Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25208 del 07/12/2016


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Cassazione civile sez. VI, 07/12/2016, (ud. 06/10/2016, dep. 07/12/2016), n.25208

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16366/2015 proposto da:

C.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TIBULLO 10,

presso lo studio dell’avvocato MICHELE CENTRONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato PASQUALE LISTA giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE SANTA MARIA CAPUA VETERE, C.F. (OMISSIS), in persona del

Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DONATELLO 71, presso lo studio dell’avvocato PIERPAOLO BAGNASCO,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE CIARAMELLA giusta

procura speciale a margine dell’atto di costituzione;

– resistente –

avverso la sentenza n. 209/33/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di NAPOLI, emessa il 25/11/2014 e depositata il

13/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

06/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIO NAPOLITANO;

udito l’Avvocato Giuseppe Ciaramella per il resistente, che condivide

la relazione e chiede il rigetto del ricorso con condanna alle

spese.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., a seguito della quale parte ricorrente ha depositato memoria, osserva quanto segue:

Con sentenza n. 209/33/15, depositata il 13 gennaio 2015, non notificata, la CTR della Campania ha rigettato l’appello proposto dal sig. C.R. nei confronti del Comune di Santa Maria Capua Vetere per la riforma della stessa sentenza di primo grado della CTP di Caserta, che aveva a sua volta rigettato il ricorso proposto dal contribuente avverso avvisi di accertamento ai fini ICI relativi agli anni dal 2006 al 2010 in ordine al possesso di terreno edificabile, emessi, in rettifica di precedenti avvisi, a seguito di accertamento con adesione del 9.5.2012, peraltro non perfezionatosi a seguito del mancato versamento delle somme previste nel relativo verbale.

La sentenza d’appello confermava la decisione impugnata, ritenendo preclusa l’impugnazione avverso gli accertamenti che avevano fatto seguito al verbale di accertamento con adesione sottoscritto dal contribuente.

Avverso detta pronuncia il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei quali sono cumulati diversi ordini di censure.

L’ente impositore ha dichiarato di costituirsi al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Il ricorso deve essere ritenuto inammissibile.

Anche a volere ammettere che nel caso di specie le diverse censure di violazione di legge e di carenza di motivazione siano formulate in modo da consentirne l’esame in via autonoma (cfr. Cass. sez. un. 6 maggio 2015, n. 9100), quanto a quella riferita al difetto motivazionale essa appare in ogni caso inammissibile, sia perchè riferita all’insufficienza della motivazione, secondo il disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella sua formulazione previgente (cfr. Cass. sez. un. 7 aprile 2014, n. 8053 e 8054 e successive pronunce conformi), laddove la norma nella sua formulazione attuale, applicabile al giudizio in esame, contempla l’omesso esame circa un fatto decisivo della controversia che sia stato oggetto di discussione tra le parti, sia perchè il nucleo della motivazione, che consente, pur nella sua succinta stesura, di rilevare la ratio decidendi della pronuncia impugnata (ciò che esclude in radice la nullità della sentenza impugnata dedotta anche in relazione al parametro di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), inerisce a motivazione in diritto (per tutte cfr. Cass. sez. un. 25 novembre 2008, n. 28054).

Quanto invece alla denunciate violazioni o false applicazioni di legge (sono indicati, nel primo e secondo motivo al riguardo, il D.Lgs. n. 218 del 1997, artt. 8 e 9, nonchè, nel secondo motivo, la norma regolamentare dell’ente impositore che si assume violata), parte ricorrente per un verso omette di denunciare l’illegittimità della sentenza impugnata per falsa applicazione di norma di diritto con riferimento alla norma primaria dell’art. 3, comma 4, del citato Decreto, secondo cui “L’accertamento definito con adesione non è soggetto ad impugnazione e non è integrabile o modificabile dall’Ufficio”, applicata nella fattispecie, pur in mancanza di espresso riferimento, da parte della decisione impugnata, onde contestarne quindi l’applicazione al caso di specie di non perfezionamento dell’accordo per mancato versamento delle somme concordate (cfr., in generale, sulle modalità di deduzione del relativo vizio con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, tra le molte, Cass. sez. 6-L, ord. 12 gennaio 2016, n. 287; Cass. sez. 6-5, ord. 1 dicembre 2014, n. 25419); per altro verso (cfr. art. 360 bis c.p.c., comma 1), omette di esaminare l’orientamento espresso in contrario al proprio assunto da precedente di questa Corte, quanto meno nella parte in cui esclude tout court la possibilità d’impugnazione di detto accordo, sebbene non perfezionato (cfr. Cass. sez. 5, 30 aprile 2009, n. 10086), al fine di consentire alla Corte stessa di verificare la sussistenza dei presupposti per andare rispetto ad esso in contrario avviso, previa trattazione del ricorso stesso in pubblica udienza.

Altro è il problema, che dall’esposizione dei fatti pare estraneo al presente giudizio, degli effetti conseguenti al mancato perfezionamento dell’accertamento con adesione nel senso della restituzione di efficacia all’originario accertamento, con facoltà del contribuente d’impugnare quest’ultimo (in tale senso, contrariamente alla citata Cass. n. 10086/2009, si vedano Cass. sez. 5, 30 maggio 2012, n. 8628, richiamata in maniera impropria dal ricorrente, e Cass. sez. 5, 31 maggio 2013, n. 13750).

Resta quindi precluso l’esame delle ulteriori denunce di violazione o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 3, comma 1 e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 2 (primo motivo), nonchè del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5 (terzo motivo).

Le considerazioni di cui sopra, esposte nella relazione depositata in atti ex art. 380 bis c.p.c., sono pienamente condivise dal collegio, non evidenziandosi nelle ulteriori osservazioni spese in memoria dal contribuente elementi idonei a giustificarne il superamento.

Va pertanto dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Va dato atto, infine, che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione in favore del Comune di Santa Maria Capua Vetere delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 2500,00 per compenso, oltre rimborso spese forfettarie ed accessori, se dovuti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2016

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