Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25205 del 10/11/2020

Cassazione civile sez. I, 10/11/2020, (ud. 22/09/2020, dep. 10/11/2020), n.25205

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 165/2019 proposto da:

I.G., elettivamente domiciliato in ROMA presso CORTE

CASSAZIONE e rappresentato e difeso dall’avvocato RICCIARDI ROBERTO;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

e contro

Ministero Dell’interno (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12, Avvocatura Generale Dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7598/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 28/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/09/2020 da Dott. CONTI ROBERTO GIOVANNI;

udito l’Avvocato;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

I.G., di nazionalità (OMISSIS), impugnava innanzi al tribunale di Roma il provvedimento di diniego di riconoscimento della protezione sussidiaria o in subordine di quella umanitaria.

Il Tribunale confermava la decisione della Commissione territoriale, evidenziando che le motivazioni esposte nel racconto del richiedente quanto alle ragioni dell’espatrio (minacce di morte da parte di una gang del suo villaggio che aveva preteso parte dei suoi soldi oltre che cooptarlo all’interno della banda e che nel tentativo di cercarlo anche a casa, aveva ucciso la padrona della casa, determinando nel di lei figlio il convincimento che lo stesso fosse il responsabile dell’uccisione, al punto da rivolgersi alla polizia e da ricercarlo con intenti vendicativi) non erano attendibili e risultavano carenti di allegazioni in ordine a potenziali gravi rischi in caso di rientro nel paese di origine.

La Corte di appello di Roma, esaminando l’impugnazione proposta dal richiedente, con la sentenza indicata in epigrafe rigettò l’impugnazione.

La Corte di appello ha preliminarmente dichiarato inammissibile la domanda volta al riconoscimento dello status di rifugiato perchè proposta per la prima volta in appello, condividendo poi le ragioni esposte dal giudice di primo grado in ordine all’insussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria. La Corte ha poi evidenziato che nella regione di provenienza del ricorrente non era in atto un clima di violenza generalizzata per l’esistenza di contrasti a sfondo politico, etnico e religioso tali, da creare pericolo per la vita dei civili.

Secondo la Corte le fonti consultate attraverso siti internazionali confermavano l’assenza di pericolo per la regione dell'(OMISSIS), nella quale non era estesa l’influenza sanguinaria del gruppo (OMISSIS); la Corte aggiunge che già il Tribunale aveva rilevato la scarsa credibilità e contraddittorietà del racconto fornito dal richiedente in ordine al timore di essere ucciso sia dalla banda che lo aveva minacciato per il rifiuto di entrare a far parte della stessa che dal figlio della padrona di casa che lo aveva incolpato della morte della madre, invece uccisa dalla gang. La Corte di appello evidenziò, infine, che non ricorrevano i motivi di carattere umanitario di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 visto che l’appellante non aveva dedotto alcunchè circa il suo stato di salute o di particolare vulnerabilità.

Il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia nonchè la violazione del dovere di cooperazione istruttoria col richiedente, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3. La Corte di appello non avrebbe fornito un adeguato supporto motivazionale alla decisione di conferma della statuizione del Tribunale in ordine alle zone interessate dal fenomeno criminale del (OMISSIS), al punto da dare luogo ad una motivazione apparente, fondata su conclusioni contrarie a pronunzie relative alla medesima vicenda rese da altri giudici di merito, dalle quali emergeva il pericolo incombente nelle zone dell'(OMISSIS) e dell’intero distretto di (OMISSIS).

Risulterebbe quindi evidente la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 ma anche del D.Lgs. n. 251 del 20067, art. 14 quanto al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, risultando il ricorrente, di religione (OMISSIS) (esposto a ripercussioni del gruppo terroristico del (OMISSIS), responsabile di alcuni atti terroristici contro (OMISSIS) risultanti da fonti informative qualificate. La Corte di appello avrebbe dunque omesso ogni indagine sulle problematiche religiose e sulla fede professata dal ricorrente, dando luogo ad una motivazione incompleta.

Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 2729 c.c. La Corte di appello invece di valutare gli elementi dimostrativi del riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione umanitaria, avrebbe ritenuto di poter decidere la questione “facendo ricorso ad un curioso argumentum a fortiori che sottende un’inferenza tratta da elementi tutt’altro che gravi, precisi e concordanti”.

Il primo motivo è anzitutto inammissibile laddove ipotizza la violazione della disciplina in tema di riconoscimento dello status di rifugiato, senza aggredire la statuizione della Corte di appello che ha ritenuto tardivamente proposta la domanda di riconoscimento della protezione internazionale avanzata per la prima volta in sede di appello.

Per altro verso, la censura contesta un accertamento di fatto compiuto dal giudice di appello, insindacabile in sede di legittimità, in ordine alla condizione della regione di origine – la censura traducendosi in una sostanziale, quanto inammissibile, rivisitazione del merito (Cass. n. 8758 del 04/04/2017) – ed all’assenza di un clima generalizzato di violenza quanto alla regione di provenienza del richiedente, che la Corte di appello ha fondato sull’esistenza di notizie tratte dalle fonti internazionali consultate, tendendo la censura inammissibilmente ad ottenere una valutazione della situazione della regione dello (OMISSIS) diversa da quella esposta dalla Corte di appello.

Nè può ritenersi una violazione del dovere di cooperazione istruttoria rispetto alle minacce delle quali ha parlato il ricorrente, avendo il giudice di merito escluso la credibilità della versione offerta dal richiedente nonchè la relazione della vicenda esposta dal richiedente con il clima politico della zona di provenienza.

Il motivo è invece infondato con riferimento ai profili relativi alla domanda di protezione sussidiaria.

Ed invero, la sentenza impugnata non può essere in alcun modo essere sussunta nel paradigma delle c.d. sentenze nulle per motivazione apparente – secondo i canoni già individuati dalle Sezioni unite di questa corte – cfr. Cass.S.U. n. 8053/2014 -. Il giudice ha infatti esposto le ragioni poste a fondamento del rigetto della domanda di protezione sussidiaria, ritenendo decisive le notizie che escludono per l'(OMISSIS) la minaccia terroristica.

Ciò è sufficiente per escludere l’ipotesi di motivazione apparente e, per altro verso, conferma che il giudice di appello ha compiuto un accertamento di fatto in ordine alle condizioni del paese e della regione di origine che inammissibilmente la parte ricorrente vorrebbe in questa sede rivisitare sulla base delle notizie risultanti da fonti internazionali.

Il secondo motivo di ricorso è inammissibile difettando la comprensibilità e chiarezza dello stesso, il quale fa riferimento ad un argumentum a fortiori che la Corte di appello di Roma avrebbe utilizzato per rigettare le domande proposte senza tuttavia indicarlo specificamente.

Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

Occorre dare atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in favore del ministero dell’Interno in Euro 2000,00 per compensi, Euro 100,00 per esborsi, oltre spese prenotate a debito.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2020

 

 

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