Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 25200 del 08/11/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 25200 Anno 2013
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: DE RENZIS ALESSANDRO

SENTENZA
sul ricorso proposto
DA
ELIA VINCENZO, elettivamente domiciliato in Roma, Via di
Porta Pinciana n. 6, presso lo studio dell’Avv. Guido Parlato, che lo rappresenta e difende per procura a margine del
ricorso per cassazione
Ricorrente
CONTRO
CASA DEL SOLE S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore Dott. Marco Von Arx, elettivamente domiciliata in Roma, Via Leonida Bissolati n. 76, presso lo
studio dell’Avv. Alessandra Giovanetti, che la rappresenta

a ovAcL, WceFieMo fv1E,-

3_e,

Data pubblicazione: 08/11/2013

e difende, unitamente all’Avv. Oreste Cardillo del foro di
Napoli, come da procura a margine del controricorso
Controricorrente
per la cassazione della sentenza n. 8048/10 della Corte di

scritta al n. 14369 R.G. dell’anno 2007.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza
del 25.09.2013 dal Cons. Dott. Alessandro De Renzis;
udito l’Avv. Alessandra Giovanetti per la controricorrente;
sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. Giulio
Romano, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

dl

Con ricorso, depositato il 12.04.2007, VINCENZO ELIA esponeva:
– di avere lavorato alle dipendenze della CASA DEL SOLE
S.p.A. con le mansioni di cuoco dal 14.02.1983;
– che con lettera del 16.01.2007, a seguito di contestazioni
disciplinari comunicategli in data precedente, la datrice di
lavoro gli aveva intimato licenziamento, ove gli veniva addebitato di avere anticipato inizio del proprio turno di lavoro nel corso del mese di agosto 2006 con allontanamento
dalla clinica nell’orario di servizio, nonché di avere aggredito verbalmente Sergio Vittoria, titolare dell’impresa addetta alle pulizie all’interno dei locali aziendali;
– che il licenziamento era illegittimo, perché non preceduto

Appello di Napoli del 2.12.2010/7.01.2011 nella causa i-

da concessione del termine di preavviso senza che la datrice di lavoro avesse fornito la prova della sussistenza dei
gravi motivi posti a fondamento della risoluzione del contratto o comunque della gravità dei fatti contestati, anche

sospensione dal servizio e alla decurtazione del 50 % della
retribuzione;
-che in ogni caso la sanzione espulsiva appariva ictu °cuti
sproporzionata rispetto alla condotta addebitatagli, per non
essere stato egli mai sottoposto ad alcuna doglianza da
parte della Villa del Sole per oltre venti anni e per essere – ‘g
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stato sempre ligio al rispetto dei propri compiti e dei sui
doveri anche reverenziali.
Ciò premesso, l’ELIA chiedeva l’accertamento della nullità
o illegittimità del licenziamento intimato senza preavviso e
per l’effetto la condanna della convenuta al reintegro nel
posto di lavoro e al pagamento di tutte le retribuzioni maturate e maturande fino alla reintegra, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali.
La società costituendosi contestava le avverse deduzioni e
chiedeva il rigetto del ricorso.
All’esito dell’istruzione, escussi i testi escussi ed acquisita
varia documentazione, il Tribunale di Napoli con sentenza
del 5.11.2008 accoglieva il ricorso.
Tale decisione, a seguito di appello proposto dalla Casa

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in relazione alla sanzione cautelativa inflittagli relativa alla

del Sole, è stata riformata dalla Corte di Appello di Napoli
con sentenza n. 8048 del 2010, che ha rigettato la domanda proposta in primo grado da Vincenzo Elia, ritenendo
fondati gli addebiti mossi dalla datrice di lavoro al dipen-

ri- consistito nell’alterazione protratta dei cartellini marcatempo con l’induzione all’atto di un suo sottoposto-, sia con
riguardo offli rilievi relativi agli episodi di cui alla lettera di
contestazione valutati complessivamente.

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L’Elia ricorre per cassazione con tre motivi
La società Casa del Sole resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione
dell’art. 112 CPC circa la non corrispondenza tra chiesto e
pronunciato, vizio di ultrapetizione e nullità della sentenza
di appello.
L’Elia sostiene che il convincimento della Corte territoriale
è fondato su motivi non introdotti in giudizio, nel senso che
la stessa Corte, esaminando l’addebito relativo al reiterato
abuso del cartellino marcatempo, avrebbe esorbitato dai
limiti della domanda qualificando la condotta del lavoratore
in termini di gravissima insubordinazione al potere gerarchico nonché in termini di violazione delle direttive del datore di lavoro, senza limitarsi a circoscrivere la valutazione
sui profili di maggiore ed ingiusto reddito che la condotta

dente, sia con riguardo al più grave degli illeciti disciplina-

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avrebbe realizzato e dell’intento della controparte di iniziare i turni con ampia discrezionalità.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione
dell’art. 345 CPC , rilevando che in grado di appello era

ne dell’illecita e protratta timbratura del cartellino come
violazione del principio di buona fede e delle direttive del
datore di lavoro.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione da parte del giudice di appello di non avere tenuto nel dovuto
conto che si era formato il giudicato su autonomi punti
dell’impugnata sentenza non suscettibili di riesame e perché non si era proceduto ad una corretta motivazione della
giusta causa di licenziamento e sulla proporzionalità della
sanzione inflitta, non prendendosi in considerazione anche
la circostanza che il diverbio con il signor Vittoria, così come raccontato dallo stesso, non risultava essere espressione di particolare gravità tale da giustificare la sanzione
espulsiva.
Le numerose censure mosse alla sentenza impugnata, da
esaminarsi congiuntamente riguardando problematiche tra
loro connesse, non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità.
Questa Corte ha statuito in tema di ricorso per cassazione,
qualora una determinata questione giuridica- che implichi

stata introdotta domanda nuova riguardante la qualificazio-

accertamenti in fatto- non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga una statuizione di legittimità per novità della censura, ha l’onere
non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione

autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in

quale atto lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di
esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 20 gennaio 2013 n. 1435).
E sempre in materia di autosufficienza è stato rimarcato
dai giudici di legittimità che il ricorso per cassazione, confezionato mediante la riproduzione degli atti dei pregressi
gradi di giudizio e dei documenti ivi prodotti con procedimento fotografico o similare e la giustapposizione degli
stessi con mere proposizioni di collegamento, è inammissibile per violazione del criterio di autosufficienza, in quanto
detta modalità grafica viola il precetto dell’art. 366, primo
comma, n. 3, CPC, che impone l’esposizione sommaria dei
fatti di causa, e grava la Corte di un compito che le è istituzionalmente estraneo, impedendo l’agevole comprensione della questione controversa, nonché rimettendo alla discrezionale valutazione della stessa la verifica del contenuto degli atti del processo; né l’indicata forma espositiva
può essere giustificata dall’esigenza di consentire la verifi-

dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio della

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ca degli atti, poiché questa attiene ad una fase assolta attraversa l’allegazione, di seguita al ricorso, di copia, degli
atti ritenuti strumentali allo scopo (così Cass. 12 ottobre
2012 n. 17466 ord.).

pio, estendendolo a tipologie di ricorso, che, come quella
già scrutinata, impediscano l’agevole comprensione delle
questioni oggetto della controversia rimettendo al giudice
di legittimità il compito i proprio di ricercare in base a proprie scelte- che finiscono per essere discrezionali e che
comunque finiscono per sottrarsi al contraddittorio delle
parti- limitandone il diritto di difesa- gli elementi di fatto e
di diritto che assumono rilevanza ai fini decisori. Il che accade allorquando- disattendendosi la ratio sottesa al disposto del già citckrt. 366 Met CPC e pur riportandosi
nell’ambito dello storico del ricorso l’intero iter procedurale
dei giudizi di merito~nei motivi del ricorso non vengoco indicati in modo esauriente le ragioni di fatto e di diritto poste a base della domanda sì da demandarsi al giudice di
legittimità la ricerca dei fatti e delle regole che assumono
rilevanza ai fini decisori. Compito questo che se assolto dal
suddetto giudice ne farebbe venir meno il ruolo di terzietà
ed imparzialità con contestuale violazione di giusto processo, che trova i propri presupposti condizionanti- è bene rimarcarlo nuovamente- nel rispetto del principio del con-

Questa Corte ritiene di dare continuità al suddetto princi-

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traddittorio e dell’autonomo e libero esercizio del diritto di
difesa delle parti.
Alla stregua di quanto finora esposto il ricorso si presenta
inammissibile per non avere il ricorrente precisato, nei mo-

CPC, gli elementi posti a base tempestivamente e ritualmente della sua richiesta su cui non vi è stata alcuna corrispondenza con il pronunciato. E sempre per mancanza del
requisito della autosufficienza non si forniscono al giudice
nel ricorso gli elementi utili e da soli sufficienti per accertare la sussistenza di un giudicato impediV40
dell’accertamento e della valutazione dei fatti che hanno
portato alla decisione finale né di valutare il rispetto del
principio della proporzionalità della sanzione inflitta e della
sussistenza della giusta causa del licenziamento.
Consegue da quanto sinora detto che, essendo la sentenza
congruamente motivata, priva di salti logici e sorretta dal
rispetto dei principi giurisprudenziali applicabili alla fattispecie in esame, la sentenza impugnata si sottrae alle
censure che contro di essa sono state mosse per tradursi il
ricorso in una rivisitazione delle risultanze processuali non
consentita in sede di legittimità.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombnenza e si liquidano come da dispositivo.

tivi del ricorso con cui denunzia il vizio di cui all’art. 112

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PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in € 100,00 per esborsi, oltre € 3.500,00
per compensi, oltre accessori di legge

Il Consigliere rel. est.

Il Presidente

Così deciso in Roma addì 25 settembre 2013

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