Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2521 del 03/02/2010

Cassazione civile sez. I, 03/02/2010, (ud. 23/10/2009, dep. 03/02/2010), n.2521

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – rel. Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13322/2008 proposto da:

V.G. (c.f. (OMISSIS)), M.T.

(c.f. (OMISSIS)), A.A.M. (c.f.

(OMISSIS)), F.P. (c.f. (OMISSIS)),

elettivamente domiciliate in ROMA, VIA QUINTILIO VARO 133, presso

l’avvocato GIULIANI Angelo, che le rappresenta e difende giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del

Presidente pro tempore, domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, o depositati il

19/03/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

23/10/2009 dal Consigliere Dott. ALDO CECCHERINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto 19 marzo 2007, la Corte d’appello di Roma respinse la domanda, proposta dalle Signore V.G., M. T., A.A.M., F.P. insieme ad altri, di condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento dell’equa riparazione dovuta per l’irragionevole durata di un processo amministrativo del quale erano stati parte. La corte osservò che il processo aveva avuto una durata di circa tre anni, da ritenersi, in relazione alla natura del giudizio, ragionevole.

Per la cassazione del decreto, non notificato, ricorrono le signore V.G., M.T., A.A.M., F.P. con atto notificato in data 3 maggio 2008, con due mezzi d’impugnazione.

L’amministrazione resiste con controricorso notificato il 12 giugno 2008.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si censura per violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dei principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la determinazione della durata ragionevole della causa presupposta in circa tre anni, sebbene si trattasse di una causa di lavoro, per la quale la giurisprudenza della CEDU esige una diligenza particolare.

Con il secondo motivo, premesso che dalla data dell’istanza di fissazione dell’udienza (30 settembre 2000) a quella di definizione del giudizio (21 novembre 2003) erano trascorsi più di tre anni, si denuncia la violazione delle medesime norme di cui al primo motivo, non giustificata dalla circostanza che il ritardo era stato inferiore ad un anno.

I due mezzi, vertenti sul medesimo punto della decisione, costituito dalla determinazione della ragionevole durata del processo presupposto, possono essere esaminati insieme. Essi non giustificano l’accoglimento del ricorso, essendo accomunati dal medesimo vizio di genericità.

Il primo di essi, infatti, è inammissibile, facendo riferimento ad un elemento di fatto, la natura giuslavoristica della causa, che non emerge dal decreto impugnato, e che per questa ragione doveva essere adeguatamente illustrato dalle ricorrenti, con l’indicazione dell’oggetto dell’accertamento richiesto e del suo valore economico, nonchè del titolo giuridico fatto valere. In mancanza di questi elementi, la censura appare formulata in termini estremamente generici, che non ne consentono l’esame sotto il profilo, specificamente denunciato, della diligenza particolare richiesta dalla natura della causa presupposta.

Le stesse considerazioni vietano di accogliere il secondo motivo, con il quale si prospetta ancora esclusivamente una violazione di legge.

Il giudice di merito, infatti, non ha giustificato la sua decisione con il principio – certamente erroneo, alla luce della giurisprudenza di questa corte, e come tale astrattamente idoneo ad integrare il vizio denunciato – che, nella definizione della causa entro un termine ragionevole, un ritardo inferiore ad un anno (nel caso in esame: cinquantadue giorni) sarebbe irrilevante, ma ha affermato, con giudizio di fatto non adeguatamente censurato dal mezzo in esame sotto il profilo della motivazione, che in concreto una durata (di poco superiore ai tre anni) era da ritenersi ragionevole, stante la natura del giudizio. Il mezzo in esame, pertanto, non coglie la ratio decidendi del decreto impugnato.

In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 500,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte Suprema di Cassazione, il 23 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2010

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