassazione, siano riportati i passi essenziali del ricorso introduttivo e del ricorso in appello, nei quali l’eccezione si assume rispettivamente formulata e riproposta, oltre che del contenuto della pronuncia di primo grado, al fine di verificare se sul punto vi sia stata pronuncia, anche implicita, di rigetto, che avesse reso necessaria la proposizione di appello incidentale da parte della contribuente (in generale, in materia, tra le altre, più di recente, cfr. Cass. sez. lav.8 giugno 2016, n. 11738; Cass. sez. 5, 30 settembre 2015, n. 19140).

A tale onere parte ricorrente non ha ottemperato, limitandosi ad un generico richiamo dell’eccezione asseritamente proposta e riformulata in appello.

Il ricorso va pertanto rigettato, in quanto manifestamente infondato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Va dato atto, infine che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione in favore di Roma Capitale delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed in Euro, 3000,00 per compenso, oltre rimborso spese forfettarie ed accessori, se dovuti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2016

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