Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25201 del 08/10/2019

Cassazione civile sez. VI, 08/10/2019, (ud. 02/04/2019, dep. 08/10/2019), n.25201

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26621-2017 proposto da:

F.F., M.M., C.P.C.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BUCCARI 3, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE LEOTTA, che li rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA,

CONSERVATORIO MUSICA (OMISSIS) DE L’AQUILA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 431/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata in data 11/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SPENA

FRANCESCA.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 11 maggio 2017 numero 431 la Corte d’appello di L’Aquila riformava la sentenza non definitiva del Tribunale della stessa sede e, per l’effetto, rigettava il ricorso proposto da M.M., F.F. e C.P.C. per la dichiarazione di illegittimità dei reiterati contratti a termine stipulati con il MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA (in prosieguo: MIUR) per lo svolgimento dell’attività di docente di Conservatorio, con consequenziale assunzione nei ruoli dell’amministrazione e condanna del MIUR al risarcimento del danno;

che, per quanto ancora in discussione, la Corte territoriale preliminarmente respingeva l’eccezione di inammissibilità dell’appello del MIUR opposta dagli appellati ai sensi dell’art. 434 c.p.c., osservando che il gravame conteneva argomentazioni atte a confutare quanto ritenuto nella sentenza di primo grado e rendeva possibile, nell’esame complessivo dell’atto, l’individuazione dell’oggetto della domanda e degli elementi di fatto e di diritto sui quali essa si fondava. La parte appellante aveva censurato l’iter logico giuridico seguito dal primo giudice, indicando con chiarezza i motivi del dissenso;

che, nel merito, ferma restando l’illegittimità della reiterazione dei contratti a termine, andava accolto il motivo di gravame con il quale si impugnava la liquidazione del danno operata dal Tribunale (in venti mensilità di retribuzione). Era incontestato che le parti appellate erano state tutte immesse nei ruoli del MIUR (scheda Sidi), ottenendo il bene della vita per il quale avevano agito in giudizio. Non rilevava la circostanza che la stabilizzazione fosse avvenuta a mezzo di interventi diversi da quelli previsti nella L. n. 170 del 2015; la stabilizzazione acquisita attraverso l’operare dei pregressi strumenti selettivi doveva essere ritenuta misura proporzionata, effettiva e sufficientemente energica, idonea a sanzionare l’abuso ed a cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione Europea. In difetto di allegazioni circa danni diversi ed ulteriori rispetto a quelli esclusi dall’immissione in ruolo la domanda risarcitoria doveva essere respinta;

che avverso la sentenza hanno proposto ricorso M.M., F.F. e C.P.C., articolato in due motivi cui il MIUR non ha opposto difese;

che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti -unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che la parte ricorrente ha dedotto:

– con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – violazione dell’art. 112 c.p.c., nullità della sentenza e/o del procedimento per vizio di ultra petizione.

Ha esposto che con il punto cinque del ricorso in appello, relativo alla quantificazione del danno, il MIUR aveva contestato i criteri di quantificazione applicati dal Tribunale assumendo che avrebbero dovuto essere applicati i criteri generali relativi all’illecito civile; ha assunto che la Corte territoriale aveva accolto il gravame introducendo un motivo di censura nuovo e diverso, sulla base di circostanze non preventivamente dedotte dalla difesa erariale, in violazione del diritto di difesa;

– con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – violazione ed errata applicazione dell’art. 434 c.p.c., comma 1, – come novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134 – per avere la sentenza ritenuto la ammissibilità dell’appello in violazione dell’art. 434 c.p.c., che imponeva di individuare in modo chiaro ed esauriente il quantum appellatum – con riferimento sia ai capi della sentenza impugnati che ai passaggi argomentativi che li sorreggevano – e di esporre le ragioni di dissenso, argomentando anche riguardo alla loro decisività.

che ritiene il Collegio si debba respingere il ricorso;

che non sussiste il vizio di ultrapetizione dedotto con il primo motivo, per avere il giudice dell’appello fondato la decisione sul fatto della immissione in ruolo, che non era stato allegato come motivo d’appello.

Il devolutum in appello concerneva la mancanza del danno – per il cui risarcimento i docenti avevano agito – sicchè con il rilievo della avvenuta riparazione del danno (con la immissione in ruolo) la Corte territoriale non ha ecceduto i limiti della domanda d’appello.

Il fatto dell’avvenuta assunzione in ruolo dei docenti, estintivo del diritto al risarcimento del danno, costituiva, poi, oggetto di una eccezione in senso lato che, come tale, ben poteva essere rilevata dal giudice anche d’ufficio sulla base degli atti di causa. Le Sezioni Unite di questa Corte nell’arresto del 7 maggio 2013 n. 10531, hanno chiarito, invero, che il rilievo d’ufficio delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati “ex actis”, in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che resterebbe svisato ove anche le questioni rilevabili d’ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi previsti per le eccezioni in senso stretto.

La qualificazione del fatto della immissione in ruolo come eccezione in senso lato deriva dai principi enunciati da questa Corte a Sezioni Unite con l’arresto n. 1099/1998 e, successivamente, con le sentenze numero 226/2001 e n. 15661/2005.

Si è ivi chiarito che il regime normale delle eccezioni è quello della rilevabilità d’ufficio mentre l’ambito della rilevabilità ad istanza di parte è confinato: ai casi specificamente previsti dalla legge; alle eccezioni corrispondenti alla titolarità di una azione costitutiva (es. annullamento).

Nella sentenza n. 1099/1998 si legge che “nei casi di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva, identificandosi… la manifestazione di volontà dell’interessato come elemento integrativo della fattispecie difensiva, è da escludere che, avvenuta l’allegazione dei fatti rilevanti, possa il giudice desumere l’effetto, senza l’apposita istanza di parte.

Ma, rispetto ad ogni altra allegazione, la necessità o meno di un’istanza siffatta non può che derivare da una specifica previsione di legge”.

Nella medesima pronuncia del 1998 è altresì delineata la distinzione tra le eccezioni in senso lato e le mere difese, rilevandosi che la difesa è la semplice negazione dei fatti allegati ex adverso (id est: la contestazione dei fatti costitutivi) mentre l’eccezione identifica una particolare difesa consistente nella contrapposizione a quei fatti di altri fatti, aventi efficacia modificativa, impeditiva o estintiva degli effetti del rapporto sul quale si fonda la domanda.

Con il successivo arresto del 2013 le Sezioni Unite, ponendosi in linea di dichiarata continuità con le già richiamate pronunce del 2001 e del 2005 – queste ultime relative a questioni specifiche (rispettivamente, la rilevabilità d’ufficio del giudicato e della interruzione della prescrizione) – hanno, in termini di principio generale, superato il limite, contenuto nella precedente pronuncia n. 1099/1998, secondo cui la rilevabilità d’ufficio dell’eccezione è pur sempre soggetta alla tempestiva allegazione del fatto estintivo, modificativo, impeditivo esclusivamente a cura della parte interessata.

Correttamente, dunque, la Corte territoriale ha accolto la domanda d’appello, in quanto il fatto estintivo del diritto al risarcimento era rilevabile anche d’ufficio;

quanto al secondo motivo, la sentenza impugnata è conforme al principio, enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte con l’arresto 16/11/2017, n. 27199, secondo cui gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata. La sentenza è immune dal vizio denunciato, in quanto ha ritenuto la specificità dell’appello sul rilievo che l’esame dell’atto consentiva di individuare l’oggetto della domanda d’appello e le argomentazione su cui la impugnazione si fondava.

che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, il ricorso deve essere respinto con ordinanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c.;

che non vi è luogo a provvedere sulle spese per la mancata costituzione del MIUR;

che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 2 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2019

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