Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25206 del 24/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 24/10/2017, (ud. 25/05/2017, dep.24/10/2017),  n. 25206

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14344-2016 proposto da:

A.G., D.D.G., elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZALE CLODIO 13, presso lo studio dell’avvocato OLGA

GERACI, rappresentati e difesi dall’avvocato VINCENZO MANDANICI;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto n. 6177/2015 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositato il 14/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/05/2017 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA.

Fatto

IN FATTO

Con ricorso del 5.10.2011 D.D.G. e A.G. adivano la Corte d’appello di Reggio Calabria per ottenere la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento di un equo indennizzo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 per la durata irragionevole di una causa civile ancora pendente, che essi avevano instaurato nel 1984 innanzi al Tribunale di Messina e poi riassunto innanzi al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, indicato come giudice competente.

Resistendo il Ministero, la domanda era respinta con decreto del 7.12.2015. Richiamata Cass. n. 4437/15, la Corte reggina osservava che nella specie la domanda di equa riparazione era stata circoscritta alla sola fase svoltasi innanzi al Tribunale barcellonese e che i ricorrenti avevano omesso qualsiasi allegazione con riferimento alle vicende del medesimo processo innanzi al Tribunale di Messina, originariamente adito “(facendo riferimento nel ricorso solo alla citazione originaria ed alla comparsa di costituzione e risposta”).

Per la cassazione di tale decreto D.D.G. e A.G. propongono ricorso, affidato a quattro motivi.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380-bis c.p.c., comma 1, inserito, a decorrere dal 30 ottobre 2016, dal D.L.31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. f), convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Il Ministero della Giustizia non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con i primi tre motivi di ricorso è dedotta la violazione o falsa applicazione, nell’ordine, della L. n. 89 del 2001, art. 2 nella formulazione applicabile ratione temporis anteriore al D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012; dell’art. 3 stessa legge e dell’art. 738 c.p.c.; e art. 3, comma 5 Legge citata. Le tre censure lamentano il fatto che la Corte territoriale non abbia considerato la possibilità di valutare la durata del giudizio presupposto, ancora pendente in primo grado e di cui era stata indicata la data d’inizio, e di non aver, ad ogni modo, assunto d’ufficio ogni informazione ritenuta necessaria.

2. – Le censure, da esaminare congiuntamente, sono fondate.

La decisione impugnata si basa su di un’erronea interpretazione di Cass. n. 4437/15. Tale precedente, in disparte il suo riferirsi ad un caso di (supposto dal giudice di merito) illegittimo frazionamento della domanda di equa riparazione, in motivazione chiarisce che la parte istante ha l’onere di precisare l’intera durata del giudizio di riferimento, inclusi i gradi e le fasi di durata conforme agli standard di ragionevolezza, nel senso che non può omettere a suo piacimento aspetti della vicenda che possano incidere sull’ammissibilità della domanda. E una volta assolto tale onere, il giudice del procedimento di equa riparazione deve provvedere valutando unitariamente il giudizio presupposto. Ciò non significa affatto, però, che nel sistema anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012 la parte debba, a pena d’inammissibilità della domanda, illustrare passo per passo lo svolgimento che abbia avuto il giudizio presupposto, una volta che ne abbia precisato la data d’inizio e la circostanza, di per sè fondamentale, che esso – come nella specie – pendesse ancora in primo grado alla data di proposizione della domanda ex lege n. 89 del 2001.

Infatti, altra e strettamente connessa giurisprudenza di questa Corte precisa, sempre con riguardo alla disciplina ante D.L. n. 83 del 2012, che: a) il giudice di merito, qualora il giudizio presupposto sia ancora pendente alla data di proposizione della domanda, deve valutare la durata complessiva di esso, come svoltosi fino a tale momento, e liquidare l’indennizzo in base alla differenza fra il tempo trascorso e il tempo, inferiore, ragionevole per compiere le medesime attività processuali, operando una giusta proporzione tra quest’ultimo e lo standard temporale di definizione dell’intero giudizio (n. 13712/14); e b) una volta che la parte abbia dedotto i fatti costitutivi della domanda quali la propria posizione nel processo, la data iniziale del giudizio, la data della sua definizione e gli eventuali gradi in cui si è articolato, è attivabile il potere ufficioso del giudice di acquisizione degli atti posti in essere nel processo presupposto (Cass. n. 1936/15).

2.1. – Nella specie, il giudizio presupposto pendeva ancora innanzi al giudice di primo grado (unico essendo quello svoltosi dapprima innanzi al Tribunale Messina e poi davanti all’allora neo-costituito Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto), per cui i riferimenti temporali minimi affinchè l’allegazione in fatto della domanda potesse ritenersi sufficiente e idonea ad attivare i poteri d’ufficio che in allora spettavano al giudice del procedimento di equa riparazione, erano appunto, la data di inizio della lite e la precisazione che essa fosse ancora all’esame del giudice di prime cure. Non essendovi stato altro grado di giudizio, non vi era neppure in ipotesi la possibilità di un illegittimo frazionamento della domanda, visto che (come pure è ben chiarito nella motivazione di Cass. n. 4437/15), il divieto di frazionare la domanda opera quante volte tale opzione sia diretta a falsare il giudizio finalizzato all’applicazione della L. n. 89 del 2001, cioè ad impedire che la durata più che ragionevole di un grado possa compensare quella eccedente di un altro.

3. – L’accoglimento dei suddetti motivi assorbe l’esame del quarto, peraltro apparente, mezzo di ricorso, che lamenta in maniera illogicamente prolettica la condanna alle spese sul presupposto, ancora da verificare, della fondatezza della domanda.

4. – Il decreto impugnato va dunque cassato con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Reggio Calabria, che deciderà la domanda nel merito provvedendo, altresì, sulle spese di cassazione.

PQM

La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso, assorbito il quarto, e cassa il decreto impugnato con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Reggio Calabria, che provvederà anche sulle spese di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2017

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